Continua l’assedio israeliano su Gaza nord, dove per l’Onu l’intera popolazione è a rischio morte. Nuovi missili contro l’Iran, mentre in Libano uccisi tre giornalisti.
Pyeongchang 2018, l’impresa “olimpica” di Moon Jae-in per unire le due Coree
Il presidente della Corea del Sud ha scelto le Olimpiadi invernali per vincere la sfida diplomatica con i cugini del Nord, scongiurando la guerra nucleare ventilata da Trump. Ecco come ci è riuscito.
Nel mezzo della crisi nucleare nordcoreana, l’unico a difendere con forza lo spirito pacifista olimpionico è il presidente della Corea del Sud, il Paese asiatico che dal 9 al 25 febbraio ospita le Olmpiadi invernali nella città di Pyeongchang. A dispetto dell’opposizione interna di destra e del disinteresse dell’elettorato giovanile, il progressista Moon Jae-in prosegue la sua maratona verso la riconciliazione. Un passo dopo l’altro, questo politico solido e avvocato dei diritti umani è riuscito a far marciare sotto un’unica bandiera gli atleti delle due Coree e a unificare la squadra femminile di hockey sul ghiaccio.
La sorella del dittatore nordcoreano Kim Jong-un ha accettato di incontrarlo insieme con una delegazione di alte cariche del regime. Durante le competizioni, almeno 26 capi di stato e ministri affronteranno con lui il dossier nucleare, anche se il presidente francese Emmanuel Macron potrebbe dare forfait. La tensione è altissima, ma a 65 anni Moon Jae-in sembra voler ripercorrere la strada gloriosa di Kim Dae-jung, il presidente che nel 2000 fu insignito del Nobel per la Pace per i suoi sforzi di dialogo con il Nord, riuniti nella Sunshine policy.
Con le Olimpiadi invernali ritorna il sogno dell’unione
Solo vent’anni fa si parlava di unificazione delle due Coree. Poi, l’alternanza delle amministrazioni statunitensi e nove anni di governi di destra a Seul (2008-2017), hanno distrutto uno dei puzzle più complessi della politica contemporanea. Intanto, il terzo dittatore della dinastia nordcoreana, Kim Jong-un, si è dotato di missili nucleari a lunga gittata che potrebbero raggiungere New York e far esplodere una bomba termonucleare molto più potente di quella di Hiroshima e Nagasaki.
La Corea del Nord non vuole rinunciare alle armi atomiche, perché nel contesto attuale rimangono l’unico deterrente alle ingerenze di Stati Uniti e Cina. Consapevole della posizione dei suoi vicini, Moon Jae-in ha il compito di spiegarla a un interlocutore a dir poco complicato: il presidente americano Donald Trump. Con i suoi falchi, il presidente degli Stati Uniti ignora completamente l’intrico coreano. Non leggerebbe i rapporti e non ascolterebbe i consiglieri. Da mesi provoca Kim Jong-un in un gioco al massacro. Sprezzante verso il democratico Moon, si è spinto a minacciare di radere al suolo l’intera Corea del Nord.
North Korean Leader Kim Jong Un just stated that the “Nuclear Button is on his desk at all times.” Will someone from his depleted and food starved regime please inform him that I too have a Nuclear Button, but it is a much bigger & more powerful one than his, and my Button works!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 3 gennaio 2018
Il bellicoso Trump e la solitudine del pacifista Moon
“I nordcoreani non vogliono la guerra e non attaccherebbero mai per primi”, spiega Rosella Ideo, professoressa di Storia politica e diplomatica dell’Asia orientale. La studiosa della questione coreana lo ribadisce da tempo, come in un recente dibattito presso l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), a Milano.
“A differenza di quanto diffuso da molti mezzi d’informazione, gli analisti sanno benissimo che le sorti di quella zona del Pianeta sono in gran parte nelle mani dell’amministrazione Trump. Se bombardasse il territorio nordcoreano anche con un solo ‘strike’ o un ‘bloody nose’ – come lui dice –, si innescherebbe una reazione a catena con milioni di morti a Seul e persino in Giappone”.
L’unica via auspicabile, per chi conosce a fondo la questione coreana, è quella della diplomazia. Trump probabilmente non sa che le prime elezioni libere in Corea del Sud si sono tenute nello stesso anno delle Olimpiadi estive a Seul. Dopo decenni di dittature tollerate dagli Usa, quei Giochi del 1988 segnarono l’inizio della democrazia nella Corea del Sud.
Affinché quel precedente funzioni da buon auspicio, Moon ha bisogno di alleati. Ad oggi dalla sua parte ci sarebbe António Guterres, il nuovo segretario generale delle Nazioni Unite succeduto all’ex inefficace sudcoreano Ban Ki-moon. Ma non basta. Per evitare una guerra nucleare, ci si aspetterebbero manifestazioni sia nella Corea del Sud (primo eventuale obiettivo del Nord come ritorsione agli attacchi Usa) che nel resto de mondo.
Sarebbe utile scuotere l’opinione pubblica e contrastare la propaganda di Trump e sodali. Moon per primo – si legge sul New York Times – deve spiegare ai suoi elettori che riconciliarsi significa salvarsi la vita. Secondo la professoressa Ideo, in questi tempi “liquidi”, di galleggiamento in bolle politiche ed economiche fragilissime, l’ignoranza è l’ostacolo più pericoloso. Di seguito l’intervista alla professoressa Ideo.
Le Olimpiadi invernali arrivano in un momento di tensione. Qual è il loro significato politico?
Nelle intenzioni del presidente sudcoreano, Moon Jae-in, questo evento dovrebbe portare una distensione nei rapporti inter-coreani. Quando è stato eletto con una vittoria importante, Moon aveva già l’obiettivo di ricucire le relazioni con la Corea del Nord, compromesse da nove anni di governo delle destre sudcoreane. I due presidenti precedenti hanno chiuso quasi totalmente il dialogo, interrotto la cooperazione e gli aiuti economici. Moon deve riparare a nove anni di tensioni. Un compito reso oltre misura difficile dall’elezione, un anno fa, di Donald Trump.
Che tipo di presidente è il sudcoreano Moon Jae-in?
È un democratico progressista, dallo stile semplice e colloquiale. Non ha un’attitudine imperiale, tipica dei presidenti sudcoreani che di fatto detengono molti poteri. Da capo di gabinetto dell’ultimo presidente progressista, Roh Moo-hyun, conosce molto bene sia le questioni interne che internazionali. Ed è un avvocato dei diritti umani. Cattolico ma non evangelico, crede nei valori della democrazia liberale. È ambientalista e pacifista. Nordcoreano di origine, scappò con i suoi genitori nel Sud quando era bambino. Non ha pregiudizi verso gli Stati Uniti, anche se questi ultimi hanno appoggiato – turandosi il naso – tutte le dittature nel Sud.
Moon Jae-in ricorda Kim Dae-jung, il presidente democratico che per primo aprì il dialogo con la Corea del Nord e fu insignito del Nobel per la Pace nel 2000.
Sembra di essere tornati ai tempi delle guerre preventive di inizio Millennio. Se Kim incontrò l’opposizione di Bush junior, Moon ora deve rapportarsi a Trump.
Perché Moon ha vinto sulle destre?
È stato eletto dopo due mesi di fiaccolate e sdegno generale verso l’ultima presidente conservatrice, Park Geun-hye, che è stata destituita e arrestata per reati gravi come corruzione e rivelazione di segreti di Stato. La figlia del dittatore Park Chung-hee aveva addirittura stilato una lista nera di migliaia di artisti, scrittori, intellettuali, considerati scomodi. Ha utilizzato i servizi segreti per farsi eleggere. E anche il giovane erede di Samsung sembra che le abbia dato milioni di dollari.
Nel frattempo, dopo la morte del padre nel 2011, in Corea del Nord è salito al potere Kim Jong-un. Ci spiega meglio le sue intenzioni?
Il cosiddetto terzo ‘leader supremo’ prosegue la politica del padre Kim Jong-il e del nonno Kim Il-sung. Deve difendere uno stato piccolissimo. Vuole mantenere l’integrità territoriale e l’indipendenza del Paese. Tutti i tre leader si sono sempre opposti al fatto che la Corea del Nord divenisse uno stato satellite di Cina e Russia, anche se per anni l’hanno foraggiata. Tuttavia, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e il venir meno dei suoi aiuti, il regime nordcoreano ha cercato di dotarsi del più economico dei mezzi: le armi nucleari.
Un reattore donato dai russi a scopi civili è stato trasformato in un reattore al plutonio per produrre bombe nucleari.
Da qui la prima grande crisi nucleare, quando gli Usa di Bill Clinton lo scoprirono nel 1994. È allora che Washington ha considerato per la prima volta di bombardare il reattore della Corea del Nord. L’allora segretario di Stato, però, avvertì che si sarebbe scatenata un’altra guerra di Corea con milioni di morti, compresi gli statunitensi in Corea del Sud.
Come se si bombardasse oggi.
Sì. Come allora le vittime sarebbero anche americane. Nonostante la riduzione di truppe post guerra fredda, al confini fra le due Coree vi sono ancora 28.500 militari Usa, più i loro famigliari e i funzionari civili. A questi, si aggiungono gli almeno 60mila statunitensi che si trovano nelle basi dotate di sottomarini nucleari, al largo del Giappone.
Si teme che Trump possa scatenare una guerra proprio dopo le Olimpiadi. Dal Giappone anche gli Stati Uniti potrebbero usare armi atomiche. La minaccia nucleare non viene solamente dalla Corea del Nord.
Certamente. La penisola coreana è circondata dalle armi nucleari. Quella che chiamano “sindrome da assedio” della Corea del Nord ha ragione di essere. Nel 2017 quest’ultima è riuscita, dopo un aumento dei test missilistici, a produrre testate a lunga gittata che potrebbero raggiungere New York. Ma i diplomatici nordcoreani hanno detto chiaramente che non colpirebbero mai città americane perché sarebbe un atto suicida. Il nucleare per loro è solamente un deterrente.
Perché Trump non smette di provocare?
L’amministrazione Trump ignora del tutto la complessità della questione coreana. Il presidente Usa vuole solamente smarcarsi rispetto ai suoi predecessori, in particolare Barack Obama. La sua indole irrazionale lo ha portato a minacciare di continuo, anche se il Dipartimento della difesa e quello di stato vorrebbero tentare la via diplomatica. Ha ipotizzato un ‘bloody noose’ o un solo ‘strike’, ma non esistono guerre piccole. Come farebbe a colpire le testate nucleari nascoste nei tunnel? Se si bombardasse dopo le Olimpiadi, si innescherebbe una reazione a catena. I nordcoreani potrebbero colpire Seul e il Giappone. Conteremmo milioni di morti, senza risolvere nulla. Trump non ha visione, una chiara strategia. Agisce in modo irragionevole. Ha addirittura detto di voler radere al suolo la Corea del Nord, uccidendo tutti.
Come vivono i sudcoreani questa tensione?
I giovani pensano solo ai Giochi olimpici, in quanto festa sportiva. Non ci sono manifestazioni contro gli annunci folli di Trump. Sono indifferenti. Inoltre, bisogna tener conto che la destra sudcoreana continua la sua propaganda ostile contro il dialogo con il Nord.
Sono folli Trump e i suoi falchi, o Kim Jong-un è il “pazzo, brutto e grasso” descritto da tanti media?
No. Kim Jong-un è un leader razionale, che guida un regime sicuramente oppressivo ma sotto assedio. Non si può banalizzare una questione tanto seria. Tali sono anche i suoi ministri e i suoi diplomatici che andranno alle Olimpiadi, tra i quali la sorella Kim Yo Jong. Difende il suo Paese da Cina e Stati Uniti che si contendono l’egemonia in Asia orientale.
Seppure brutalmente.
Senza dubbio. Avrebbe fatto giustiziare lo zio nel 2014 e ordinato l’uccisione del fratellastro in Malesia. Alcuni analisti ipotizzano che Pechino pensasse a queste due figure per un cambiamento al vertice. La Cina, però, non ha l’influenza che le viene attribuita da Washington su un regime nordcoreano così ermetico. Il presidente cinese Xi Jinping ha firmato tutte le sanzioni Onu verso la Corea del Nord e ha pessimi rapporti con Kim perché non vuole a causa sua uno scontro con Washington. Sa che Trump cercherà di contrastare in ogni modo la crescente potenza cinese, geopolitica, economica e militare. Come tutti i suoi predecessori, Obama compreso, non vuole che gli Stati Uniti perdano la loro egemonia nell’area Asia-Pacifico. Obama, in particolare, propose il “Pivot to Asia”, che intendeva riportare più truppe nel Pacifico, e l’accordo di libero scambio Tpp (Trans-Pacific Partnership), per contrastare la potenza cinese.
Chi sostiene adesso la Corea del Sud nella sua politica per la pace?
Il presidente Moon Jae-in ha invitato alle Olimpiadi una delegazione di almeno 26 capi di Stato e anche Antonio Guterres, il segretario generale dell’Onu che per fortuna è succeduto proprio al sudcoreano Ban Ki-moon, abile temporeggiatore. Guterres potrebbe costituire una buona svolta. Ha mandato in Corea del Nord il suo vice politico ed ex diplomatico statunitense Jeffrey Feltman, che ha incontrato il ministro degli Esteri del regime Ri Yong-ho. Finora, Emmanuel Macron non sarebbe intenzionato a partecipare. Il presidente francese tiene molto alle relazioni transatlantiche e alla Cina.
Speriamo cambi idea. Che cosa dobbiamo aspettarci dalla diplomazia olimpica?
Non molto. Il tentativo di Moon di riallacciare i rapporti durante le Olimpiadi e farli proseguire anche dopo è difficilissimo. I protagonisti di questa crisi, Stati Uniti e Corea del Nord, sono su posizioni opposte. Il vice presidente Usa, non solo Trump, ha parlato di Paese ‘orrendo’ e dice che i nordcoreani vogliono ‘rubare’ i giochi al Sud. Ma non è così. Le due Coree si sono accordate per far sfilare insieme gli sportivi e farli giocare a squadre unificate in alcuni casi.
Moon ha bisogno del sostegno di una diplomazia più ampia. Dovrebbe essere lui al centro del sostegno e dell’attenzione internazionale?
Assolutamente. Aveva anche chiesto a Washington, di interrompere le esercitazioni congiunte fra militari sudcoreani e statunitensi anche dopo le Olimpiadi, ma la risposta è stata negativa.
Moon, che vorrebbe far da ponte fra Stati Uniti e Corea del Nord, per ora è solo?
Sì.
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