
Uno studio della Nasa ha spiegato il motivo per il quale l’innalzamento del livello dei mari ha superato i dati che erano stati previsti dagli scienziati.
Un post condiviso da Paul Nicklen (@paulnicklen) in data: 5 Dic 2017 alle ore 08:52 PST Il video di Paul Nicklen che commuove Il fotografo, biologo e attivista canadese Paul Nicklen ha pubblicato sui suoi canali social un video di un orso polare alle prese con la ricerca disperata di cibo mentre si trovava sull’isola di
Il fotografo, biologo e attivista canadese Paul Nicklen ha pubblicato sui suoi canali social un video di un orso polare alle prese con la ricerca disperata di cibo mentre si trovava sull’isola di Baffin, nell’Artico canadese. La sofferenza di questo esemplare denutrito è evidente, e già in un’altra occasione era stato avanzato il legame tra la scarsità di cibo a cui devono far fronte questi mammiferi e il riscaldamento globale dopo la diffusione di una foto di un orso polare scattata da Kerstin Langenberger in un’isola dell’arcipelago delle Svalbard, nel mar Glaciale Artico.
L’aumento delle temperature, infatti, sta portando al collasso i ghiacci artici, “fondendo letteralmente l’habitat degli orsi polari e costringendoli a percorrere grandi distanze, anche a nuoto, in cerca di cibo”, come ha scritto Lorenzo Brenna. “Queste condizioni impongono agli animali periodi di digiuno sempre più lunghi, molti orsi, stremati dalla fame e dalla fatica, non riescono a sopravvivere”.
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Paul Nicklen, che fa parte della ong Sea Legacy volta a proteggere e dare nuova linfa agli oceani, ha commentato così il video.
Tutto il team di Sea Legacy ha lottato con le proprie emozioni per trattenere le lacrime mentre documentava questo orso polare in fin di vita. È una scena straziante che ancora mi perseguita, ma so che dobbiamo condividere sia le cose belle che quelle dolorose se vogliamo buttare giù i muri dell’apatia. E questo rappresenta cosa vuol dire morire di fame. L’atrofia dei muscoli. La mancanza di energia. È una morte lenta e dolorosa. Quando gli scienziati dicono che gli orsi polari saranno estinti nel giro di cento anni, io penso a 25mila orsi come lui che stanno morendo in questo modo. Non ci sono soluzioni tampone. Non potevamo salvare questo orso. La gente pensa che potremmo creare piattaforme nell’oceano o dar da mangiare agli occasionali orsi morenti. Ma la verità è che se la Terra continua a scaldarsi perderemo gli orsi e interi ecosistemi. Questo grande orso maschio non era anziano e di sicuro è morto poche ore o pochi giorni dopo questo video. Le soluzioni ci sono. Dobbiamo ridurre la nostra impronta ambientale, mangiare il cibo giusto, smettere di tagliare le nostre foreste e iniziare a mettere il Pianeta – la nostra casa – al primo posto.
Leggi anche: Tutta l’agonia degli orsi polari racchiusa in questa foto
Dopo aver pubblicato il filmato sui social, alcuni hanno rimproverato ai fotografi di non essere intervenuti. “Certo, ci ho pensato a fare qualcosa – ha detto Paul Nicklen al National Geographic – ma non vado in giro con una pistola tranquillante o con quattrocento chili di carne di foca“. E anche se lo avesse aiutato quel giorno, il gesto non sarebbe servito a molto. Avrebbe solamente prolungato la sofferenza dell’animale, morto certamente dopo pochi giorni, se non dopo poche ore. Senza contare che dare da mangiare agli orsi polari selvatici è illegale in Canada.
La spedizione in corso era nell’isola di Baffin, nel mar Glaciale Artico canadese, e questo incontro è avvenuto a distanza di giorni dalla civiltà, in un villaggio abbandonato dagli Inuit perché diventato inospitale – anche questo, a causa degli sconvolgimenti causati dal riscaldamento globale.
“Aveva gli arti inferiori atrofizzati. Non potevamo fare molto per lui – spiega ancora il fotografo secondo cui, giustamente, il vero aiuto è la denuncia di ciò che sta accadendo al mondo – ho ripreso la sua lenta morte per far sì che non sia avvenuta invano… Quando gli scienziati parlano dell’estinzione degli orsi polari, le persone comuni non si rendono conto di ciò che significa. Questa è la fine che fanno: muoiono lentamente di fame. E tutti lo devono vedere”.
Secondo i dati raccolti dagli scienziati nella Baia di Hudson, in Canada, per ogni settimana di anticipo sulla fusione dei ghiacci gli orsi perdono dieci chili di peso, fanno difficoltà ad allattare i cuccioli e sono visibilmente in condizioni di salute precarie. Questo perché rimangono più a lungo sulla terraferma, prolungando i periodi di digiuno.
Nella ridda di domande seguite alla divulgazione dei materiali audiovisivi relativi all’agonia di questo povere orso polare, molti si interrogano se le condizioni dell’animale non siano dovute a pregresse condizioni di salute. L’idea che i fotografi possano aver frainteso le condizioni dell’orso, suggerita dalla normale, inconscia negazione psicologica, fatica a esser plausibile in forza di questi punti:
Paul Nicklen è un biologo e fotografo di origine canadese, specializzato negli ecosistemi polari.
Lavora da 15 anni per il National Geographic. Ha prodotto 18 grandi inchieste per la rivista e attualmente sta lavorando ad altre sei. Il suo lavoro si concentra sulla delicata relazione tra ecosistemi e fauna marina. Oltre alla sua collaborazione con la National Geographic Society, il suo lavoro è stato presentato in centinaia di altre pubblicazioni in tutto il mondo e ha tenuto oltre 500 conferenze in 20 paesi.
Nel suo lavoro offre un’intensa rappresentazione della natura incontaminata dell’Artico e dell’Antartide, esplorando i misteri della vita nelle condizioni più estreme. Ci conduce, con le sue foto, nelle profondità marine, per approfondire temi legati sia al comportamento animale sia a problematiche relative ai cambiamenti climatici e al loro impatto sugli ambienti dominati dai ghiacci, oggi seriamente minacciati. Le immagini ravvicinate documentano con grande forza la vita di foche leopardo, balene, trichechi, orsi polari, foche barbate e narvali. Seguendo Nicklen nelle sue peregrinazioni sulla terraferma s’incontrano anche buoi muschiati e orsi grizzly, caribù e volpi, lupi e molti altri animali, ma soprattutto si impara ad accostarsi con approccio critico a questi mondi straordinari in pericolo. E a domandarci cosa possiamo fare per salvaguardarli.
Ha esposto presso l’Annenberg Space for Photography di Los Angeles ed è stato relatore alla Ted Conference del 2011. Di recente è stato nominato uno dei 40 migliori fotografi outdoor più influenti al mondo dalla BBC Magazine. L’Università di Victoria della British Columbia gli ha conferito un premio alla carriera per il suo lavoro nel promuovere la conservazione marina. Per il suo impegno ha ricevuto oltre 30 prestigiosi premi internazionali tra cui, nel 2012, il World Press Photography Organisation, il più grande e prestigioso riconoscimento che un fotoreporter può ricevere.
Cristina Mittermaier è una biologa e fotografa marina di origine messicana specializzata in temi conservazionisti legati alla pesca e alle culture indigene.
Ha curato 22 libri su temi conservazionisti e il suo lavoro è stato pubblicato su prestigiose pubblicazioni scientifiche tra cui Science e Nature, nonché su pubblicazioni e riviste più popolari. Oltre ai suoi successi come fotografa, è una scrittrice, una photo editor e una coinvolgente oratrice. Fino a poco tempo fa era presidente della International League of Conservation Photographers, da lei fondata e diretta per sei anni. Recentemente è stata riconosciuta come una delle migliori 40 fotografe outdoor più influenti al mondo ed è stata premiata con il premio Nature’s Best / Smithsonian Conservation of the Year 2011 e il Mission Award del North American Nature Photographer’s Association 2010. Ha partecipato a spedizioni fotografiche in Guinea Equatoriale, nella valle del fiume Flathead nella British Columbia, nella foresta pluviale Great Bear nella Columbia Britannica, nella costa della Mosquitia in Honduras, fino alle barriere coralline di Abrolhos in Brasile e, più recentemente, con Sea Legacy, nell’Artico canadese e nei fiordi della Norvegia settentrionale.
La documentazione video e fotografica raccolta da Paul Nicklen e Cristina Mittermaier nell’Artico ha dato avvio alla campagna ‘Tide’ di Sea Legacy, che mira a raccogliere risorse per favorire le attività capaci di rivivificare l’oceano, proprio per combattere i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale. Favorendo la vita naturale nei mari come il mare polare Artico – affinché riprendano ad assorbire la CO2 – si pensa che anche gli orsi polari potrebbero beneficiarne, sia nel breve termine, per l’approvvigionamento di cibo, sia nel lungo periodo, con un sollievo al traumatico mutamento del loro habitat.
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