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Parigi brucia. Le emozioni e la paura della sera del disastro di Notre Dame
Un resoconto di parole e immagini del disastro che ha colpito la cattedrale di Notre Dame di Parigi. Il 15 aprile la chiesa è bruciata. Le emozioni e la paura di questa lunga notte, vissute in diretta.
Parigi, Francia – “Bruciate Parigi!”, ordinò Hitler verso la fine della Seconda guerra mondiale: ma l’ordine non venne eseguito, e la città fu salva, grazie al generale von Choltitz e forse al console svedese Nordling, che si rifiutarono di distruggere uno dei capolavori assoluti dell’umanità.
Questa sera, uno dei simboli di Parigi è stato salvato dai celebri – quasi mitici – pompieri della capitale francese, i sapeurs-pompiers; pur con qualche innegabile ritardo, come vedremo. Scrivo questo breve resoconto a meno di mezz’ora dalla messa in sicurezza delle strutture portanti della cattedrale: la notte è ancora lunga, ma per fortuna le mura perimetrali della chiesa paiono salve.
Questi sono i video del disastro realizzati in quei tragici e concitati momenti dal sottoscritto, unico civile all’interno del rigidissimo perimetro di sicurezza eretto dalla polizia a protezione dell’area di Notre Dame; nessun giornalista, neanche di testate internazionali, ha potuto accedere a quell’area, e da queste fortunose circostanze è nata la più lunga diretta della mia vita, con frequenti collegamenti per quasi 5 ore sulla “all news” Sky Tg24.
Leggi anche: Cosa si sa dell’incendio devastante che ha colpito la cattedrale di Notre Dame di Parigi
A pochi minuti dall’inizio dell’incendio, entro nell’area riservata alle forze dell’ordine
Alle 19:16, pochi minuti dopo il divampare del gravissimo incendio – la chiesa era circondata da impalcature, scoprirò più tardi che si stanno rimuovendo una decina di statue in bronzo da restaurare – riesco a entrare nella “zona rossa”, immediatamente eretta dalle forze dell’ordine per tenere lontane le migliaia di curiosi che si stanno assiepando sul lungo Senna. I poliziotti stanno chiudendo con bandelle e transenne tutta la zona nel raggio di 500 metri dalla chiesa, presidiando ogni accesso.
Azzardo e m’infilo prima che una catena si chiuda alle mie spalle, mostrando all’agente la press card della International federation of journalists. La banda rossa in evidenza sulla tessera probabilmente trae in inganno il poliziotto, che mi lascia passare: chissà a quale tesserino delle forze dell’ordine francese assomiglia la carta da giornalista che – nonostante gli impegni accademici e la pubblicazione di libri non lascino ormai da anni molto spazio alla passione per il giornalismo – porto sempre con me; non mi fermo a domandare alcunché, il diritto di cronaca ha la meglio sul rispetto della forma.
Ascolta “Notre Dame brucia. Le emozioni e la paura della notte di Parigi” su Spreaker.Cammino a passo sostenuto, quasi corro, fino alla piazza di Notre Dame, place Jean Paul II, mentre la brezza – cattiva, minacciosa – si alza. Mi fermo dinnanzi alla Crypte archéologique, sede di mille bellissime mostre viste a ogni viaggio a Parigi: lo spiazzo è deserto, il silenzio è surreale; giro un primo video a testimonianza della situazione. Due camion dei pompieri ai lati della chiesa stanno strotolando i lunghi tubi delle pompe, non più di una quindicina di operatori in totale. Indubbiamente le successive polemiche per il ritardo nell’intervento non sono campate per aria, ma ora non è certo il momento di fermarsi a riflettere su questo.
Mi metto in un angolo a 20 metri dalla cattedrale, lato pont au Doble, accanto alle toilette pubblica; faccio un secondo video. Lo stupore, l’agitazione interiore, è enorme, e si fa strada un dolore straziante, per questa città nella quale ho vissuto due anni e che ho visitato non meno di cinquanta volte: uno dei suoi luoghi culto è quasi completamente in fiamme, con il fuoco che ha già divorato metà chiesa nel suo senso verticale e poco meno di un terzo nel suo senso orizzontale.
Notre Dame è un simbolo non solo religioso ma anche laico: è una delle cattedrali più note al mondo, meta di milioni di turisti; è nell’immaginario di grandi e bambini, anche grazie a innumerevoli rappresentazioni cinematografiche. Sta bruciando, lì, davanti ai miei occhi, a pochi metri da me.
Chiamo amici di Sky tg24: non mi passa neanche per la testa di “vendere” immagini e commenti, occorre garantire notizie attendibili e fresche, immediatamente, alle decine di milioni di telespettatori che saranno in questo momento attaccati alle televisioni, in tutto il mondo, in pena per un luogo simbolo della cristianità e non solo.
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Dov’è lo spiegamento di forze?
Attorno a me, al netto delle cinque o sei squadre di pompieri intervenute immediatamente, sempre il deserto: dov’è lo spiegamento di forze? Alla spicciolata arrivano altri uomini in rosso, squadre da cinque, dieci uomini al massimo raggiungono i primi operatori intervenuti sul luogo del disastro. Nel frattempo sono passati circa venti minuti, ed è impressionante quanto fuoco possa svilupparsi violentemente in un tempo così breve.
Tutta la zona è transennata; a poco più di 50 metri, sul lungo Senna Montebello, una folla che si fa sempre più immensa, con la polizia che per contro s’impegna per spostare sempre più verso l’interno il blocco, che si attesterà, alla fine, circa all’altezza di rue Lagrange.
Resterò a ridosso della cattedrale, sul lato destro guardando la facciata, per circa un’ora, documentando con video di pochi secondi quanto sta accadendo: clip brevissime, tentando di passare per quanto possibile inosservato, mentre commento al telefono con Sky.
Per un attimo penso: “Il monumento è perso, non lo salveranno più”
Le fiamme salgono, e a un certo punto il tetto collassa su se stesso: è impressionante. Poi cade la guglia. In quegli istanti penso al peggio: il monumento è perso, non lo salveranno più.
In quel momento mi rendo conto di un problema: i video che ho girato infatti non stanno partendo. Whatsapp, come il messenger di Facebook, è bloccato in tutta l’area; comprensibilmente, considerando l’intasamento della rete nelle centinaia di metri a ridosso del disastro. Ho pochissimo tempo per riflettere: devo scegliere, o sto lì e nessuno vedrà mai questi video, testimonianza preziosa dei primi momenti dell’evento, o mi allontano, ma certamente senza poter tornare più al mio posto di osservatore privilegiato.
Avviso la tv telefonicamente e mi incammino sul ponte au Doble: a metà del ponticello un poliziotto fa per sorpassarmi, poi torna sui suoi passi, e mi blocca: “Cosa ci fa lei qui”, mi chiede concitato; “Informo le persone, forse non si rende conto che c’è il mondo che vi sta guardando”, gli rispondo, e non fa in tempo a dirmi nulla che sono diretto verso le transenne, tanto ho deciso che uscirò da lì.
Mi fermo ancora all’incrocio con il lungo Senna, bloccato al traffico per circa un chilometro, per girare un ultimo breve video, e poi scavalco le transenne e corro via; trovare un taxi sarà un’impresa impossibile. La zona chiusa arriva fino a place Saint Michel, da lì prendo rue Saint Andrée des Art, e risalgo fino a tagliare su boulevard Saint Germain, dove vedo un taxi ramingo libero. Salgo a bordo, con un unico obiettivo: trovare un wi-fi funzionante.
Faccio correre l’auto verso l’ambasciata italiana in rue Varenne, retta da Teresa Castaldo, diplomatico di straordinaria esperienza, impegnata stasera in un’importante serata sui temi della ricerca scientifica italiana d’eccellenza. L’ambasciatrice sta seguendo le notizie sul disastro, aggiornata minuto per minuto dal suo efficiente staff: le sue parole sono, confidenzialmente, di profonda commozione, rispetto e vicinanza per il popolo francese, e prega di tenerla informata sugli sviluppi; per le dichiarazioni ufficiali il servizio stampa della Farnesina sarà già al lavoro.
Nel frattempo, i miei filmati partono, la zona evidentemente è “digitalmente” più decongestionata rispetto al lungo Senna. Inviate le clip, riparto alla volta della cattedrale: non riuscirò a ritornare nella zona dove la fortuna – e un pizzico di audacia – mi hanno permesso di essere fino a pochi minuti prima, ma arrivo quanto più vicino possibile, fin dove il mio tesserino mi permette di accedere.
La cosa che colpisce è il silenzio della gente: non c’è chiasso, c’è solo stupore, compostezza, vivissima preoccupazione, angoscia che si taglia con il coltello. Ragazzini, adulti, anziani che bisbigliano e scuotono la testa, travolti emotivamente da un evento più grande di loro, più grande di tutti noi, imprevisto, imprevedibile e dall’esito ancora totalmente incerto. Mentre cammino a passo spedito, incrocio una donna avanti con gli anni, che quasi scappa da quello spettacolo, con il viso visibilmente rigato dalle lacrime.
Nel frattempo è calata la notte, ma l’immagine ha un che di demoniaco, perché dal rosone del transetto si vedono con chiarezza, all’interno dell’edificio, le fiamme che ancora divampano, e salgono, totalmente indisponibili a farsi domare dallo spiegamento di forze che nel frattempo, da un’ora almeno, si è poderosamente attivato. I cittadini e i turisti sono ancora attoniti: c’è speranza, o tutto finirà in cenere?
Riprendo il collegamento con Sky Tg24. I getti immani di acqua si riversano non solo sulle fiamme, ma – lo noto chiaramente – sui due lati opposti all’incendio, ovvero le due torri principali della facciata, e il coro; la testa e la coda della cattedrale. L’intento è chiaro: mentre si cerca di domare l’incendio principale, si inzuppa tutto il resto della chiesa. Poco male per dipinti ed eventuali affreschi, si recupereranno, l’importante è salvare la struttura portante, ed evitare che la temperatura salga al punto tale da far collassare l’intera Notre Dame. È una corsa contro il tempo, dall’esito incerto. Il vento, intanto, melefico, aumenta anche leggermente di intensità.
È solo – finalmente – verso le 23 che s’inizia, pregando Dio o toccando ferro a seconda della fede di ognuno, a tirare un respiro di sollievo: quando quelle maledette fiamme dietro il rosone smettono di salire, si stabilizzano e paiono, piano piano, scendere; di lì a non molto il rosone smette di essere illuminato, e lentamente la notte, fino a poco prima illuminata a giorno dalle fiamme feroci, torna scura.
Cette cathédrale Notre-Dame, nous la rebâtirons. Tous ensemble. C’est une part de notre destin français. Je m’y engage : dès demain une souscription nationale sera lancée, et bien au-delà de nos frontières.
— Emmanuel Macron (@EmmanuelMacron) 15 aprile 2019
Le parole di Macron
Mentre scrivo questo articolo, gli idranti continuano a gettare acqua, e probabilmente proseguiranno per tutta la notte. Le grandi torri però sono salve, come anche la struttura perimetrale esterna. Macron parla alla nazione e al mondo: “abbiate fiducia e speranza, la ricostruiremo, splendida come la ricordate”.
Mentre ascolto le parole di Macron, quasi inciampo in un gruppo di persone, inginocchiate per terra: pregano intonando un canto melodioso, rivolte in direzione della cattedrale. Realizzo un ultimo breve video mentre le lacrime, per la rabbia, prendono anche me. Pare francamente tutto un sogno, e invece è tristemente vero.
Domani, dopodomani, saranno i giorni delle polemiche: perché poche decine di pompieri nella prima mezz’ora di incendio? E soprattutto, cosa più importante: perché un cantiere costruito attorno a una struttura così delicata e preziosa era di fatto incustodito, nonostante i rischi potenziali, stante la probabile presenza di vernici e altri materiali del genere, accanto a manufatti di legno vecchi di secoli? Possibile non esista un piano di sicurezza preventivo?
Mi tornano in mente le mie lezioni in università sul crisis management, su quanto il problema sia culturale, e su quanta poca attenzione vi sia, in molti casi, alla previsione anticipata di scenari di emergenza.
Ora però è solo il tempo del “calo di tensione”, e della felicità immensa per l’impegno degli operatori delle forze di soccorso che hanno permesso di salvare il salvabile, primi tra tutti i tesori, le reliquie e le testimonianze storiche custodite nella chiesa, nella sua cripta, nei suoi sotterranei. Per me è tempo di farmi una doccia, per togliermi dai capelli quelli che mi rendo conto essere molti frammenti di cenere, che ho ovunque in testa, muta testimonianza di una notte che non avrei mai voluto vivere, ma che non dimenticherò per tutta la vita.
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