Cosa resta dei treni dopo la pandemia e quali le opportunità del Pnrr. Pendolaria di Legambiente fotografa un sistema in transito, anzi in transizione.
Sempre più pendolari si fidano dei treni, una fiducia su cui investire
Si faranno passi avanti solo se si scommetterà di più su treni, tram e metropolitane a discapito di strade, autostrade e tangenziali. L’editoriale di Legambiente.
Il drammatico incidente avvenuto il 25 gennaio, a Pioltello, alle porte di Milano ha riportato l’attenzione sul tema del trasporto pubblico dei pendolari, quello dei treni regionali in particolare, che sposta ogni giorno due milioni e 841mila passeggeri.
In attesa di sapere dalle indagini quali siano state le cause del deragliamento e, se ci sono e quali sono, le responsabilità della tragedia, il recente dossier Pendolaria di Legambiente ci descrive lo stato del trasporto ferroviario in Italia, facendo il punto su passeggeri, investimenti e criticità dei servizi, regione per regione.
5 milioni di persone viaggiano sui treni italiani
Occorre dire in premessa che negli ultimi anni, dal punto di vista delle risorse finanziarie, si è finalmente vista un’inversione di tendenza: va riconosciuto che la “cura del ferro” del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti sta mostrando i primi risultati, anche se gli effetti più significativi, se la cura verrà proseguita, potremo vederli solo tra qualche anno.
In generale, la mobilità su ferro riguarda oggi 5,51 milioni di persone, con un aumento dei passeggeri pendolari e con un incremento delle distanze tra le performance delle diverse regioni, con un potenziamento dell’alta velocità e ancora insufficienti interventi su intercity e treni regionali, ancora troppo spesso lenti e vecchi.
Emerge il ritratto di un paese a due velocità, con i successi dell’alta velocità maturati in questi anni, con l’ampia offerta di treni tra Salerno, Roma, Firenze, Bologna, Milano, Torino e Venezia e un aumento dell’offerta in meno di undici anni pari al 435 per cento, a cui si affianca una situazione del trasporto regionale che rimane difficile, anche per via della riduzione dei treni intercity e dei collegamenti a lunga percorrenza (-15,5 per cento dal 2010 al 2016) che in molte aree hanno fatto precipitare il numero dei pendolari ferroviari. Tra i tanti, è esemplare il caso della tratta Roma-Lido di Ostia, linea suburbana gestita da Atac, dove studenti e lavoratori sono passati in pochi anni da quasi 100mila a 55mila, con un crollo del 45 per cento.
Per contro, risulta con evidenza un dato: dove si investe in treni, i passeggeri pendolari aumentano.
In Lombardia, dove circolano più treni che in tutte le regioni del Sud, nonostante le criticità irrisolte su molte linee, si è raggiunta quota 735mila passeggeri al giorno sui treni regionali (+24 per cento dal 2009), mentre in Friuli Venezia Giulia si è passati da 13mila a 21.500 viaggiatori, con un aumento del +38 per cento. In aumento i pendolari anche in Abruzzo (+5,3 per cento), grazie al recupero di alcune corse nel 2017 e l’introduzione del cadenzamento dei treni sulla linea costiera adriatica. Bene anche l’Emilia-Romagna che tocca quota 205mila (erano 106.500 nel 2010), in Trentino si è passati da 13mila a 26.400, in Alto Adige da 19.900 a 31.400, in Puglia da 80mila a 150mila.
Insomma, i numeri ci dicono che gli italiani, se si garantiscono buoni standard dal punto di vista dei collegamenti, del numero di viaggi, della qualità generale dei convogli, hanno chiaramente dimostrato di preferire il viaggio in treno per spostarsi da casa al luogo di lavoro o di studio.
Leggi anche: Le dieci peggiori linee ferroviarie d’Italia
Ci sono pesanti ritardi da recuperare, ma dobbiamo puntare a un raddoppio dei pendolari su ferrovia entro il 2030, arrivando a toccare quota dieci milioni. Occorre sanare il forte gap delle regioni meridionali, dove, per esempio in Sicilia ci sono 429 corse dei treni regionali contro le 2.396 della Lombardia, dove i treni hanno un’età media di quasi vent’anni e sono lenti, dove ancora troppe tratte sono a binario unico.
Stop agli investimenti in strade e autostrade
E occorre garantire un deciso cambio di rotta sul fronte dei finanziamenti statali e regionali per le infrastrutture: dal 2002 a oggi i finanziamenti statali hanno premiato per il 60 per cento gli investimenti in strade e autostrade e solo per il 13 per cento le reti metropolitane. Stesso discorso per le regioni, che continuano a scegliere strade e autostrade come priorità degli investimenti. Basti il caso dell’Emilia-Romagna che sta investendo 179 milioni di euro di risorse pubbliche per la realizzazione di un’autostrada regionale come la Cispadana, o quello dei tre miliardi destinati a nuove autostrade dalla regione Lombardia.
Noi siamo convinti che la vera sfida sia l’incremento del numero delle persone che si spostano in treno verso le nostre città e, in particolare, questo vale per il Sud. Un obiettivo concreto e raggiungibile solo se il trasporto pubblico diventerà veramente concorrenziale all’uso dell’automobile privata. Ossia, solo se Stato e regioni cominceranno a mettere più risorse su treni regionali, tram e metropolitane a discapito di strade, autostrade, bretelle e nuove tangenziali.
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