Dichiarazioni tiepide sono arrivate da Mosca dopo la vittoria di Trump. Rimane incerto il futuro dell’invasione dell’Ucraina.
Perché la Russia ha occupato la Crimea
La Russia ha invaso la Crimea con 16mila tra soldati e paramilitari per “difendere” la popolazione ucraina di lingua russa. La diplomazia è al lavoro per fermarla.
Il presidente russo Vladimir Putin ha giustificato l’invasione della Crimea, la penisola ucraina che si affaccia sul mar Nero, sostenendo che la fine del governo filorusso guidato da Viktor Yanukovich avvenuta il 22 febbraio e sostituito da uno ad interim composto da esponenti dell’opposizione europeista rappresenta una minaccia concreta per la popolazione di lingua russa. Questa è la maggioranza nella Repubblica autonoma di Crimea.
Questa mattina Putin ha tenuto una conferenza stampa a Russia Today in cui ha detto che “dal punto di vista legale Viktor Yanukovich è ancora il presidente dell’Ucraina” e che il nuovo governo è illegittimo. Inoltre ha dichiarato che la Russia non sta “prendendo in considerazione l’ipotesi di annessione della Crimea, che ha lo stesso diritto di autodeterminazione del Kosovo”.
Dalla Russia alla Crimea con 16mila militari
L’occupazione è avvenuta con 16mila soldati o forze paramilitari – secondo quanto riportato da Yuri Sergeyev, ambasciatore ucraino alle Nazioni Unite – senza che sia stato sparato nessun colpo d’arma da fuoco. I due aeroporti della regione sono occupati, per le strade sono presenti numerosi posti di blocco, mentre le basi militari ucraine sono state circondate e i soldati costretti al loro interno.
L’assenza di violenza da parte dei militari russi o la caduta del governo di Yanukovich in seguito alle proteste di piazza a Kiev non sono e non possono essere giustificazioni plausibili all’invasione ordinata da Putin dopo l’autorizzazione ricevuta dalla Camera alta del parlamento di Mosca. L’approvazione a usare l’esercito, arrivata all’unanimità, in teoria non si limita all’invasione della Crimea, ma potrebbe valere per l’intero territorio ucraino.
Perché un paese non può invaderne un altro
L’articolo 2.4 della Carta delle Nazioni Unite recita così: “I membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”.
L’unica concessione delle Nazioni Unite all’uso della forza riguarda la legittima difesa che può essere usata, secondo quanto previsto dall’articolo 51, solo in seguito a un attacco armato e “fintantoché il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”. Consiglio che sta studiando la possibilità di inviare osservatori internazionali per tenere sotto controllo la situazione di crisi.
La diplomazia al lavoro per la Crimea
Per evitare il peggio la diplomazia internazionale si sta muovendo per evitare innanzitutto che venga sparato anche un solo colpo d’arma da fuoco, in secondo luogo per cercare di far ragione Putin e costringerlo pacificamente alla ritirata. La prima decisione presa dai capi di stato e di governo del G8, Italia inclusa, è stata quella di sospendere la partecipazione al prossimo vertice in programma a giugno a Sochi, la città dove si sono da poco conclusi i Giochi olimpici invernali.
Nei giorni scorsi, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente degli Stati Uniti Barack Obama hanno avuto una lunga conversazione telefonica con Putin in cui hanno cercato di difendere l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina. Lunedì 3 marzo Obama ha detto che la Russia “si trova dal lato sbagliato della storia”.
Lo stesso giorno i ministri degli Esteri dei paesi che fanno parte dell’Unione europea hanno avuto un incontro in cui hanno definito un “atto di aggressione” quello messo in atto dalla Russia anche se non hanno ancora deciso il tipo di sanzioni da imporre. Il ministro degli Esteri Federica Mogherini, intervistata da Skytg24, ha affermato che è importante seguire la strada del dialogo per trovare una soluzione politica alla crisi perché “non esistono alternative” alla diplomazia.
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