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“Cadi sette volte, rialzati otto” e altri concetti di resilienza giapponesi
Il Giappone è conosciuto per la sua cultura millenaria ma anche per essere soggetto a calamità naturali. Dall’incontro di queste circostanze sono emersi concetti di resilienza che influenzano ogni aspetto della vita.
La parola giapponese per resilienza è danryoku sei, che significa anche elasticità, flessibilità e adattabilità. Queste caratteristiche sono preziose in un paese che ha conosciuto eventi storici drammatici ed è particolarmente soggetto ai disastri naturali – si trova infatti nella parte occidentale della Cintura di fuoco, un’area in cui sono concentrati il 90 per cento dei terremoti e tre quarti dei vulcani sulla Terra. Nonostante un passato e un presente segnati da calamità, in Giappone uno dei valori sociali più importanti è quello dell’armonia. E per ottenere e, soprattutto, preservare l’equilibrio anche in tempi tumultuosi serve resilienza.
Oggi questa parola viene usata spesso in relazione ai cambiamenti climatici per indicare quanto una comunità o un intero stato siano in grado di anticipare, prepararsi e rispondere agli effetti del riscaldamento globale. Il Giappone, come tutte le altre nazioni, è vulnerabile agli stravolgimenti climatici, ma ci sono aspetti della sua storia e della sua cultura che lo rendono ben attrezzato per affrontarli.
Dobbiamo abbracciare il dolore e bruciarlo come carburante per il nostro viaggio.Kenji Miyazawa
Nana korobi ya oki, la base della resilienza
“Cadi sette volte, rialzati otto”. Così recita un proverbio giapponese. Non importa, dunque, quante volte affrontiamo il fallimento, l’importante è tirarci su e andare avanti. “Questo pensiero è presente in diversi aspetti della cultura giapponese, dalla scuola, al mondo del lavoro, agli sport, alle arti marziali”, racconta Garr Reynolds, che insegna alle persone come applicare i principi dello zen alla comunicazione. “Il problema è che spesso ci facciamo scoraggiare così tanto dai nostri errori che non riusciamo a riprenderci”, prosegue Reynolds, ma essere resilienti significa invece sapere imparare dalle situazioni difficili.
La frase nana korobi ya oki ci insegna anche che le cose importanti richiedono impegno e determinazione. A questo concetto possiamo associare quello di gambatte, un’espressione usata comunemente per dire “fai del tuo meglio” e “non mollare”. L’enfasi, quindi, non viene posta sul successo ma su come affrontiamo una determinata situazione. Un messaggio positivo e incoraggiante che le persone condividono in ambiti come lo sport, il lavoro e nelle piccole azioni quotidiane.
La comunità prima dell’individuo
Oltre al quoziente intellettivo, forse non tutti sanno che esiste anche il “quoziente di avversità” per misurare quanto le persone siano equipaggiate per affrontare gli ostacoli, sviluppato da Paul Stolz oltre vent’anni fa. Una scienza della resilienza, insomma. E secondo la ricercatrice Barbara Fredrickson, la resilienza è legata alle emozioni positive, che sono il carburante che permette di illuminare il percorso anche nei momenti bui. Quando fatichiamo a trovare la positività dentro di noi, a volte gli altri possono venirci in soccorso, soprattutto in contesti caratterizzati da un forte senso di comunità.
L’idea di mettere il bene della comunità davanti al proprio è alla base del confucianesimo. Questo, come altri concetti sviluppati da Confucio, filosofo cinese del Sesto e Quinto secolo a.C., fa parte anche della cultura giapponese, che deve molto all’influenza della vicina Cina. Un esempio recente di questo profondo senso di responsabilità sociale è quello dei “50 di Fukushima”, gli impiegati della centrale nucleare di Fukushima Daiichi che misero la propria vita in pericolo per evitare le peggiori conseguenze dei danni causati dallo tsunami dell’11 marzo 2011.
Uno spirito di sacrificio e resilienza che manifestarono anche gli abitanti del Tōhoku, la regione colpita dal terremoto e dal maremoto che uccise oltre 20mila persone. Molti osservatori rimasero colpiti dal comportamento calmo e ordinato delle vittime del disastro e dalla loro solidarietà, ad esempio nel condividere gli aiuti. Da allora, gli abitanti della zona sono determinati a rialzarsi, nonostante i traumi e le oggettive difficoltà; una ripartenza che prevede anche la conversione di Fukushima all’utilizzo di energia 100 per cento rinnovabile entro il 2040.
Essere preparati
Nelle aziende giapponesi una pratica comune è quella di trasferire il personale di reparto in reparto perché conosca tutte le attività. Anche nel lavoro, dunque, saper ripartire è considerata una dote importante. Il concetto di sradicare o abbattere qualcosa per poi ricrearlo è espresso concretamente nella tradizione di ricostruire ogni vent’anni, da oltre mille anni, i santuari di naikū e gekū all’interno del complesso di Ise, uno dei luoghi più sacri dello shintoismo. Secondo questa religione, la natura si rinnova costantemente e tutto è transitorio, e la distruzione-ricostruzione di questi edifici ha permesso di tramandare tecniche millenarie di generazione in generazione.
Il Giappone è famoso per le sue eccellenze architettoniche e ingegneristiche, alcune delle quali si sono sviluppate anche per far fronte ai disastri naturali. Da edifici storici come le pagode goju no to costruite a cinque piani come misura antisismica, di cui l’esempio più antico è il tempio buddista di Hōryū-ji, all’impressionante cattedrale sotterranea contro le inondazioni inaugurata a Tokyo nel 2006 dopo oltre un decennio di lavori.
La capitale, come il resto del paese, è suscettibile agli effetti dei cambiamenti climatici come l’innalzamento del livello dei mari e gli eventi meteorologici estremi: il Canale di scarico sotterraneo dell’area metropolitana è un sistema di tunnel e cisterne che permette all’acqua di defluire in caso di esondazioni dei cinque fiumi che attraversano la città. Oltre ad avere ridotto di due terzi il numero di case colpite da allagamenti, è diventato addirittura un’attrazione turistica.
Non ci si arrende alla pioggia
Perseverare, dare sempre il meglio, mettere gli altri davanti a sé ed essere preparati. Questo è il profilo che riunisce i concetti di resilienza giapponesi, di cui un esponente nel mondo della letteratura è stato Kenji Miyazawa, poeta e scrittore di fine Ottocento-inizio Novecento originario del Tōhoku.
Nei giorni successivi al disastro del 2011 venne trasmessa alla radio giapponese una sua poesia. Ame ni mo makezu, “non ci si arrende alla pioggia”, celebra l’altruismo e la felicità che si raggiunge aiutando gli altri, prima di noi stessi. Questa, per Kenji, è l’essenza di essere umani.
Non lo vince la pioggia
Non lo vince il vento
Non lo vince la neve
o la calura dell’estate
Ha un corpo forte
Non ha desideri
Non perde mai la calma
Ride sempre di un sorriso tranquillo
Ogni giorno mangia quattro scodelle di riso bruno
del miso e un po’ di verdure
In tutte le cose, non tiene in considerazione se stesso
Osserva attento, ascolta, capisce
E non dimentica
Vive in una piccola capanna dal tetto d’erba
all’ombra di un bosco di pini nelle campagne
Se a est c’è un bimbo malato
va a curarlo
Se a ovest c’è una madre stanca
va a sorreggere il suo covone di riso
Se a sud c’è qualcuno vicino alla morte
gli va a dire che non serve aver paura
Se a nord c’è una lite o una disputa legale
esclama: smettetela con tali sciocchezze
In tempo di siccità versa le sue lacrime
Se l’estate è fredda va in giro dandosene pensiero
Tutti dicono che è una testa vuota
Nessuno lo elogia
E nessuno è preoccupato per causa suaQuesta è la persona
Che voglio diventareAme ni mo makezu di Kenji Miyazawa, traduzione di Rossella Marangoni
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