A Milano un murale intitolato “Respiro” ha l’obiettivo di dare un tocco di verde in più alla città e non solo.
Rio 2016 nella storia, per la prima volta gareggia una squadra olimpica di rifugiati
Alle Olimpiadi di Rio ci sarà, per la prima volta, una squadra composta da dieci rifugiati. Così i giochi olimpici brasiliani sono già entrati nella storia.
Le Olimpiadi di Rio de Janeiro, in Brasile, hanno già segnato il primo record passando alla storia per la presenza di una squadra di rifugiati composta da dieci atleti scappati da guerre, persecuzioni, fame. Dieci atleti selezionati dal Comitato olimpico internazionale (noto anche come Cio dalle iniziali del nome originale francese Comité international olympique) all’interno di un gruppo di 43 persone che concorreranno dal 5 al 21 agosto 2016 per arricchire il medagliere del Refugee Olympic Team (Rot), la squadra olimpica dei rifugiati.
Chi sono i dieci atleti del Refugee Olympic Team
Rami Anis è il primo atleta ad essere stato annunciato ufficialmente. Si tratta di un nuotatore siriano, cresciuto nella capitale Aleppo, che ora vive e si allena in Belgio. Insieme a lui Yusra Mardini, nuotatrice siriana attualmente residente in Germania. Yolande Busaka Mabika e Popole Misenga sono due judoka congolesi che si allenano in Brasile dal 2013. Yonas Kinde è etiope e si allena per la maratona in Lussemburgo.
E poi c’è un gruppo di cinque corridori sudsudanesi che ha avuto il privilegio di essere allenato dalla campionessa di atletica leggera Tegla Loroupe, 47 anni, keniana, cinque volte campione mondiale di mezza maratona. Loroupe nel 2003 ha dato vita alla Tegla Loroupe peace foundation per promuovere progetti di solidarietà legati allo sport. Uno di questi progetti, all’inizio sembrava quasi impossibile: portare otto rifugiati alle Olimpiadi del 2016. Persone che, a causa delle condizioni in cui versa il loro paese di origine, non si sarebbero nemmeno potute allenare in libertà. Figurarsi immaginare di arrivare a disputare i Giochi olimpici, la massima competizione, l’obiettivo ultimo della carriera di uno sportivo.
Dopo Saamiya, il sogno riparte
Eppure, il loro sogno è diventato realtà. Un sogno che ricorda la storia di Saamiya Yusuf Omar, la ragazza somala che ha partecipato alle Olimpiadi di Pechino del 2008 e che poi ha perso la vita cercando di attraversare, nel 2012, il mar Mediterraneo per sbarcare a Lampedusa. La sua storia di atleta e migrante è stata raccontata dallo scrittore, vincitore del premio Strega, Giuseppe Catozzella nel romanzo Non dirmi che hai paura.
“Fra i dieci che andranno a Rio il prossimo agosto ce ne sono alcuni del gruppo di ragazzi e ragazze che Tegla Loroupe ha fortemente voluto che si allenassero e risiedessero alla Casa di Anita. Grazie a Tegla che ci ha coinvolti nel suo sogno di fare dello sport una vera scuola di pace”, ha dichiarato padre Renato Kizito Sesana, missionario comboniano che da decenni opera in Africa. Nel 1995 ha fondato la comunità Koinonia che ha istituito e sostiene, insieme alla ong milanese Amani, case di accoglienza, centri educativi, scolastici e professionali in Kenya, Zambia e Sudan.
Questi i nomi e le specialità dei cinque corridori selezionati: Yiech Pur Biel gareggia negli 800 metri maschili; James Nyang Chiengjiek nei 400 metri maschili; Anjelina Nada Lohalith nei 1500 metri femminili; Rose Nathike Lokonyen negli 800 metri femminili; Paulo Amotun Lokoro nei 1500 metri maschili.
Sulle verdi colline di Ngong
La Casa di Anita si trova sulle colline verdi e silenziose di Ngong, fuori dalla capitale keniana Nairobi, e quando non ospita atleti in partenza per le Olimpiadi accoglie dal 1999 ex bambine e ragazze di strada. Un luogo ideale, evidentemente, anche per concentrarsi e trovare l’armonia giusta.
“Questi rifugiati non hanno una casa, una squadra, una bandiera, non hanno un inno nazionale. Noi abbiamo dato loro un posto presso il villaggio olimpico insieme agli atleti di tutto il mondo. L’inno olimpico verrà suonato in loro onore e la bandiera olimpica li guiderà nello stadio” durante le cerimonie ufficiali, ha dichiarato Thomas Bach, presidente del Cio. “Questi atleti rifugiati mostreranno al mondo che nonostante le tragedie inimmaginabili che hanno vissuto, chiunque può lasciare il segno attraverso il proprio talento, le proprie capacità e la forza dello spirito umano”, ha concluso Bach.
Durante le due settimane di Olimpiadi, questi dieci atleti che hanno attraversato mari e deserti, che hanno subito l’agonia della guerra e provato sulla loro pelle le sofferenze atroci che questa infligge, che si sono scontrati con l’indifferenza e il razzismo, potranno finalmente vivere un momento di pace straordinaria, dialogare con persone da ogni parte del mondo, ricevere consigli dai più grandi campioni e competere con loro, sullo stesso piano. E chissà che il sogno della partecipazione non si possa trasformare nel miracolo della vittoria.
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