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Quello dei rifiuti è il nuovo business della criminalità organizzata in Lombardia
La Lombardia ha un problema con i roghi di rifiuti, che stanno intossicando Milano. Un fenomeno talmente diffuso che si sta parlando del territorio lombardo come la nuova Terra dei fuochi.
Al civico 21 di via Chiasserini, periferia nord di Milano, il via vai di persone non si è ancora fermato. Qualche settimana fa un pool di ispettori e figure istituzionali ha aperto i cancelli, su cui ancora pende il cartello di sequestro, per effettuare un sopralluogo. C’era da verificare lo stato dei lavori di bonifica, che andranno avanti almeno fino alla prossima primavera.
Qui il 14 ottobre del 2018 c’è stato un incendio devastante. Le fiamme sono andate avanti per giorni, in città è scoppiata una psicosi collettiva. Per domarlo è stato necessario il lavoro di 172 equipaggi dei vigili del fuoco. Ad andare a fuoco sono stati 16mila metri cubi di materiale prevalentemente plastico, in una struttura di 2.500 metri quadrati.
Tre giorni prima, un’ispezione aveva rivelato che la società che gestiva il sito non aveva l’autorizzazione a trattare rifiuti, mentre a poche ore dall’incendio l’amministratore della società si era dimesso. Tanti elementi che aumentavano i sospetti sul rogo. Nei giorni dell’incendio, la diossina nell’aria era fino a 100 volte superiore al limite europeo, con un picco di 22 volte il valore guida fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). I test successivi dell’Arpa hanno poi fatto rientrare l’allarme: “I rischi per la salute sono bassi, se non inesistenti, nel medio lungo termine”.
Roghi di rifiuti in Lombardia, la nuova Terra dei fuochi
Quello dei roghi di rifiuti è un fenomeno che è esploso in modo diffuso negli ultimi anni sul territorio lombardo, tanto che il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha parlato di “nuova Terra dei fuochi”. Nel 2018 ci sono stati 22 roghi di rifiuti nella regione. Nel 2017 erano stati 21, nel 2016 soltanto sei. I Verdi aggiornano quotidianamente una mappa partecipata con tutti gli episodi degli ultimi anni, la pianura lombarda appare come un mosaico di spunte colorate. Una delle zone più colpite è proprio Milano e il suo hinterland, con una trentina di eventi solo nell’ultimo triennio.
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Lo smaltimento dei rifiuti, soprattutto quelli speciali, è stato sottoposto a una normativa stringente negli ultimi anni, che ha portato a un aumento dei costi. Se nel 2015 servivano circa 80 euro per smaltire una tonnellata di rifiuti, oggi si arriva fino a 240 euro. Per ridurre queste spese, diversi imprenditori hanno iniziato ad affidarsi ai circuiti illegali di smaltimento, un settore dove la presenza mafiosa sembra sempre più evidente.
Rifiuti e mafie
“Nei territori a tradizionale presenza mafiosa diversi traffici illeciti vengono controllati dalle mafie. Questa dinamica è presente in alcuni casi anche al nord”, spiega Serena Favarin, ricercatrice del centro Transcrime-Università Cattolica. “La criminalità organizzata cerca di riciclare il proprio denaro investendo nell’economia legale e lo fa anche nel settore dei rifiuti. Fonda o rileva aziende che si occupano del trattamento e dello smaltimento, ma poi non opera lecitamente”. La gestione dei rifiuti viene ottenuta attraverso normali appalti e le imprese a infiltrazione criminale trattano in modo regolare una piccola parte dei materiali. La maggior parte viene invece interrata o stipata in capannoni abbandonati. I roghi diventano così il modo concreto, e più economico, per smaltirli, o per cancellare le tracce quando le procure iniziano a vigilare sugli impianti.
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Che tutto questo stia avvenendo ora non sembra un caso. A inizio 2018 la Cina, importatore storico di rifiuti riciclabili dall’Europa, ha chiuso le sue frontiere. I magazzini nostrani hanno così visto crescere la quantità stipata di materiali da riciclare come plastica, carta, metalli, che non trovano sbocchi di mercato. La domanda europea di prodotti rigenerati è infatti decisamente minore rispetto all’immensa offerta di materiali da riciclare. Questo stallo, implicitamente, può aver favorito il ricorso di diversi imprenditori allo smaltimento illegale.
Milano è un hub di criminalità
Anche il fatto che Milano stia diventando il centro di queste pratiche non è casuale. “Il capoluogo lombardo è un hub per diversi tipi di criminalità, si tratta di una grande città che attorno a sé genera degli indotti economici molto grandi, non è quindi così strano pensare che possa attrarre nuovi tipi di criminalità”, spiega Favarin. La pianura padana pullula di capannoni dismessi, miniere d’oro per i trafficanti. Negli scorsi mesi i Carabinieri hanno scoperto diverse strutture in apparente stato di abbandono, in realtà colme di rifiuti plastici. Ma c’è dell’altro. “La scelta lombarda può essere dettata dalla volontà di allontanare questo business dai riflettori istituzionali, puntati maggiormente su altri territori, come il Sud Italia”, sottolinea Favarin.
Le conseguenze dei roghi che stanno tartassando il territorio lombardo sono innanzitutto economiche. È sempre difficile, se non impossibile, risalire ai titolari degli impianti o ai responsabili dei roghi e a sobbarcarsi le spese di bonifica sono dunque le istituzioni, con i soldi dei contribuenti. Questo rende ancora più attraente questo business per la criminalità organizzata, che ormai tende a preferirlo ad altre attività più onerose in termini economici e penali come il traffico di stupefacenti. Negli ultimi tempi, comunque, ci sono state le prime operazioni di polizia.
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L’operazione Feudo ha portato a inizio ottobre a 11 provvedimenti di custodia cautelare, tra cui due arresti, per un traffico illecito di rifiuti tra la Calabria e la Lombardia che solo nel 2018 avrebbe fruttato 1,7 milioni di euro. A giugno 20 persone sono state arrestate con le stesse accuse in un’altra inchiesta, mentre poche settimane fa i responsabili del rogo di via Chiasserini sono stati condannati fino a sei anni e sei mesi.
Le conseguenze ambientali e sanitarie dei roghi di rifiuti
Ma le conseguenze degli incendi di rifiuti sono anche ambientali e sanitarie. “Spesso non si trovano tracce di questi roghi, perché le colonne d’aria causano una dispersione in atmosfera delle sostanze. Questo vuol dire che magari non abbiamo un inquinamento localizzato nel tempo, ma comunque l’inquinamento c’è. Semplicemente, si diffonde in un raggio molto più grande rispetto al luogo in cui è avvenuto il rogo”, spiega la presidente di Legambiente Lombardia, Barbara Meggetto.
Un problema ulteriore per Milano, che già non se la passa bene in termini di qualità dell’aria. “La città si trova in piena crisi da inquinamento atmosferico, se a tutte le sostanze inquinanti che già mandiamo in atmosfera sommiamo quelle nocive derivanti dai roghi, ci si rende conto di come esse vadano ad alimentare un circuito che non fa bene alla salute dei cittadini”, continua Meggetto. A questo si aggiunge poi il tema della contaminazione nociva del suolo, ugualmente pericolosa ma più difficile da monitorare.
Insomma, da qualche tempo in Lombardia si è aperta una stagione emergenziale legata allo smaltimento dei rifiuti, frutto di un patto illegale e molto pericoloso tra imprenditoria e criminalità organizzata. Gli abitanti di via Chiasserini sono diventati il simbolo di questo pericolo e, nonostante le varie rassicurazioni, continuano ad aver paura.
Ci hanno detto di stare tranquilli, ma per settimane abbiamo respirato diossina. Ora hanno coperto tutto, ma i rifiuti sono ancora lì sotto.abitante di via Chiasserini, Milano
“Ci hanno detto di stare tranquilli, certo è che per settimane abbiamo respirato diossina”, chiosa un abitante. “Ora hanno coperto tutto, ma i rifiuti sono ancora lì sotto”, sogghigna ironicamente il titolare di un bar nella via. A causa del lungo iter burocratico, la bonifica dello spazio è in effetti iniziata solo a luglio, nove mesi dopo l’incendio. Qualche settimana fa Riccardo Pase, presidente della Commissione Ambiente e Protezione civile, ha comunque sottolineato che “ad oggi, tutti i parametri sono nella norma”.
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Tra qualche mese lo spazio dovrebbe essere totalmente ripulito. Una buona notizia, che non cambia però lo stato delle cose. Mentre le ruspe accumulano i rifiuti e ripuliscono il terreno di via Chiasserini, nuovi depositi vanno a fuoco nella regione. È successo a Settimo Milanese a luglio, a Codogno ad agosto, a Fombio a settembre.
Tanti focolai che si ripetono ormai cronicamente. Sintomo di una bomba ambientale che, se non si interviene con attività di prevenzione e monitoraggio, rischia di esplodere in modo definitivo.
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