Get with the action è la mostra al museo d’arte moderna di San Francisco dedicata ai manifesti politici e sociali. Per tracciare l’impatto di questi efficaci mezzi di comunicazione di massa dagli anni Sessanta a oggi.
Quante bombe hanno sganciato gli Stati Uniti nel 2016
Gli Stati Uniti hanno sganciato oltre 26mila bombe nell’ultimo anno di presidenza Obama. Obiettivo primario: eliminare lo Stato Islamico dalle mappe.
Su Barack Obama si è scritto e detto molto nelle ultime settimane dei suoi otto anni da presidente degli Stati Uniti d’America. Molte parole sono state spese per elogiare la sua retorica e la sua capacità di esprimersi e infondere speranza nelle persone. Anche su LifeGate sono stati pubblicati numerosi articoli. Il più rilevante è senz’altro La dottrina Obama, ovvero un breve saggio (o un articolo approfondito a seconda dei punti di vista) sulla politica estera del presidente firmato da Jeffrey Goldberg, caporedattore della rivista americana Atlantic. Goldberg ha seguito Obama da vicino in questi anni, da quando è stato insignito del premio Nobel per la pace nel 2009, e ha avuto numerose occasioni per conversare con lui di geopolitica. Ciò che ne emerge è un marcato non-interventismo. Così marcato al punto che molti avversari politici interni, soprattutto della sponda repubblicana, lo hanno accusato di debolezza se paragonato con lo stile adottato dagli altri protagonisti della comunità internazionale: il presidente russo Vladimir Putin su tutti.
Militari a casa, droni al fronte
Un dato raccolto e pubblicato dal blog di Micah Zenko sul sito del Council on foreign relations (Cfr), però, sembra mettere in discussione questa tesi. Obama ha effettivamente e consistentemente ridotto le truppe in Iraq e in Afghanistan, portando il numero di militari al fronte dai 187.900 del 2008, ultimo anno della presidenza di George W. Bush, ai 12.559 di oggi.
Allo stesso tempo però Obama ha anche sdoganato la politica degli interventi cosiddetti mirati, chirurgici condotti dagli Stati Uniti dall’alto e volti a distruggere obiettivi precisi. Principalmente bombardamenti aerei, condotti anche da droni, che hanno evitato il dispiegamento di militari in territori ostili, ma che hanno influito concretamente sul proseguimento di guerre e conflitti.
72 bombe al giorno, 3 ogni ora
Il totale delle bombe sganciate dagli Usa nel 2016 è stato pari a 26.172 (3.028 in più del 2015). 72 bombe al giorno, 3 ogni ora. 24.287 (il 93 per cento) in soli due stati, Iraq e Siria, e rappresentano il 79 per cento (5.904) del totale dei 7.473 bombardamenti (strike) effettuati con 30.743 bombe dall’intera coalizione internazionale Combined joint task force – Operation inherent resolve (Cjtf-Oir) nata per eliminare la presenza dello Stato Islamico (o Daesh) nella regione e composta perlopiù da forze armate locali quali, ad esempio, i peshmerga curdi o l’aviazione irachena.
Ogni bombardamento, dunque, avrebbe bisogno mediamente di 4 bombe (o altro tipo di munizioni), secondo quanto si può desumere dai dati di Zenko che ha affermato che “per determinare quante bombe sono state sganciate rispettivamente in Iraq e Siria” ha dovuto guardare “alla percentuale di bombardamenti aerei portati avanti dalla Cjtf-Oir in ogni stato. Questi sono stati più o meno divisi a metà, con il 49,8 per cento (o 2.941 bombardamenti) condotti in Iraq e il 50,2 per cento (o 2.963 bombardamenti) in Siria. Quindi, il numero di bombe sganciate è stato altrettanto simile nei due paesi (12.095 in Iraq e 12.192 in Siria)”.
7 paesi bombardati dagli Usa nel 2016
Siria | 12.192 |
Iraq | 12.095 |
Afghanistan | 1.337 |
Libia | 496 |
Yemen | 35 |
Somalia | 14 |
Pakistan | 3 |
Totale | 26.172 |
Le restanti bombe (1.885 pari al 7 per cento) sono state sganciate in altri cinque stati: Afghanistan, Yemen, Somalia, Pakistan e Libia. Il totale dunque è di sette paesi colpiti, uno in più del 2015 (Libia), a fronte dei quattro (Afghanistan, Iraq, Pakistan e Somalia) nel mirino di Bush. Un tweet del giornalista del New Yorker Ryan Lizza aveva messo in luce questo divario in modo pressoché disarmante già nel 2014.
Countries bombed:
Obama 7, Bush 4— Ryan Lizza (@RyanLizza) 23 settembre 2014
Questi numeri fanno tornare alla mente il documentario del 2013 Dirty wars – Guerra sporca che vede il giornalista Jeremy Scahill viaggiare dall’Afghanistan allo Yemen, passando per la Somalia, per trovare e parlare con i civili – definiti anche “danni collaterali” quando vengono uccisi accidentalmente – che subiscono, inermi, questi attacchi aerei volti (ufficialmente) a “stanare” terroristi, estremisti e altri nemici degli Stati Uniti. I morti civili sarebbero stati tra 64 e 116 nel periodo compreso tra il 2009 e il 2015 secondo le fonti governative americane, ma secondo il Bureau of investigative journalism le vittime innocenti sarebbero state tra 380 e 801, fino a sei volte di più.
C’è bisogno di tempo, di anni per capire che mondo ci ha lasciato Obama, nei fatti. Un mondo che sembra caratterizzato da uno stato di guerra permanente. La qualità di questa eredità, in ogni caso, non può prescindere dalle conseguenze che le sue decisioni hanno avuto per le vite umane che hanno il passaporto di una nazionalità diversa da quella americana.
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