La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Gli Usa hanno modificato l’applicazione dell’Endangered species act, rendendo più incerto il futuro delle specie animali minacciate.
L’Endangered species act, adottato nel 1973, è una legge in vigore negli Stati Uniti, nata con l’obiettivo di conservare e proteggere le specie in pericolo e i loro habitat. La legge, usando le parole dello scrittore ed economista americano Peter Barnes, “attesta che il diritto delle specie a sopravvivere precede il diritto al guadagno a breve termine del capitale”. Oggi, però, tale diritto sembra essere stato messo in discussione. Il 12 agosto il governo degli Stati Uniti, guidato da Donald Trump, ha infatti indebolito tale legge, rendendo le sue misure meno restrittive.
Le modifiche al modo in cui viene applicato l’Endangered species act, lodate dall’industria e condannate da chiunque abbia a cuore le sorti della biosfera, renderanno più difficile proteggere la fauna selvatica dalle molteplici minacce legate all’impatto antropico e ai cambiamenti climatici. Le nuove regole, che entreranno in vigore il mese prossimo, renderanno più semplice la rimozione di una specie dall’elenco delle specie in pericolo e indebolirebbero le protezioni per le specie minacciate, ovvero lo status prima di essere ritenute a rischio d’estinzione.
Quello che spaventa, in particolare, è il cambio di paradigma: per la prima volta infatti non ci si limiterà ad analizzare lo stato di salute di una determinata specie animale, ma verranno anche condotte valutazioni economiche. Le misure necessarie a conservare una specie saranno pertanto analizzate anche da un punto di vista economico, ad esempio, stimando le entrate perse in seguito al divieto di disboscamento in un determinato habitat.
L’impatto economico della protezione di una specie diventerà pertanto più importante della tutela di quella stessa specie, sovvertendo ogni logica conservazionista. Negli Stati Uniti oltre 1.600 specie sono considerate ufficialmente a rischio. Molte specie minacciate non potranno d’ora in poi godere delle stesse misure di tutela di quelle elencate come “in via di estinzione” e saranno più vulnerabili.
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La nuova legge rende le specie minacciate dai mutamenti del clima particolarmente esposte. Uno dei cambiamenti più controversi riguarda infatti le limitazioni alla capacità dei legislatori di prendere in considerazione i cambiamenti climatici quando effettuano le valutazioni per inserire le specie tra quelle minacciate. In pratica i legislatori potranno ignorare gli effetti del caldo estremo, della siccità, dell’innalzamento del livello del mare e altre conseguenze dei cambiamenti climatici che potrebbero verificarsi tra qualche decennio.
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Non è una buona notizia per alcune specie in particolare, tra cui gli orsi polari (Ursus maritimus), che stanno perdendo il ghiaccio marino da cui dipendono, e i beluga (Delphinapterus leucas), che dovranno immergersi più in profondità e più a lungo per trovare cibo in un Artico sempre più caldo. Il futuro sembra particolarmente cupo anche per il ghiottone (Gulo gulo), grande mustelide che potrebbe perdere due terzi del suo areale entro la fine del secolo, l’allocco macchiato settentrionale (Strix occidentalis caurina) e il Nicrophorus americanus, coleottero endemico del Nord America, un tempo presente in in 35 stati e ora solo in nove, minacciato da agricoltura intensiva ed espolarazioni petrolifere.
[vimeo url=”https://vimeo.com/16756524″]Video Cano Cristales[/vimeo]
Dall’entrata in vigore dell’Endangered species act, firmato dall’allora presidente americano Richard Nixon, più di 1.650 specie vi sono state inserite, nelle categorie a rischio o minacciate. La legge ha permesso in quasi mezzo secolo di proteggere numerose specie iconiche, come l’aquila di mare testabianca (Haliaeetus leucocephalus), il grizzly (Ursus arctos horribilis), il falco pellegrino (Falco peregrinus), la megattera (Megaptera novaeangliae) e la popolazione di lamantino dei Caraibi (Trichechus manatus) della Florida.
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