Sette idee per vivere l’atmosfera natalizia tra lo shopping nei mercatini, passeggiate in borghi vestiti a festa e mirabili opere d’arte.
Luca Borriello. Con la street art ridiamo speranza alle periferie, a cominciare da Napoli Est
La street art è una forma d’arte “imprevista e impertinente”, almeno secondo il gruppo di ragazzi che sta cercando di ridare vita alle periferie italiane valorizzando la creatività dei suoi abitanti. Cos’è e cosa fa Inward nelle parole del suo fondatore Luca Borriello.
Napoli Est, quartiere Ponticelli. Periferia tra le più difficili e complesse d’Italia. Un territorio giovane e con il più alto tasso di dispersione scolastica e disoccupazione, immerso in un contesto dove la criminalità minaccia le prospettive di sviluppo individuali e dell’intera comunità. È a partire da qui che una rete di organizzazioni sociali e culturali sta cercando di cambiare il destino degli abitanti grazie “all’adozione” del Parco Merola, già ribattezzato Parco dei murales, nel tentativo di ridare speranza all’intero quartiere con un progetto di riqualificazione artistica e rigenerazione sociale basato sull’arte di strada.
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A guidare la riscossa è Inward, un osservatorio sulla creatività urbana. Per capire di più abbiamo posto qualche domanda a Luca Borriello, direttore ricerca dell’organizzazione. Finora, nel parco di Napoli Est sono state realizzate sei delle otto opere di street art previste, su altrettante facciate di edifici e palazzi. Dietro ogni opera c’è un lavoro di integrazione e di condivisione che vede la partecipazione dei residenti, soprattutto dei più piccoli che fanno della strada il loro parco giochi. Ma l’impegno di Inward non si limita al territorio di Napoli. Tra le opere di sensibilizzazione più famose, infatti, ci sono il murale di Palermo dedicato a Falcone e Borsellino che hanno sacrificato la loro vita contro la mafia o quello realizzato a Reggio Calabria dal titolo La madre di Arghillà contro ogni forma di razzismo.
Jorit AGOch è l’autore di diverse opere importanti a Napoli, dal murale raffigurante l’idolo calcistico Diego Armando Maradona, a quello di San Gennaro. Che rapporto avete con Jorit e, più in generale, come scegliete gli artisti con cui lavorate?
Abbiamo molta cura nel selezionare gli artisti da valorizzare nei nostri progetti di arte urbana. La scelta non è mai casuale e di frequente è legata al territorio in cui ci troviamo ad operare. L’arte di Jorit AGOch, ad esempio, rispecchia molto il peso e l’importanza dell’iconografia realistica per il popolo napoletano: proprio per questo è fondamentale ed anche stimolante ricercare i possibili legami tra gli artisti e le comunità che ospiteranno le opere. Abbiamo finanziato sia San Gennaro che Maradona, due icone della nostra città, e ne siamo contenti.
L’opera a Ponticelli, dal titolo Ael, la zingarella, affronta il tema del razzismo ed è stata realizzata nei pressi di un luogo da dove i rom furono cacciati malamente tempo fa. Questa urgenza ha attratto Jorit, a nostro avviso necessitando di un grande realismo pittorico per rappresentare una bambina rom, realissima e vivente, strappata a un territorio dove stava per innescarsi la sua prima socializzazione scolare. È come se il tema, per il tramite della curatela, trovasse la sua migliore e più consona professionalità artistica.
Come anticipato da te, un’altra iniziativa importante sul territorio napoletano è il Parco dei murales a Ponticelli, dove anche i giovani locali sono coinvolti nello sviluppo dei soggetti dei murales. Che attività e percorsi di formazione organizzate per i ragazzi con cui lavorate?
Il Parco dei murales di Napoli Est rappresenta un programma di riqualificazione artistica e rigenerazione sociale. Cominciato con l’opera di Jorit, si è poi sviluppato come un progetto trovando la sua forma più matura e attuale, tra arte e promozione sociale. Questo significa che allo sviluppo materiale delle opere si aggancia un valore: il coinvolgimento della comunità tramite laboratori sociali. Le attività possono essere definite ludico-educative e sono dedicate principalmente ai bambini, agli adolescenti e alle mamme che vivono nel complesso residenziale.
L’intento è avviare un riscatto socioculturale incentrato su temi attuali come la tutela e la cura delle proprie radici e del proprio quartiere. Ognuno contribuisce a ricercare i temi rappresentati dagli artisti sulle grandi facciate, imparando non solo a cooperare per un valore comune ma divenendo, in contemporanea, cooperatori di un progetto sociale e artistico. A questo punto ogni grande opera di street art inizia a sortire i suoi effetti pratici sul Parco stesso, innescando il cambiamento.
In tutte le opere di Ponticelli sono rappresentati bambini, il nostro futuro. Una casualità o una scelta precisa?
I bambini sono la parte più viva e colorata del Parco dei murales e certamente la più entusiasta. Molti di loro non sono mai entrati in un museo ma adesso non solo conoscono le tecniche più utilizzate nel mondo della street art, ma iniziano a comprendere il valore degli interventi. Tramite la partecipazione del nostro team, di tutor, psicologi e volontari del servizio civile nazionale vengono ascoltati sogni e necessità di una comunità che poi gli street artist più sensibili rielaborano nel proprio stile, attingendo pure dalla creatività dell’infanzia. Si potrebbe ben dire che l’arte del Parco dei murales abbia una cornice pedagogica.
Il Parco dei murales dovrebbe arrivare a ospitare otto opere. Qual è il vostro obiettivo finale e quali pensa possano essere gli effetti sulla comunità di Ponticelli e di Napoli?
I laboratori creativi fanno parte di questa sessione molto bella e importante che si sta vivendo all’interno del Parco e siamo certi che essi continueranno a essere attivi ben oltre la realizzazione delle opere stesse generando conseguenze positive nel quartiere. Attualmente il Parco dei Murales è come una sorta di distretto della creatività urbana, il primo e unico in Campania, e noi immaginiamo di poter replicare questo modello anche altrove, non solo nella periferia di Napoli. Per creare un grande incubatore sociale che aiuti le comunità locali a riflettere sulla propria identità, sui valori e sul contributo che chiunque, indistintamente, può donare al territorio. La street art diventa in questo modo strumentale, nel senso più genuino e aristotelico del termine, come causa principale di un dinamico divenire.
Cosa avete previsto per trasformare questo parco in un museo all’aperto e attirare sempre più turisti? Quali sono le reazioni dei visitatori e di chi a Ponticelli ci vive?
Stupore. In una periferia delicata e molto complessa come quella di Napoli Est il colore del Parco dei Murales risulta stupefacente ai più. Si può dire che questo distretto animato dalla creatività urbana si sia concretizzato quando al colore della riqualificazione artistica e al calore della rigenerazione sociale si è affiancato il vettore della promozione, l’avvio dei primi tour di street art che hanno contribuito a definire un più ampio programma fatto di arte, educazione e valorizzazione territoriale. Dapprima con l’associazione Econote, poi sotto i buoni auspici dell’aeroporto internazionale di Napoli che ha creduto nell’iniziativa, i tour si sono strutturati sempre meglio. Il ricavato, per altro, sostiene la cooperativa sociale Arginalia, nata per favorire l’occupazione per i ragazzi di Napoli Est.
Nell’immaginario comune gli enti pubblici sono spesso associati a un’azione repressiva nei confronti delle forme di creatività urbana. Ma il forte legame tra Inward e queste istituzioni smentiscono quest’idea. Perché questi enti si sono avvicinati al mondo della creatività urbana?
Negli ultimi anni è notevolmente cresciuto il consenso per gli interventi di arte urbana, soprattutto tra la popolazione più giovane. Fin da quando abbiamo iniziato a ragionarci ci siamo trovati di fronte l’opinione pubblica, il mondo dell’informazione e la politica. Dentro questa triangolazione si giocava il senso di un fenomeno, con molti fraintendimenti e qualche compromesso. Poi le cose sono cambiate, siamo cresciuti, siamo entrati più in gioco ed abbiamo cercato di sovvertire il quadro illogico che relegava una forma espressiva interamente al vandalismo.
La street art ha un grandissimo potere comunicativo ma anche educativo, in più è facilmente accessibile a tutti: questa forza ha permesso a numerosi enti e istituzioni di avvicinarsi al fenomeno e ai tanti artisti ormai affermati nel campo urbano contemporaneo. Alcuni enti e organizzazioni hanno saputo cogliere subito l’importanza e la forza comunicativa di questi interventi: ci piace pensare che questo sia solo l’inizio di più proficue collaborazioni con il pubblico e il privato. Inoltre, con Anci, coordiniamo il Tavolo nazionale degli esperti di street art che riunisce migliaia di enti pubblici in Italia, gestendo anche il sito Italian Graffiti grazie al quale monitoriamo il polso della situazione.
I progetti fin qui citati sono stati effettuati in città del Mezzogiorno. Possiamo citare anche “La madre di Arghillà”, l’opera di Rosk e Loste a Reggio Calabria. Perché molti dei vostri progetti sono al Sud?
Come osservatorio nazionale sulla creatività urbana abbiamo sviluppato collaborazioni e progetti in tutta Italia, da nord a sud. Con quest’ultimo territorio abbiamo certamente un rapporto speciale, il nostro Centro territoriale per la creatività urbana ha sede nella periferia di Napoli, ma c’è un motivo che forse ancora ci fa volgere verso il meridione: l’impostazione che ci siamo dati e che è maturata in noi secondo uno schema che mescola distinti settori fortemente centrati sul mix di riqualificazione e rigenerazione che porta con sé un carico sociale e comunitario fatto di relazioni dal basso. Da un lato sembra essere prerogativa di buona parte della street art attuale, dall’altro sembra che soprattutto al sud riesca a trovare la sua migliore formula espressiva.
Il murale raffigurante Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a Palermo offre un punto di vista nuovo su un episodio importante nella storia non solo di questa città ma di tutto il Paese. E forse anche per questo è stato apprezzato da molti. Qual è il futuro per questo tipo di arte inteso come mezzo per tenere viva la memoria e informare le persone?
L’opera a Palermo ci è stata commissionata dall’Associazione nazionale magistrati, un grande orgoglio per noi ed un senso di responsabilità senza pari. La forza della street art risiede nella naturale capacità di propagare messaggi in pubblico, spesso di uguaglianza, civiltà, coscienza e numerosi altri valori, tramite un linguaggio popolare e attrattivo. Proprio per questo gli interventi di arte urbana, come in passato è avvenuto per altre forme artistiche, possono soltanto mantenere in vita la memoria e divenire mezzo d’informazione e discussione, ma possono soprattutto avvicinare a questi mondi che spingono ormai verso la maturità un pubblico più giovane, rendendoli parte attiva di una comunicazione che non passi solo attraverso i social network.
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Attraverso Inopinatum, Inward si è posizionato come un polo importante della ricerca internazionale. Esiste un consenso tra i ricercatori su quali sono i principali effetti della creatività urbana in ambito sociale?
Inopinatum è il Centro studi sulla creatività urbana da noi ideato e creato ormai dieci anni fa all’Università La Sapienza di Roma. Il suo stesso nome è emblema di una caratteristica dell’oggetto di studio: “imprevista impertinenza”, piglio retorico suggerito da Frontone a Cicerone per le sue esposizioni al pubblico ascolto. È inutile precisare quanto sia congeniale a descrivere una tra le essenze del fenomeno. Il nostro Centro studi, fissandosi in un ambito specifico della ricerca sapientina, ha avuto una benedizione comunicazionale che a noi stessi è sembrata sempre valida, ritenendo la capacità comunicativa della street art effettiva e condivisa, e non è così per il valore artistico o per quello sociale o altro ancora. Il team di ricercatori e studiosi internazionali è di contro di estrazione molto variegata, in modo tale da offrire una seria, valida e ricca panoramica disciplinare sulle sfaccettature del dibattito.
Come parte italiana della commissione di ricerca di Lisbon street art & urban creativity, abbiamo ricevuto proposte da 21 Paesi, come Arabia Saudita, Cile, Malesia, Israele, e con un taglio disciplinare variegato: maggiormente sociologico – con pareri sia affini sia addirittura contrastanti –, ma anche prendendo a prestito dall’archeologia, dall’educazione, dalle scienze del paesaggio, dalla conservazione dei beni culturali e dalla giurisprudenza. La missione per noi è comprendere se la street art conservi ancora una sua capacità di “imprevista impertinenza”, anche nei settori culturali più standardizzati e se quindi sia capace di destare attenzioni sopite fornendo punti di vista che non siano del tutto regolari.
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