La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Un nuovo studio ha rivelato che tra il 1999 e il 2015 nell’isola asiatica la popolazione di oranghi si è più che dimezzata a causa della distruzione delle foreste.
Gli oranghi del Borneo (Pongo pygmaeus) muoiono ad un ritmo terrificante, si stanno dirigendo verso il baratro dell’estinzione e, parafrasando il poeta, per quanto noi ci crediamo assolti saremo per sempre coinvolti nella scomparsa di una delle specie più carismatiche e amate del pianeta. Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Current biology ha rilevato che in appena sedici anni, dal 1999 al 2015, oltre 100mila oranghi sono morti in Borneo e la popolazione dell’isola si è drasticamente ridotta.
La causa principale del declino di queste grandi scimmie è lo sfruttamento insostenibile delle risorse naturali nelle aree tropicali. Gli effetti sulla fauna selvatica della distruzione di questi ecosistemi, caratterizzati da un’elevata biodiversità, sono ancora poco conosciuti. I ricercatori che hanno condotto lo studio hanno utilizzato i dati delle indagini sul campo, modelli della distribuzione dei nidi dei primati e il telerilevamento per indagare l’impatto dell’abuso delle risorse e delle variazioni dell’uso del suolo sulla distribuzione della densità degli oranghi. Secondo gli studiosi tra il 1999 e il 2015 metà della popolazione di oranghi, classificati nel 2016 “in pericolo critico” dalla Lista rossa della Iucn, è rimasta vittima della deforestazione e delle piantagioni intensive.
Oltre ad aver subito la distruzione del loro habitat, gli oranghi sono spesso vittime di cacciatori e agricoltori che li abbattono con ogni mezzo per mangiarne la carne, catturarne i cuccioli da vendere come animali domestici e proteggere le colture. Secondo i ricercatori attualmente sopravvivrebbero nel Borneo tra 70 e 100mila oranghi e prevedono che, senza concrete politiche di conservazione, nei prossimi 35 anni ne scompariranno altri 45mila esemplari. Gli studiosi hanno identificato 64 gruppi distinti di oranghi, ma si ritiene che solo 38 di questi comprendano più di 100 individui, il numero minimo per considerare un gruppo vitale.
Le popolazioni locali di orango, secondo quanto emerso dalla ricerca, sono diminuite fino al 75 per cento. “Mi aspettavo un declino abbastanza netto, ma non di queste proporzioni – ha commentato Serge Wich, ricercatore della Liverpool John Moores University e coautore dello studio. – Mentre effettuavamo le analisi, le eseguivamo ancora e ancora per capire se avevamo commesso errori da qualche parte. Pensavamo che i numeri del declino degli oranghi non potessero essere così alti, ma purtroppo lo sono”.
Per prevenire la scomparsa di questi gentili primati occorre combatterne le cause attraverso iniziative politiche e sociali. È necessario, ad esempio, pianificare meglio l’uso del territorio, lo sfruttamento delle risorse e lo sviluppo delle infrastrutture. È importante anche insegnare alle popolazioni locali il valore degli oranghi. “Abbiamo bisogno di lavorare con le persone per aiutarle a capire che gli oranghi non sono pericolosi e che è illegale ucciderli – ha affermato Wich. – Potrebbe essere d’aiuto trovare dei testimonial indonesiani e malesi che aumentino la consapevolezza dell’importanza degli oranghi attraverso i social media”. Considerato l’enorme impatto sugli oranghi delle piantagioni di palma da olio, anche i consumatori possono fare la differenza prediligendo marchi che utilizzano solo olio di palma sostenibile.
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