La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Una nuova esplorazione petrolifera di Eni al largo della costa orientale del Sudafrica potrebbe estinguere i celacanti, pesci antichissimi che nuotavano coi dinosauri.
Era il 1938 quando Marjorie Courtenay-Latimer, curatrice di un museo di storia naturale sudafricano, durante un’ispezione a bordo del peschereccio Nerine in cerca di qualche esemplare interessante per il museo, notò tra un ammasso di pesci e invertebrati marini una bizzarra creatura blu, con pinne simili ad arti. Quell’animale, che Courtenay-Latimer definì il “più bel pesce che avessi mai visto”, era un celacanto delle Comore (Latimeria chalumnae), pesce che si credeva estinto da milioni di anni, alla fine del Cretaceo. Oggi la specie è in grave pericolo, si stima che ne sopravvivano appena trenta esemplari, e il colpo di grazia a queste antiche creature potrebbe essere inferto dalle esplorazioni petrolifere.
La prima popolazione conosciuta di celacanti fu documentata all’inizio degli anni Cinquanta, dopo che un secondo esemplare fu pescato al largo delle isole Comore, tra l’Africa e il Madagascar. Oggi gli scienziati ritengono che ne esistano solo trenta individui, facendo del celacanto uno dei pesci più rari al mondo. Questi animali, che appartengono alla classe dei Sarcopterigi e il cui aspetto è rimasto pressoché invariato negli ultimi 420 milioni di anni, sono oggi minacciati da una nuova esplorazione petrolifera al largo della costa orientale del Sudafrica che potrebbe alterarne l’ecosistema.
Nel 2000 una piccola colonia di celacanti è stata individuata da un gruppo di subacquei nei canyon sottomarini vicino alla baia di Sodwana, nei pressi dell’iSimangaliso wetland park, area protetta dalla strabiliante biodiversità marina e terrestre nominata patrimonio mondiale dell’Unesco. Eni, la multinazionale italiana del settore energetico, ha in programma di scavare diversi pozzi in cerca di petrolio in acque profonde in un blocco esplorativo lungo 400 chilometri noto come Block ER236, non lontano dal parco sudafricano.
I celacanti che vivono negli abissi di Sodwana si trovano a circa 40 chilometri dal confine settentrionale dell’area di esplorazione dell’Eni e a circa 200 chilometri a nord dei primi siti di perforazione. Andrew Venter, amministratore delegato dell’organizzazione coservazionista Wildtrust, ritiene che la distanza non sia comunque sufficiente a proteggere gli animali in caso di perdite di petrolio. “La fuoriuscita di petrolio dalla Deepwater Horizon nel Golfo del Messico nel 2010 ha decimato le popolazioni ittiche – ha affermato Venter. – Pertanto una perdita nei dintorni dell’area dell’iSimangaliso è molto probabile che possa spazzare via questi celacanti”.
Nonostante i loro antenati abbiano nuotato con i dinosauri, i celacanti sono creature fragili, molto sensibili ai disturbi ambientali. “Qualunque cosa interferisca con la loro capacità di assorbire l’ossigeno, come l’inquinamento provocato dal petrolio, minaccerebbe la loro sopravvivenza”, ha dichiarato Mike Bruton, esperto di celacanti. L’obbligatoria valutazione di impatto ambientale condotta da Eni lo scorso anno non menziona in alcun modo la potenziale minaccia per i celacanti di Sodwana. Il celacanto è sopravvissuto per milioni di anni, nascosto nelle oscure e rassicuranti profondità dei mari, ma un disastro petrolifero potrebbe spazzare via per sempre dal pianeta questa antica specie.
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