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Il sanguinario boss della mafia Totò Riina è morto nel carcere di Parma nelle prime ore del 17 novembre. Scontava 26 ergastoli per 150 omicidi.
Il cuore spietato, ostinato, irredimibile di Salvatore Riina, detto Totò, ex capo dei capi di Cosa Nostra, ha smesso di battere alle ore 3:37 di venerdì 17 novembre 2017, nel carcere di Parma. Malato da tempo, è morto dopo aver chiesto, nel luglio scorso, di poter uscire dal penitenziario per essere ricoverato in ospedale: il tribunale di Bologna aveva però negato la sospensione della pena. A 87 anni appena compiuti, il boss della mafia scontava così in cella, al 41bis (il “carcere duro”), i 26 ergastoli ai quali era stato condannato per circa 150 omicidi. Tra questi, quelli dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, assassinati assieme agli uomini delle scorte tra i mesi di maggio e luglio del 1992.
“Totò u curtu” era nato a Corleone, nell’entroterra palermitano, in Sicilia. Era il 16 novembre 1930. Figlio di contadini, si avvicina alla mafia giovanissimo, dopo aver perso il padre e il fratello mentre cercavano di estrarre della polvere da sparo da una bomba inesplosa. Diciannovenne, si vede inflitta la prima condanna a dodici anni di reclusione, scontata in parte all’Ucciardone, il carcere di Palermo: aveva ammazzato un coetaneo nel corso di una rissa.
Riina finisce in manette una seconda volta nel dicembre del ‘63, perché trovato in possesso di una carta d’identità falsa e di una pistola non dichiarata. Ma uscirà sei anni dopo. È in quel periodo che diventa uno dei “soldati” di Luciano Liggio, storico boss della mafia, del quale prenderà il posto alla metà degli anni Settanta. Totò “u curtu” diventa così “la belva”. Nel 1974 sposa Antonietta Bagarella, sorella di Leoluca, altro capo storico della mafia: da lei avrà quattro figli. La sua vita privata scorre in parallelo a quella criminale, costellata di omicidi, rapimenti, racket, traffico di droga. Comincia così il suo quarto di secolo di clandestinità.
Ricercato, latitante, inafferrabile, temuto, Riina continua a dirigere Cosa Nostra per tutta la durata degli anni Ottanta, e oltre. È il periodo della “seconda guerra di mafia”, tra le famiglie più potenti di Cosa Nostra. Degli omicidi eccellenti e delle “lupare bianche”. Della Palermo corrotta, collusa, connivente. Dello stato impotente. Un decennio sanguinoso, cominciato con la morte di Piersanti Mattarella, il 6 gennaio 1980, fratello dell’attuale presidente della repubblica Sergio. E proseguito con gli assassini del capitano dei carabinieri Emanuele Basile, del segretario del partito comunista in Sicilia Pio La Torre, del giornalista Pippo Fava, del dirigente della squadra mobile Ninni Cassarà, della giovanissima Graziella Campagna, freddata perché aveva riconosciuto due latitanti, del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
In quel decennio di sangue viene ucciso anche il capo dell’ufficio istruzione del tribunale di Palermo, Rocco Chinnici: era lui a dirigere il lavoro di Falcone e Borsellino. Il suo posto verrà preso da Antonino Caponnetto, che con i due magistrati (e gli altri due giudici Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta) diede vita al “pool antimafia”, in vista del “maxi-processo” tenuto nell’aula bunker dell’Ucciardone. Al termine del quale verranno condannati 346 mafiosi, comminati 19 ergastoli e inflitte pene detentive per un totale di 2.665 anni di reclusione.
Riina, assieme ad altri boss del calibro di Bernardo Provenzano e Bagarella, è condannato in contumacia: le forze dell’ordine dovranno aspettare il 15 gennaio 1993 per rimettergli le manette ai polsi. Nonostante l’arresto, il capo della mafia è considerato la mente degli attentati avvenuto nel corso dello stesso anno a Roma, Milano e Firenze, costati la vita a dieci persone. Le stragi rappresentano l’apice della strategia mafiosa della tensione.
Insieme a Totò Riina, verranno con ogni probabilità seppelliti numerosi misteri della storia recente del nostro paese. A partire da quelli relativi alla presunta trattativa tra lo stato e la mafia, negli anni Novanta. “La belva” non ha mai accennato ad alcun pentimento, alcun rimorso. Non ha mai collaborato con la giustizia. Mai tradito le cosche. Mai seguito le orme di Tommaso Buscetta, storico pentito della mafia. Al quale fece ammazzare undici parenti.
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