La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
La transizione energetica per gli Usa è un affare, in tutti i sensi
A un primo sguardo, la transizione energetica è un’impresa titanica. È inutile negarlo: per tutelare il Pianeta di fronte alla minaccia dei cambiamenti climatici bisogna investire enormi capitali, per cambiare dall’interno il modo di operare di aziende, Stati e persone. Ma c’è una buona notizia: la missione è possibile, sia a livello tecnologico sia a
A un primo sguardo, la transizione energetica è un’impresa titanica. È inutile negarlo: per tutelare il Pianeta di fronte alla minaccia dei cambiamenti climatici bisogna investire enormi capitali, per cambiare dall’interno il modo di operare di aziende, Stati e persone. Ma c’è una buona notizia: la missione è possibile, sia a livello tecnologico sia a livello economico. Anzi, economicamente si tratta di una gigantesca opportunità di business. Lo dimostra il report “From Risk to Return. Investing in a Clean Energy Economy” del Risky Business Project, che si basa sulle analisi condotte dal World Resources Institute.
I cambiamenti climatici? Un rischio inaccettabile
Già in un report del 2014 il Risky Business Project aveva fatto una stima dei rischi economici che il cambiamento climatico, se non arginato a dovere, comporterà per le aziende statunitensi e per i loro investitori. Arrivando a una conclusione netta: sono rischi eccessivi e inaccettabili. Stiamo parlando di eventi meteorologici estremi, ondate di calore, siccità, innalzamento del livello del mare e via discorrendo. Per invertire questo trend, gli Stati Uniti (e, come loro, le altre economie avanzate) dovranno ridurre le proprie emissioni di gas serra almeno dell’80 per cento entro il 2050. La transizione energetica, ovvero il passaggio da carbone e petrolio alle energie rinnovabili, è dunque una scelta obbligata.
Costi e ricavi della transizione energetica
La transizione energetica, però, costa. Il report arriva a dare delle cifre per gli Stati Uniti e sono molto pesanti: 220 miliardi di dollari l’anno dal 2020 al 2030, che saliranno a 410 nel decennio 2030-2040 e a 360 tra il 2040 e il 2050. Bisognerebbe investire soprattutto nella generazione di energia, nei biocarburanti, in veicoli leggeri di ultima generazione e nell’efficienza energetica. Ma ogni investimento comporta anche un ritorno. E, in questo caso, ne vale la pena. La transizione energetica infatti comporta anche un taglio della spesa per i combustibili fossili: dal 2020 in poi gli Usa risparmierebbero 65 miliardi di dollari l’anno, a partire dal 2040 addirittura 700 miliardi l’anno. Per non parlare dei posti di lavoro: le energie pulite sono in grado di creare un milione di posti di lavoro, soprattutto nei comparti delle costruzioni e delle utilities. Per giunta, a livello tecnico non servono miracoli: abbiamo già a disposizione tutte le tecnologie necessarie.
Se Trump non ci crede, bisogna sperare nelle aziende
A questo punto bisognerebbe riuscire a convincere Donald Trump, che in campagna elettorale aveva espresso a più riprese forti dubbi sulla veridicità delle teorie sul riscaldamento globale, condivise dal 97,1 per cento degli scienziati di tutto il mondo, e nella sua prima settimana da presidente degli Stati Uniti ha ridato il via alla costruzione degli oleodotti Keystone XL e Dakota Access. Un quadro legislativo chiaro e coraggioso a favore della transizione energetica – sottolinea il report – è infatti fondamentale per mettere i privati nella condizione di cambiare rotta.
Da parte loro, le aziende possono – e devono – fare molto. Innanzitutto, condurre un’analisi dettagliata dei rischi che il cambiamento climatico comporta per tutta la loro filiera, per sapere con esattezza dove intervenire per tagliare le emissioni. Dovranno poi comunicare quello che fanno in modo chiaro sia alle autorità sia agli investitori, che si stanno dimostrando sempre più attenti alle tematiche ambientali, sociali e di governance.
Cosa possono fare gli investitori
Una fondamentale spinta all’azione può arrivare dagli investitori, che ormai hanno i mezzi per misurare l’impatto ambientale del proprio portafoglio di investimenti e per intervenire di conseguenza. Come? Il primo passo è quello del confronto diretto con le aziende, che può prendere il nome di soft engagement quando è un semplice dialogo e di hard engagament quando si interviene all’assemblea degli azionisti. Negli anni, molti investitori hanno scelto di passare dalle parole ai fatti, disinvestendo dalle società che operano nel campo dei combustibili fossili; in certi casi, gli stessi capitali vengono reinvestiti verso altre aziende che favoriscono la transizione energetica (come propone la campagna Divest-Invest).
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