Un pomeriggio di confronto sui temi della biodiversità in occasione della presentazione del primo Bilancio di sostenibilità territoriale della Sardegna.
Villa Ghigi, un incredibile scrigno di biodiversità a due passi da Bologna
L’obiettivo del parco è quello di divulgare i temi della salvaguardia ambientale, proteggendo la biodiversità e recuperando antiche varietà botaniche.
Bologna è una città meravigliosa, sede dell’università più antica del mondo, culla della resistenza partigiana, in grado di regalare scorci unici di arte, cultura e storia.
Storia di Villa Ghigi e il suo parco
Le prime notizie della villa si hanno a partire dagli inizi del ‘600, ma l’epoca della costruzione si presume che sia molto ben prima. Nel 1691 l’abate Roberto Malvezzi vendette al mercante Giacomo Zagnoni la proprietà, che in seguito finì per matrimonio ai conti Cavalca. In epoca napoleonica la tenuta, che verso la fine del ’700 comprendeva sette poderi, passò dai Cavalca ai Caldesi e poi ai Chelotti e nel 1840 a Giuseppe Dozza (nel Catasto Gregoriano compaiono i toponimi Palazzo Dozza e Palazzino Dozza).
Nel 1874 la proprietà fu acquistata dall’avvocato di origine ravennate Callisto Ghigi e rimase alla famiglia sino al 1972. La tenuta, composta dai poderi Il Becco, Il Palazzino, I Tre Portoni, Stradelli e San Michele III (l’odierno parco include solo i primi due), era allora estesa per oltre cinquanta ettari.
Uno dei figli di Callisto, Alessandro (1875-1970), pur mantenendo una residenza in città, abitò la villa per tutta la vita, soprattutto nel periodo estivo, coltivando sin dall’infanzia la propria vocazione di naturalista. Nel 1922 ottenne la cattedra di Zoologia dell’Università di Bologna, della quale fu rettore tra il 1930 e il 1943. È considerato tra più illustri e attivi antesignani della protezione della natura in Italia. Nella villa si dedicò in particolare all’allevamento di colombi e fagiani esotici, per i quali fece predisporre una serie di voliere.
Alla fine degli anni ’60 Alessandro donò una porzione della tenuta al Comune di Bologna, pur continuando a risiedervi, e alla sua morte gli eredi cedettero la villa e parte dei restanti terreni all’Amministrazione comunale e vendettero altri due poderi a privati (San Michele III era stato in precedenza donata da Ghigi al CNR).
Il parco, dopo alcuni lavori di adeguamento alla nuova funzione, venne aperto al pubblico nel 1974. Dalla morte di Ghigi la villa non è più abitata.
Nella natura, senza allontanarsi dalla città
Eppure gli amanti dei parchi potrebbero sentirsi un po’ spaesati fra portici, autobus e fiumi di universitari, in particolare durante l’estate. Certo la città offre diversi parchi pubblici, dai celebri Giardini Margherita al Parco della Montagnola, ma se volete immergervi nella natura allontanandovi poco dal centro non c’è meta migliore di Villa Ghigi.
Come arrivare al parco di Villa Ghigi
Il parco si estende per quasi trenta ettari sui primi rilievi collinari a sud della città, immediatamente fuori Porta San Mamolo, ed è raggiungibile sia a piedi che in autobus. Il nome del parco ricorda lo zoologo Alessandro Ghigi, uno degli ultimi proprietari privati dell’area e pioniere della salvaguardia della natura in Italia.
Conservazione e divulgazione
Villa Ghigi vanta un notevole patrimonio botanico e presenta una ricca varietà delle specie spontanee di collina. Il parco, gestito dalla Fondazione Villa Ghigi, è anche teatro di numerose iniziative di conservazione della biodiversità, e di divulgazione.
Un frutteto unico in Italia
Nel 2010 è stato inaugurato il Frutteto del Palazzino, un frutteto speciale che fa parte della rete dei Rete dei frutteti della biodiversità, il cui obiettivo è quello di recuperare e valorizzare le antiche varietà di piante da frutto dell’Emilia-Romagna, proteggendone il patrimonio genetico e le antiche tecniche di coltivazione.
Il recupero di antiche varietà di albero
All’interno del frutteto sono stati messi a dimora gli innesti di alcuni tra i più vecchi esemplari di alberi da frutto che esistono nella regione, come viti, olivi, peri, meli, susini, melograni e fichi. In un angolo appartato del parco è stata ricreata una piccola popolazione di dittamo (Dictamnus albus), una rara e protetta pianta erbacea collinare, e sono stati posizionati nidi per gli insetti impollinatori indispensabili alla sua fecondazione.
Che animali è possibile vedere
Non solo piante e alberi, nel parco, con un po’ di fortuna e negli orari giusti, è possibile incontrare alcuni mammiferi tipici dell’Appennino, come il capriolo (Capreolus capreolus), la volpe (Vulpes vulpes), il cinghiale (Sus scrofa), il riccio (Erinaceus europaeus), il ghiro (Myoxus glis) e lo scoiattolo (Sciurus vulgaris).
Un rifugio per gli ululoni
L’animale più straordinario che potreste vedere però non è un mammifero, è un piccolo anfibio estremamente raro, l’ululone (Bombina pachypus). L’ululone, specie protetta e di interesse comunitario, è stato reintrodotto nel parco qualche anno fa ed è possibile ammirarlo mentre galleggia sul pelo dell’acqua nei vecchi fontanili nei pressi della sede della Fondazione Villa Ghigi.
Si tratta di un piccolo rospo dalla pancia gialla e nera (sintomo di tossicità e deterrente per i predatori) e deve il suo nome agli “ululati” emessi dai maschi per corteggiare le femmine. L’importanza biologica di questo animale è elevata, si tratta infatti di una specie che vive solo in Italia e che rischiamo di perdere per sempre.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Un aumento del 30% rispetto all’anno precedente, che risente anche delle conseguenze dei cambiamenti climatici.
ll Volcán de Fuego in Guatemala è il più attivo dell’America centrale. Alle sue pendici gli abitanti di Trinidad cercano di vivere senza paura.
Abbiamo già tutto quello che serve per difendere il mare, dobbiamo solo impegnarci. Parola di Emilio Mancuso, biologo marino e presidente di Verdeacqua.
Siamo stati al seminario organizzato da Rewilding Apennines in Abruzzo per cercare di capire qual è lo stato del rewilding in Italia e quali sono le prospettive future. Ecco cosa è emerso.
Lo ha fatto sapere la Provincia di Trento che ha agggiuno che “da un primo esame esterno della carcassa dell’orsa F36 non è stato possibile avanzare ipotesi sulla causa della morte”.
L’orsa Jj4 e l’orso Mj5 non saranno abbattuti almeno fino al 27 giugno. Lo ha decisio il Tar di Trento, accogliendo le istanze dei gruppi animalisti.
Scoperto un nuovo albero tropicale nella foresta Ebo, in Camerun, che Leonardo DiCaprio ha contribuito a proteggere. Per questo gli scienziati glielo hanno dedicato.
In ripresa il tonno, mentre il drago di Komodo risulta in pericolo a causa dei cambiamenti climatici. Squali e razze a rischio a causa della pesca eccessiva.