Con una sentenza storica, la Cassazione conferma la condanna per il comandante italiano che ha consegnato 101 migranti alla Libia.
La Women’s march è già la manifestazione più grande nella storia degli Stati Uniti
Milioni di persone sono scese in piazza negli ultimi giorni negli Stati Uniti a sostegno di due momenti storici e contrapposti. Il primo: l’insediamento di Donald Trump come 45esimo presidente americano che si è tenuto a Washington, il 20 gennaio. Il secondo, sempre nella capitale e in altre città nel paese e nel mondo, è stato organizzato in risposta
Milioni di persone sono scese in piazza negli ultimi giorni negli Stati Uniti a sostegno di due momenti storici e contrapposti. Il primo: l’insediamento di Donald Trump come 45esimo presidente americano che si è tenuto a Washington, il 20 gennaio. Il secondo, sempre nella capitale e in altre città nel paese e nel mondo, è stato organizzato in risposta agli eventi del giorno prima: la Women’s march (marcia delle donne) del 21 gennaio che ha voluto lanciare un messaggio chiaro alla nuova amministrazione: “i diritti delle donne sono diritti umani”, frase resa celebre dall’avversario elettorale di Trump, Hillary Clinton.
We believe that Women’s Rights are Human Rights and Human Rights are Women’s Rights.
— Women’s March (@womensmarch) 12 gennaio 2017
Oltre un milione di persone hanno partecipato alla marcia delle donne di Washington secondo gli organizzatori, con loro altri quattro milioni di manifestanti in più di 600 dimostrazioni parallele che si sono tenute in sette continenti, incluso l’Antartide. Così alcuni l’hanno definita la manifestazione più grande nella storia degli Stati Uniti con oltre tre milioni di partecipanti nei soli Stati Uniti.
@nickpwing @HuffPostPol in multiple places in Antarctica even! We’re representing at the Gonzalez Videla Base #womensmarchAntarctica pic.twitter.com/qFrpTcU7M7
— Lexi Kellison (@lexiiii_13) 21 gennaio 2017
#Whywemarch, perché marciamo
L’evento ha attratto celebrità e attivisti come le femministe Angela Davis e Gloria Steinem, la cantante Madonna, l’assistente sociale Maruym Ali (figlia di Muhammad Ali), il regista Michael Moore e l’attrice Scarlett Johansson. Se gli organizzatori insistono nell’affermare che la Women’s march non era una manifestazione contro Trump, chi è sceso in piazza si è sentito chiamato all’azione non solo per sostenere i diritti delle donne, ma anche dal bisogno di farlo in risposta all’elezione del magnate newyorkese. Durante la campagna elettorale gli atteggiamenti misogini dell’attuale presidente, infatti, sono venuti a galla con un’irruenza scioccante – ricordiamo, ad esempio, che nel 2005 Trump si vantava che le donne “le afferro dalle loro parti intime”.
Ora molti sono preoccupati che questa visione si tramuterà in politiche che penalizzeranno le donne in quanto donne, come l’intenzione del neopresidente di togliere i finanziamenti a Planned parenthood, una ong che offre servizi riproduttivi, tra cui l’aborto. Infatti, è proprio questa organizzazione ad essere stata lo sponsor principale della Women’s march.
Watched protests yesterday but was under the impression that we just had an election! Why didn’t these people vote? Celebs hurt cause badly.
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 22 gennaio 2017
Peaceful protests are a hallmark of our democracy. Even if I don’t always agree, I recognize the rights of people to express their views.
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 22 gennaio 2017
Oltre i diritti delle donne
La manifestazione ha attirato persone a sostegno di cause diverse e disparate, “riconoscendo che le donne hanno molte identità che si intersecano e sono dunque affette da molteplici questioni di giustizia sociale e diritti umani”, come si legge nel documento che definisce la visione e i principi della Women’s march. Si è scesi in piazza non solo per i diritti delle donne ma anche quelli economici, civili, delle minoranze, Lgbt, delle persone disabili, degli immigrati, per la giustizia ambientale e la fine di tutte le violenze. Per “riconoscere che le nostre comunità, vibranti e diverse, sono la forza del nostro paese” ma che “ferite e spaventate” si devono “confrontare su come andare avanti in un contesto nazionale e internazionale di preoccupazione e paura”.
Ed è proprio questa molteplicità di cause che ha portato alcuni a criticare il movimento: troppo eterogeneo per costituire una voce unita (ad esempio hanno partecipato anche femministe contro l’aborto). E il rischio è che le lotte delle minoranze vengano inglobate in una visione dei diritti e della giustizia dettata da donne bianche, eterosessuali e di classe media, cioè appartenenti ai gruppi che dominano la società statunitense.
Bowing out for today, kudos to @NWFproTX for this placard #WomensMarch come March with us May 20th – pro life pro women pro dignity! pic.twitter.com/TzWzTQN2UM
— March4LifeUK (@March4LifeUK) 21 gennaio 2017
Com’è nata l’idea di una Women’s march
Gli organizzatori raccontano che l’idea è nata grazie a una nonna hawaiana che ha invitato 40 amici a scendere in piazza a Washington il giorno dopo l’inaugurazione di Trump. L’evento si è diffuso rapidamente sui social network, coinvolgendo sempre più gruppi. È stato poi creato un comitato nazionale guidato da donne attiviste che ha dato all’iniziativa la struttura che gli ha permesso di diventare un evento di portata globale e storica.
Un futuro di azioni
Il 21 gennaio è passato, ma il comitato ha lanciato una nuova campagna: 10 azioni per i primi 100 giorni (riferendosi al primo, fondamentale periodo del governo di Trump). Un’azione nuova ogni dieci giorni, cominciando con l’esortare i cittadini statunitensi a mandare ai propri senatori una cartolina, scaricabile dal sito, per fargli sapere a cosa tengono maggiormente. Un tentativo di dare al movimento quella continuità che alcuni sospettano non riuscirà ad avere. Speriamo, invece, che gli scettici si sbaglino e che il seme dell’attivismo civile piantato dalla Women’s march possa continuare a crescere per i prossimi quattro anni, e oltre.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Numerose ong hanno sottolineato la situazione drammatica della popolazione palestinese a Gaza, chiedendo a Israele di rispettare il diritto umanitario.
Vida Diba, mente di Radical voice, ci parla della genesi della mostra che, grazie all’arte, racconta cosa significhi davvero la libertà. Ed esserne prive.
L’agenzia delle Nazioni Unite per la salute sessuale e riproduttiva (Unfpa) e il gruppo Prada hanno lanciato un programma di formazione per le donne africane.
Amnesty International ha pubblicato un manifesto elettorale in 10 punti rivolto ai partiti italiani: “I diritti umani non sono mai controversi”.
Si tratta di Zahra Seddiqi Hamedani ed Elham Choubdar colpevoli, secondo un tribunale, di aver promosso la “diffusione della corruzione sulla terra”.
Dal 2 al 4 settembre Emergency ricorderà che la pace è una scelta realmente perseguibile a partire dalla conoscenza e dalla pratica dei diritti umani.
Il Comune di Milano lo faceva già ma smise, attendendo una legge nazionale che ancora non c’è. Non si può più rimandare: si riparte per garantire diritti.
Le persone transgender hanno ora il diritto alla piena autodeterminazione a Milano grazie al primo registro di genere in Italia.