La Commissione europea propone il nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni nette per il 2040: meno 90 per cento rispetto ai livelli del 1990.
Cosa prevede il nuovo accordo europeo sulle energie rinnovabili al 2030
Le rinnovabili dovranno coprire il 32 per cento dei consumi energetici in Europa, entro il 2030. Per la prima volta si apre alle cooperative energetiche.
È stato raggiunto l’accordo europeo tra Parlamento europeo, Commissione europea e Consiglio europeo su quella che la sarà la transizione energetica del Vecchio continente per i prossimi dieci anni e sulle normative che la guideranno. Si tratta di un compromesso raggiunto tra i Governi europei, i rappresentanti delle istituzioni europee e parte della società civile nell’ambito del pacchetto “Clean energy for all Europeans“, presentato nel novembre 2016. L’intesa significa che due delle otto proposte normative racchiuse nel pacchetto sono state accolte favorevolmente dai legislatori. Ora l’asticella si alza, nonostante il piano precedente prevedesse solo il 27 per cento di energia da rinnovabili. Il nuovo obiettivo proposto è quello di raggiungere una quota vincolante di energia rinnovabile del 32 per cento entro il 2030, con una clausola di revisione al 2023. Significa che un terzo della domanda complessiva di energia dovrà provenire da fonti rinnovabili, trasporti inclusi.
Il nuovo quadro normativo arriva dopo lo storico pacchetto 20-20-20 e dopo che lo scorso 14 maggio era stato approvato il nuovo pacchetto di misure sull’efficienza energetica. Secondo il commissario per l’Azione e l’energia per il clima Miguel Arias Cañete si tratta di “un vero e proprio trionfo dei nostri sforzi per sbloccare il vero potenziale della transizione energetica pulita dell’Europa. Il nuovo accordo europeo ci aiuterà a raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e si tradurrà in più posti di lavoro, minori costi energetici per i consumatori e meno importazioni di energia”.
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Più libertà per i cittadini europei di produrre e consumare energia da rinnovabili
Uno dei punti nevralgici del nuovo accordo, come spiegato da Greenpeace è quello che “garantisce ai cittadini europei, alle autorità locali, ai piccoli imprenditori e alle cooperative il diritto di produrre, consumare, immagazzinare e vendere l’energia rinnovabile autoprodotta, senza essere per questo soggetti a sanzioni fiscali o oneri burocratici eccessivi”. Cosa accaduta ad esempio in Spagna, con la cosidetta “tassa sul solare”, che impone alle strutture che producono per autoconsumo oltre 10 kW, di pagare tasse aggiuntive. Ma l’accordo dovrebbe impedire che i Governi europei promulghino normative che vadano ad operare retroattivamente su sgravi fiscali ed incentivi, come accaduto in Italia o nel Regno Unito.
Non solo. Per la prima volta infatti l’Europa riconosce il ruolo attivo dei cittadini e delle comunità energetiche nella transizione energetica, aprendo di fatto la strada all’autoconsumo. Secondo un rapporto del 2016, redatto dall’istituto di ricerca ambientale Ce Delft per conto di Greenpeace, Federazione europea per le energie rinnovabili (Eref), Friends of the Earth Europe e REScoop.eu, la metà dei cittadini dell’Unione europea potrebbe produrre la propria elettricità autonomamente e da fonti rinnovabili entro il 2050, soddisfacendo così il 45 per cento della domanda di energia dell’Ue.
“Questo accordo riconosce per la prima volta il diritto dei cittadini di partecipare alla rivoluzione energetica in Europa e abbatte alcune grandi barriere che frenano la lotta al cambiamento climatico”, afferma Sebastian Mang, consulente energia di Greenpeace Ue in una nota. “Tutto ciò garantisce alle persone e alle comunità un maggiore controllo sull’energia che utilizzano, mettendole in condizione di partecipare alla crescita delle rinnovabili e di sfidare i colossi del settore energetico in tutto il continente”.
Più rinnovabili nei trasporti con l’accordo europeo
L’accordo fissa l’obiettivo del 14 per cento di rinnovabili anche per il settore dei trasporti e del 3,5 per cento per i biocarburanti di seconda generazione, ovvero quelli non derivanti da colture alimentari, seguendo la decisione di eliminare l’utilizzo di olio di palma per la produzione di biofuel entro il 2030. Un passo ulteriore verso le riduzione delle emissioni di CO2 di almeno il 40 per cento entro il 2030, e il rispetto dell’Accordo di Parigi sul clima.
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