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Difficoltà di concentrazione, iperattività, disturbi dell’umore, insicurezza e ansia: tra le cause di una sempre maggiore diffusione di questi sintomi nella popolazione infantile di molti paesi occidentali potrebbe esserci il progressivo allontanamento dei bambini dall’ambiente naturale. Foto: © Silvana Santo Il primo ad avanzare questa ipotesi, teorizzando appunto l’esistenza di un Nature deficit desorder (Disturbo
Difficoltà di concentrazione, iperattività, disturbi dell’umore, insicurezza e ansia: tra le cause di una sempre maggiore diffusione di questi sintomi nella popolazione infantile di molti paesi occidentali potrebbe esserci il progressivo allontanamento dei bambini dall’ambiente naturale.
Il primo ad avanzare questa ipotesi, teorizzando appunto l’esistenza di un Nature deficit desorder (Disturbo da deficit di natura), è stato Richard Louv, esperto americano di psicoterapia, consigliere del National Scientific Council, fondatore del Children and Nature Network, editorialista del New York Times. La sua ipotesi è illustrata nel libro L’ultimo bambino nei boschi: salvare i nostri figli dal disturbo da carenza di natura (Rizzoli, 2006, euro 19), in cui l’autore descrive le conseguenze del distacco sempre più profondo dagli elementi naturali sulla psiche di bambini e adolescenti. Un aspetto, questo dell’allontanamento dalla natura, particolarmente evidente nella società americana, dove la tradizionale abitudine di impiegare il tempo libero in attività all’aria aperta – dalla pesca al campeggio libero, dal trekking alle uscite invernali in slittino – è messa a dura prova dalla progressiva “tecnologizzazione” della società e dal conseguente abbandono degli ambienti naturali.
Secondo Louv, l’aumento dei casi infantili di disturbi dell’attenzione e sindromi depressive (stando al sito Consumer Report, il numero dei bambini americani che assumono psicofarmaci è triplicato negli ultimi 10-15 anni) è imputabile anche a questo fenomeno, e potrebbe essere ridimensionato promuovendo il ritorno dei bambini alla natura. In particolare, lo psicoterapeuta sostiene che, soprattutto in tenera età, l’assenza (o quasi) di contatto con alberi, prati, animali e specchi d’acqua possa favorire la comparsa di iperattività, disturbi dell’attenzione, aggressività, deficit dell’apprendimento e tendenze autolesioniste.
Foto: © Silvana Santo
Da allora la sua ipotesi è stata sposata da molti altri esperti di psichiatria infantile, convinti in ogni caso che la natura possa aiutare, come insegnano la pet terapy o la talassoterapia, anche nei casi in cui il disagio dipenda da altri fattori. Permettere ai bambini di giocare a contatto con la terra, con gli alberi e gli animali potrebbe dunque aiutarli ad avere più equilibrio e fiducia in se stessi o, più semplicemente, ad essere più felici. Senza effetti collaterali e a costo zero, tra l’altro: forse, vale la pena tentare.
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