Una proposta di direttiva europea spaventa l’Italia perché costringerebbe a riqualificare il 60 per cento degli edifici: ma sono preoccupazioni fondate?
Carbone, quante centrali ci sono ancora in Italia nonostante la crisi climatica
In Italia sono rimaste 7 centrali a carbone, in attesa di spegnimento o di conversione. Ma con la guerra in Ucraina potrebbero ripartire.
Nel 2017, il governo italiano annunciava, nel suo Piano strategico nazionale, che il phase-out, l’uscita dal carbone sarebbe avvenuta entro il 2025. A pochi giorni dall’inizio della guerra in Ucraina, invece, il presidente del consiglio Mario Draghi ha affermato, in un’informativa alla Camera dei deputati, che “potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell’immediato”, rivolgendosi all’approvvigionamento del gas, messo a rischio dal conflitto in corso.
Ma quante e dove sono le centrali a carbone rimaste in Italia dall’annuncio del phase-out? Eccole di seguito:
- Portovesme, Sardegna, Enel, 480 MW
- Torrevaldaliga Nord, Lazio, Enel, 1.980 MW
- Porto Torres, Ep produzione, Enel, 600 MW
- La Spezia, Liguria, Enel, 682 MW
- Fusina, Veneto, Enel, 976 MW
- Monfalcone, Friuli Venezia Giulia, A2A, 336 MW
- Brindisi Nord, Puglia, A2A, 2.640 MW
I numeri del carbone in Italia
In Italia, siamo passati dalle 12 centrali a carbone del 2016 alle 7 attuali, in attesa di spegnimento o di conversione. Delle sette, cinque centrali sono in capo all’Enel mentre le altre due fanno riferimento al gruppo Ep produzione e all’azienda A2a. Sono distribuite tra Sardegna, Lazio, Puglia, Liguria, Friuli Venezia Giulia e Veneto.
In Italia non ci sono giacimenti di carbone, eccetto il bacino sardo del Sulcis Iglesiente, attivo fino al 2015. Il 90 per cento del carbone che bruciamo arriva via mare da Stati Uniti, Sudafrica, Australia, Indonesia, Colombia, Canada, Cina, Russia e Venezuela.
L’Italia del carbone
L’ultima centrale messa a riposo è stata quella di La Spezia. La centrale termoelettrica Eugenio Montale, con una capacità di 682 megawatt (MW), è stata spenta due mesi fa, a dicembre del 2021. Una chiusura parziale, cioè di alcuni gruppi di produzione, ha riguardato invece la centrale Andrea Palladio, in provincia di Venezia, con una capacità di 976 MW, e la Federico II di Brindisi che, con capacità di 2640 MW installati, è considerata tra le più grandi d’Europa.
Poi ci sono due centrali in capo all’Enel pienamente operative. A Civitavecchia, su un’area di 975mila metri quadrati, c’è la centrale Torrevaldaliga nord, con una capacità di 1980 MW. In Sardegna, sempre in capo all’Enel c’è la centrale Grazia Deledda di Portovesme, con una potenza di 480 MW. In Sardegna ce n’è anche una seconda attualmente in funzione: si tratta dell’impianto di Fiume Santo vicino a Porto Torres, della Ep produzione, con una potenza installata di 600 MW.
Infine a Monfalcone, in provincia di Gorizia, la centrale termoelettrica della A2a produce 336 MW di elettricità bruciando carbone. In generale, tutte le centrali appena menzionate coprono il 4,9 per cento del fabbisogno energetico italiano.
La miglior fonte di energia è l’efficienza
In un suo dossier, l’organizzazione ambientalista Wwf dimostra che entro il 2070 la disponibilità di carbone si esaurirà, fermo restando che anche se continuassimo a estrarlo fino al suo termine l’impatto sull’ambiente sarebbe devastante. La scelta del carbone è, dunque, a perdere, specie per un paese come l’Italia privo di risorse proprie.
Senza contare che le attuali centrali funzionano a scartamento ridotto: questo perché si preferisce acquistare energia dall’estero (14 per cento del fabbisogno nazionale) considerata più conveniente. L’Italia farebbe meglio a puntare su un diverso modello energetico centrato sul risparmio, l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili, partendo dalla generazione distribuita in piccoli impianti alimentati sempre più da energie rinnovabili allacciate a reti intelligenti (smart grid) e integrati con efficaci sistemi di accumulo.
Certo, i tempi per la transizione energetica si fanno ancora più stretti ma tornare al carbone è un passo indietro, devastante, per l’ambiente e la salute delle persone. I cambiamenti climatici impongono misure di adattamento e mitigazione dei danni: il carbone non risponde a nessuna delle due esigenze.
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