Per la presidente di Federbio Mammuccini, alcuni disagi degli agricoltori sono oggettivi e comprensibili, ma le proteste contro il Green deal sono inammissibili.
Avvelenando il Pianeta, avveleniamo noi stessi. L’antidoto si chiama agroecologia
Non solo i pesticidi avvelenano il suolo per decenni: l’agricoltura intensiva non ha saputo sfamare il mondo. È giunta l’ora di seguire l’esempio di Cuba e invertire la rotta, con l’agroecologia. L’appello di Alce Nero.
Ultimamente si è tornato a parlare del disastro di Chernobyl grazie all’omonima serie televisiva prodotta da Hbo, vista in Europa da ben 1 milione 224mila spettatori nel corso delle cinque puntate. Solo due anni prima dell’avvenimento che cambiò per sempre la storia del nucleare, accadde un altro incidente da non dimenticare, una delle peggiori catastrofi ambientali della storia: il 3 dicembre 1984, poco dopo la mezzanotte, 40 tonnellate di isocianato di metile fuoriuscirono nella cittadina indiana di Bhopal dallo stabilimento della Union carbide India limited, specializzata nella produzione di fitofarmaci. La nube che si formò causò in breve tempo la morte di 2.259 persone e ne avvelenò decine di migliaia, tanto che il numero totale di vittime non è accertato e si stima si aggiri attorno a 15mila. Si ritiene che i prodotti chimici ancora presenti nel complesso abbandonato, in mancanza di misure di bonifica e contenimento, stiano continuando a inquinare l’area circostante.
I pesticidi rimangono nel suolo inquinandolo per anni
La strage di Bhopal è la prova più lampante della pericolosità dei pesticidi per la salute della Terra e di quella delle persone, che ormai possiamo dire siano la stessa cosa. Purtroppo, però, non servono disastri come quello perché sostanze tossiche finiscano per inquinare il sottosuolo per anni. Ricercatori dell’università olandese di Wageningen, per esempio, hanno raccolto campioni di terreno in dieci stati europei e rilevato tracce di fitofarmaci nel 66 per cento dei casi (soprattutto glifosato, ddt e prodotti fungicidi).
Lo studio ha inoltre dimostrato come il glifosato (l’erbicida più diffuso in agricoltura) e l’ampa (acido aminometilfosforico) possano concentrarsi all’interno di particelle di terreno molto piccole che vengono facilmente erose e trasportate dal vento e dall’acqua, aumentando il rischio di contaminazione su vaste distanze.
In Italia, l’Ispra ha rintracciato residui di 259 agrotossici nel 67 per cento delle acque superficiali e nel 33,5 per cento delle sotterranee. “Da questo rapporto si evince come le sostanze chimiche permangano nel suolo e inquinino le acque superficiali e sotterranee”, ha commentato Ruchi Shroff, direttrice di Navdanya international. “Dobbiamo interrogarci sull’iter di approvazione dei pesticidi, ciò che viene effettivamente valutato e com’è possibile che possano essere considerati sicuri”.
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L’agricoltura intensiva impoverisce i terreni e stermina le api
I prodotti tossici del cartello dei veleni, come il Roundup (a base di glifosato), il Basta (contentente glufosinato) oppure le sementi ogm, infatti, hanno causato l’impoverimento dei terreni e la desertificazione degli stessi, lo sterminio delle api, l’aumento nell’incidenza di una serie di malattie quali tumori e malformazioni alla nascita. In Veneto, l’aumento della domanda di Prosecco sta provocando l’erosione del suolo a ritmi insostenibili.
L’agroecologia è la chiave per la nostra salvezza
A che scopo, per di più? Possiamo affermare, dati dell’Onu alla mano, che la produzione agricola industriale – la cosiddetta “rivoluzione verde” – non ha raggiunto l’obiettivo: il numero di affamati nel mondo non è diminuito mentre l’inquinamento ambientale ha messo a rischio la salute di milioni di persone. Per questo è necessaria una transizione all’agroecologia, cioè ad un’agricoltura che si basi sull’eliminazione progressiva dei fertilizzanti sintetici, sulla ridistribuzione di praterie naturali e sull’ampliamento di infrastrutture naturali come siepi, alberi, stagni, pietraie; capaci di interagire positivamente col territorio e il paesaggio, di implementare i corridoi ecologici necessari alla fauna e agli impollinatori. Secondo uno studio condotto dall’Iddri, un centro di ricerca indipendente, con queste tecniche sarà possibile sfamare l’intera popolazione europea entro il 2050.
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Il caso cubano lo dimostra
L’esempio di Cuba fa ben sperare. Il crollo dell’Unione Sovietica lasciò l’isola in una situazione economica disastrosa. Per riuscire a sfamarsi, gli abitanti cominciarono a coltivare piccoli orti sul balcone di casa mentre gli agricoltori rimasti senza petrolio, né pesticidi furono costretti a ricorrere a metodi tradizionali: è così che nel paese cominciò una vera e propria rivoluzione agricola, che salvò la popolazione dalla fame.
Abbandonare la monocoltura della canna da zucchero, inoltre, permise ai coltivatori di tutelare la produzione dagli effetti dei cambiamenti climatici. “Utilizzare mescolanze di varietà di sementi rappresenta uno degli approcci migliori contro il riscaldamento globale perché questi ‘miscugli’ si adattano meglio ai mutamenti”, ha spiegato il professor Giovanni Dinelli del dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari dell’Università di Bologna nella prima tappa del nuovo percorso intrapreso dal marchio Alce Nero insieme a LifeGate, “Siamo fatti di Terra”.
Del resto, “siamo fatti di Terra”
Insomma, smettendo di acquistare agrochimici tossici – che ci consentono di risparmiare solo apparentemente, perché poi contribuiamo alle spese sanitarie di chi si ammala tramite le tasse – possiamo “aumentare di dieci volte le entrate degli agricoltori, far fronte ai problemi legati alla malnutrizione e alle malattie croniche e creare allo stesso tempo un sistema resiliente capace di mitigare i cambiamenti climatici”, conclude Ruchi Shroff.
Scegliendo prodotti biologici possiamo preservare la terra su cui restano le nostre impronte, gli alberi che ci regalano la frescura d’estate o i colori d’autunno, i fiumi che sinuosamente tracciano linee cristalline sotto le fronde. Come in una storia d’amore, la felicità del Pianeta è la nostra.
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