Tornare non è solo il titolo del nuovo film di Cristina Comencini, uscito on demand anziché al cinema. Ma è anche il desiderio di un settore messo in ginocchio dal lockdown. Ne abbiamo parlato con la regista.
Sulla cartolina di Colombre c’è un corallo
Abbiamo incontrato, seppure solo digitalmente, Giovanni Imparato, in arte Colombre, per parlare del suo nuovo disco Corallo, di questo momento storico e di quello che succederà quando quest’emergenza sarà finita.
Colombre è il primo di una serie di personaggi del mondo della cultura, dell’informazione e dello spettacolo a cui chiederemo una testimonianza su questo periodo storico che speriamo rimanga unico.
Colombre prende il nome dal titolo di un racconto breve di Dino Buzzati che narra la storia di una creatura marina (un pescecane chiamato Colombre), simbolo della paura che spesso si frappone tra l’uomo e il suo desiderio.
Giovanni Imparato, questo il vero nome del cantautore marchigiano, ha fatto tesoro di questa storia e dopo una vita passata a suonare con la sua band, qualche anno fa ha preso coraggio e ha deciso di “avventurarsi” in una carriera solista.
Dopo l’ottima accoglienza di Pulviscolo, il suo primo lavoro, Colombre ha da poco pubblicato il suo secondo lavoro, Corallo, che potete sentire in onda anche su LifeGate Radio.
Com’è la situazione nel tuo paese?
In questo momento abbastanza silenziosa, per fortuna. Sembra che le persone abbiano capito finalmente.
Come stai trascorrendo le tue giornate?
Leggendo, ascoltando dischi, cercando anche di muovere un po’ le gambe… Ma anche non facendo niente, pensando, guardando il soffitto. Siamo in attesa, in attesa di momenti più soleggiati.
In che modo stai coniugando questo isolamento con il tuo lavoro?
Avendo appena pubblicato il nuovo album sono abbastanza impegnato con la “messa in onda”: ragionamenti, interviste.
Cosa vedi dalle tua finestre?
Vedo una piazzetta deserta…
Pensi che quando la situazione tornerà alla normalità ci saranno grandi cambiamenti nel nostro modo di vivere?
Credo che questa sia una buona occasione per rendersi conto che tante piccole cose che davamo per scontate siano un privilegio che di solito non si reputa tale. Spero che ci serva a capire cosa è veramente importante e quanto siamo fortunati ad avere un privilegio come la libertà.
Qual è la prima cosa che ti piacerebbe fare quando tutto questo sarà finito?
Mi piacerebbe andare a fare un giro sulla spiaggia, ho bisogno di recuperare il contatto con la natura, ma anche di incontrare tutte le persone che non vedo da un po’. Ho voglia di abbracciarle e ritrovare tutta la fisicità che oggi ci manca.
È vero che sei, che eri un insegnante?
Ero, sono stato, sono e forse sarò ancora un insegnante di italiano. Ho insegnato storia e geografia alle medie e alle superiori. Mi sono laureato in lettere ma non ho proseguito gli studi per diventare insegnante. Più avanti mi sono iscritto in terza fascia, una graduatoria per aspiranti supplenti da cui pescano in caso di necessità. Mentre lavoravo al primo disco mi hanno chiamato a scuola per una settimana di supplenza, poi durata sei mesi. È stata un’esperienza molto bella che mi ha dato tanto; mi ha insegnato ad aprirmi e a scrivere in modo diverso, a non nascondermi più dietro alle parole o all’ironia ma a essere molto più sincero.
Mi racconti come è nato il progetto Colombre?
Prima di Colombre c’erano i Chewingum, un trio di amici con cui ho registrato due dischi e vissuto tante avventure. A un certo punto ho sentito l’esigenza di dare una scossa, di portare il progetto a un livello successivo, considerando che firmavo la maggior parte del materiale. Ricominciare da zero mi spaventava ed è qui che è entrato in scena il Colombre come metafora del superamento delle proprie paure, che dà il nome a questo mio progetto.
Come mai Corallo e di cosa parla?
Ho scelto questo nome quasi a simboleggiare qualcosa di nascosto, di misterioso, molto affascinante e difficile da raggiungere, ma che una volta che riesci a toccare, devi essere bravo a preservare, devi essere in grado di trattarlo con quanta più delicatezza possibile. Proprio come il corallo, bellissimo. Questo album è una piccola biblioteca dei miei sentimenti degli ultimi tre anni, un sunto di questo periodo che ho avuto il privilegio di poter trasformare e fermare in un disco. Sono delle storie che parlano di rapporti che ho vissuto, sia positivi che negativi, ma tutti ugualmente importanti, preziosi.
Ascolta la playlist realizzata da Colombre per LifeGate su Spotify
Sei più uno da grandi classici o da nuove uscite?
Dei grandi classici mi piace come si evolvono, mi piace sentirli cambiare insieme alla mia vita. I Kinks che ascoltavo a ventitré anni non sono gli stessi di oggi. Il disco ha avuto una lunga gestazione, durata praticamente tre anni; un periodo in cui ho ascoltato tanti classici: Isaac Hayes, Geroge Harrison e i Beach Boys. Tengo comunque sempre una certa attenzione rivolta a quello che c’è di nuovo in giro; penso a MorMor, un cantautore canadese, o a Steve Lacy, al suo approccio casalingo e a come “rigurgita” Prince.
Se mi devo fare influenzare da una canzone hip hop mi faccio influenzare e quindi magari viene fuori una cosa con quel sapore o magari con un sapore western perché sto ascoltando Morricone. La sfida è far suonare omogenee canzoni che provengono da mondi diversi. La mia sfida è quella di non perdere la libertà nelle cose.
Sei stato in tour all’estero come chitarrista di Calcutta e con i Chewingum hai suonato anche a New York: hai mai pensato di fare le valigie o di cantare in inglese?
No, mai. Non ho fatto nemmeno l’Erasmus. Ho sempre voluto restare dove mi è capitato di essere cercando di approfondire, di analizzare quello che succede dentro di me; anche se (ridendo, ndr) forse “a furia di scavare dentro me stesso non c’è più niente”, come cantavano i Cani. Ho scelto di rimanere nel luogo in cui posso esprimermi nel modo migliore. Anche se, suonando all’estero, ho imparato tanto, soprattutto a catturare l’attenzione di chi non conosce la lingua, di chi non è interessato: solamente quando stai cantando con tutto te stesso, dando il tuo cuore, arrivi veramente alle persone.
Il rapporto con Letizia (la cantautrice Maria Antonietta) non si limiti agli aspetti professionali: è difficile “coniugare” (perdonami il gioco di parole) entrambi i lati di questa relazione?
Il fatto di fare lo stesso “mestiere”, quello di scrivere canzoni, ci permette di raggiungere dei livelli di comprensione e intimità molto alti. Come tutti i rapporti che raggiungono determinate altezze o, se vogliamo, profondità ha le sue difficoltà. Ci vuole molta fiducia e bisogna essere pronti a mettersi a nudo a livello artistico con la persona ai cui occhi vorresti sempre mostrare il tuo lato migliore. E a volte può capitare di andare a toccare nervi scoperti o ferite ancora aperte. È anche necessario riuscire a scindere il rapporto lavorativo, artistico, da quello quotidiano; non è facile perché entrambi abbiamo la tendenza ad andare altrove con la mente.
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