Mancano 3.700 GW per centrare l’obiettivo di triplicare le rinnovabili, secondo Ember. Ma ora c’è chi teme un rallentamento della crescita solare dopo anni.
Dal petrolio alle rinnovabili, Arabia Saudita ed Emirati puntano sul sole
Circa 116 miliardi di euro. A tanto ammonta l’investimento che i paesi del golfo Persico, primi tra tutti Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, hanno deciso di stanziare su progetti a energia solare. Lo rendono noto gli ultimi dati aggiornati dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) secondo cui Riad, primo esportatore di petrolio al mondo, punta
Circa 116 miliardi di euro. A tanto ammonta l’investimento che i paesi del golfo Persico, primi tra tutti Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, hanno deciso di stanziare su progetti a energia solare. Lo rendono noto gli ultimi dati aggiornati dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) secondo cui Riad, primo esportatore di petrolio al mondo, punta a raddoppiare la sua capacità di energia rinnovabile entro il 2032, raggiungendo quota 54 gigawatt, 41 dei quali di energia solare. Un progetto ambizioso con cui la monarchia saudita mira a conquistare una posizione dominante nel settore della green economy divenendo fornitore di energia pulita oltre che leader mondiale nella produzione di combustibili fossili.
Parigi, Cop21 e la riduzione delle emissioni di CO2
Eppure Riad è stata uno degli attori sconfitti alla conferenza sul clima, Cop 21, tenutasi a Parigi il dicembre 2015 e conclusasi con un impegno a mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi centigradi, e a compiere sforzi per mantenerlo entro 1,5 gradi. Il temuto isolamento diplomatico in materia ambientale ha spinto il governo saudita ad annunciare un taglio di 130 milioni di tonnellate di Co2 entro il 2030. Un progetto ambizioso sebbene ancora opaco nei dettagli, considerato che l’obiettivo – secondo quanto reso noto dalle autorità di Riad – è condizionato al mantenimento di “un’economia che continui a diversificarsi e a crescere”, e soprattutto a “forti profitti derivanti dalle esportazioni di petrolio”.
#SaudiArabia to spend $100bn on renewable #energy https://t.co/ovLSHeGtbN pic.twitter.com/xJ9edMrnO4
— Gulf Industry (@GulfIndustry) 13 gennaio 2016
Il governo saudita ha quindi deciso che un mix energetico maggiormente equilibrato tra energia convenzionale, atomica e rinnovabile è strategicamente importante per la prosperità a lungo termine, la sicurezza energetica e la sua posizione di leader nel mercato globale dell’energia.
Is #SaudiArabia Shifting From #Oil to #renewableenergy ?https://t.co/nDmUmMi80t #oilandgas pic.twitter.com/0eMh52RJ9C
— Steven Studebaker (@Studebaker1963) 23 marzo 2016
La svolta ha accelerato un processo già avviato qualche anno fa. A tal proposito, il 17 aprile 2010 era stato istituito il King Abdullah city for atomic & renewable energy (K.A.CARE) con l’obiettivo di disegnare il mix energetico e costruire un futuro sostenibile per l’Arabia Saudita. Una rivoluzione silenziosa, alimentata dal calo costante del costo dei pannelli fotovoltaici, crollato dell’80 per cento dal 2000 al 2014, e del 65 per cento dal 2008 a oggi, in parallelo ad un continuo aumento dell’efficienza dei moduli solari.
Lotta alla disoccupazione e programma di saudizzazione
Una delle principali sfide che l’Arabia Saudita si trova ad affrontare resta la disoccupazione, che tra i giovani tocca punte del 50 per cento. Attivo da alcuni anni, il programma di saudizzazione (Nitaqat), associato all’inasprimento delle misure contro il lavoro clandestino, resta prioritario per le autorità di Riad e rappresenta una realtà con cui le comunità straniere si confrontano quotidianamente con grandi difficoltà. Il programma è all’origine di una carenza cronica di figure professionali specializzate nel regno e tra le cause del rallentamento della crescita del settore non-oil, a causa della minore disponibilità di manodopera a basso costo.
L'energia in Arabia Saudita
Popolazione | 30.77 milioni |
Pil | 520.66 miliardi USD |
Produzione energetica | 614.48 Mtoe |
Emissioni di Co2 | 472.38 (Mt of Co2) |
Tasso di disoccupazione | 5,6% |
Riserve di petrolio (2014) | 266 Gbl / 36 Gt |
Consumo energetico procapite | 7 toe |
Energia prodotta dalle rinnovabili | 0.1 Mtoe |
Il crollo del prezzo del petrolio
I motivi che potrebbero indurre l’Arabia Saudita ad investire sulle rinnovabili e ridurre il consumo di petrolio non derivano dunque dalle preoccupazioni per i cambiamenti climatici ma sono soprattutto di natura economica. In un paese in cui le temperature raggiungono spesso picchi proibitivi, i condizionatori d’aria, da soli, hanno consumato il 70 per cento dell’energia elettrica del regno nel 2013. Con un boom demografico che ha portato la popolazione dai 5,7 milioni del 1970 ai quasi 28 milioni di oggi, la domanda domestica di energia è cresciuta a ritmi che, se restassero tali, costringerebbero il paese nel giro di 15 anni a diventare importatore di petrolio. Inoltre, la drastica diminuzione del prezzo del greggio nell’ultimo anno è senza dubbio, uno dei fattori che maggiormente hanno contribuito all’elaborazione di questa iniziativa. Con un costo che si aggira intorno ai 30 dollari al barile i profitti derivanti dalle esportazioni non sono più sufficienti a finanziare l’enorme spesa pubblica del regno. Il rapporto deficit/pil, secondo il Fondo monetario internazionale, raggiungerà quest’anno il 20 per cento, un record storico, che mette in luce le difficoltà del paese in un mondo dove il petrolio non è più una garanzia di eterna ricchezza.
Un mercato interno drogato dagli incentivi
Al momento, il 10 per cento del budget statale – circa 80 miliardi di dollari all’anno – viene bruciato in sussidi e agevolazioni per i cittadini sauditi. Un mercato dell’energia ‘drogato’ in modo quasi irreparabile: basti pensare che all’interno del paese la Saudi Aramco è costretta a vendere un barile intorno ai 5 dollari, la stessa cifra che spende per produrlo. In questo modo, nel corso degli ultimi decenni, mentre il resto del mondo scopriva nuove fonti di energia meno costose e meno inquinanti in Arabia Saudita si è continuato, ad esempio, a produrre energia elettrica bruciando petrolio, un processo estremamente inquinante ed estremamente costoso, un immane spreco di risorse, oggi non più tollerabile.
Nella regione è corsa alle energie rinnovabili
La corsa alle energie alternative non riguarda solo la monarchia saudita. Anche gli Emirati Arabi Uniti prevedono entro il 2020 di coprire il 7 per cento del proprio consumo di elettricità con fonti rinnovabili. I vicini della casa reale Al Saud hanno inaugurato da poco Shams 1, il più grande impianto solare a concentrazione esistente al mondo (100 megawatt), costato 600 milioni di dollari, capace di fornire energia a 20mila abitazioni. Inoltre finanzieranno la costruzione di una nuova centrale ad energia solare dalla potenza di 20 megawatt per un costo complessivo di circa 100 milioni di dollari. Dubai invece ha investito 3,2 miliardi di dollari per la costruzione del parco solare Mohammed bin Rashid Al Maktoum.
Saudi Arabia is hedging its bets with #solarpower http://t.co/OLc1TMLa7Y #RenewableEnergy #climateaction pic.twitter.com/0CuHUQitcW
— Michael Hale (@Sunfolk) 24 maggio 2015
“Tra 50 anni, quando avremo venduto l’ultimo barile di petrolio e lo vedremo salpare per l’estero, la domanda è: saremo tristi? – ha dichiarato in una recente intervista Suhail Al Mazroui, ministro dell’Energia degli Emirati Arabi Uniti – Se investiamo oggi nei settori giusti, posso dirvi che quello sarà un momento per festeggiare”.
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