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Danielle Nierenberg. Mangiare sostenibile significa acquistare cibi che hanno una storia che ci riguarda
Danielle Nierenberg, fondatrice di Food Tank, viaggia in tutto il mondo per incontrare le persone che stanno rivoluzionando il sistema alimentare. In questa intervista racconta le esperienze più significative, da prendere come esempio.
Danielle Nierenberg descrive modestamente il lavoro svolto dal think tank che ha fondato nel 2013, Food Tank. Eppure il suo obiettivo è quello di riformare il sistema alimentare globale, condividendo idee e soluzioni di successo utili per migliorare le condizioni agricole e le abitudini alimentari. Nierenberg sottolinea il fatto che Food Tank dà semplicemente voce a chi sta realmente cambiando le cose, come le innumerevoli donne che lavorano nel settore dell’agricoltura, incontrate nei suoi viaggi in giro per il mondo, e la loro esperienza che riesce a condividere in modo eccellente. E sono proprio le storie e le ricerche pubblicate che mettono in evidenza questo think tank; originali ed ideate in collaborazione con università ed altre organizzazioni, queste sono rilevanti per tutti coloro che stanno tentando di fare la differenza nel sistema alimentare globale: dagli agricoltori ai produttori fino alle aziende, agli accademici e i responsabili delle politiche.
Chi è Danielle Nierenberg, la fondatrice di Food Tank invitata a Seeds&Chips
Nierenberg viaggia in tutto il mondo. Quando abbiamo parlato con lei all’edizione 2017 di Seeds&Chips, il summit sull’innovazione alimentare che si tiene a Milano, ci ha detto che aveva già visitato più di 70 paesi, nei quali ha approfondito l’esperienza di progetti innovativi che sviluppano modi differenti di coltivare e di consumare il cibo; inoltre partecipa a eventi che mettono faccia a faccia i vari rappresentanti delle diverse realtà che compongono la filiera alimentare, a livello globale. Con Danielle Nierenberg abbiamo parlato di parità di genere, innovazione e delle scelte sostenibili che ognuno di noi dovrebbe intraprendere.
Cosa possono fare le donne per rendere il sistema alimentare globale più sostenibile?
Le donne stanno già rendendo il sistema alimentare globale più sostenibile, però questo non viene riconosciuto. Le donne rappresentano la metà dei produttori alimentari del mondo, ma non possono accedere a crediti, terre, servizi finanziari ed istruzione, e questo ci danneggia. Se le donne potessero accedere a queste risorse tanto quanto gli uomini la Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) ha previsto che la resa aumenterebbe dal 20 al 30 per cento, permettendo a 200.000 persone di non soffrire più la fame. Eppure continuano a essere discriminate per via del loro genere. È fondamentale raccontare la loro storia, mettendo più allevatrici, scienziate e sostenitrici nei panel di conferenze come Seeds&Chips, così da garantire l’uguaglianza di genere, ma anche socioeconomica e culturale.
Quali passi avanti sono stati fatti nell’ultimo decennio per migliorare le condizioni delle contadine, come hanno cambiato il sistema alimentare?
Ho avuto l’onore di poter visitare più di 70 paesi, e ho visto molti progetti innovativi che riconoscono il ruolo delle donne. Uno dei miei preferiti riguarda una compagnia teatrale dello Zimbabwe che viaggia attraverso varie comunità dell’Africa meridionale e mette in scena opere che descrivono il ruolo fondamentale delle donne.
Esistono cooperative gestite da donne: ne ho vista una in Niger che era composta circa da 50 contadine. Coltivavano prodotti locali come verdure a foglia verde, piante ornamentali e alberi da frutto, che in parte erano venduti mentre il resto venica conservato: sono arrivate a guadagnare 1.500 dollari all’anno (partendo da 300). Quando ho chiesto a queste donne in che modo era cambiata le loro vita, la loro risposta è stata incredibile. Queste donne mi hanno detto di essere riuscite a comprare una bicicletta per il marito “cosicché potesse andare alla sua fattoria”, oppure di aver mandato le figlie a scuola per la prima volta, oppure semplicemente: “Sono ingrassata”. È vero che ci servono dei dati quantitativi, ma le storie di cambiamento di queste donne sono davvero toccanti.
In un sistema alimentare sempre più globalizzato, come si inserisce il passaggio a produzioni alimentari localizzate, come per esempio il vertical farming?
Non penso che i sistemi alimentari troppo localizzati rappresentino la soluzione per cambiare il mondo. Sono solo una parte della soluzione perché avvicinano le persone all’agricoltura, ma non so se avere il proprio piccolo orto verticale a casa possa cambiare il sistema di produzione del cibo. Ci deve essere un legame più forte tra i consumatori e gli agricoltori, urbani o rurali che siano. L’agricoltura urbana ha un grande potenziale, ma dobbiamo creare dei collegamenti tra la parte rurale e quella urbana. Preferirei dei sistemi alimentari regionali, quindi non solamente agricoltori urbani contrapposti a quelli rurali, ma anche una continuità e un collegamento tra i due. Ho visto un grande progetto a Nairobi dove gli agricoltori urbani fornivano i semi agli agricoltori rurali che non potevano più permetterseli, visto che le grandi aziende produttrici di semi avevano in mano il mercato. Una cosa di questo tipo si può ricreare ed adattare molto facilmente.
L’agricoltura su piccola scala e un sistema agricolo regionale possono essere una soluzione per contrastare i cambiamenti climatici?
Assolutamente sì, devono esserlo per forza. I piccoli agricoltori stanno già contrastando i cambiamenti climatici, stanno già trovando delle soluzioni attraverso pratiche agricole flessibili e rigenerative. Abbiamo messo i grandi e piccoli agricoltori l’uno contro l’altro, ma in verità sono tutti sulla stessa barca, soprattutto ora. Le aziende agricole del nord del mondo, di media o grande dimensione, hanno moltissimo da imparare dagli agricoltori del sud del mondo che hanno già dovuto affrontare molte delle difficoltà che iniziano a presentarsi al nord solo ora. Basta osservare i problemi posti dalla siccità o dalle alluvioni: gli agricoltori del sud stanno affrontando questi problemi da moltissimo tempo.
Qual è l’impatto della vittoria elettorale di Donald Trump sul sistema alimentare?
Ora molti di quelli che hanno creduto nei sistemi di agricoltura sostenibile stanno combattendo per avere quello che si sono guadagnati nell’ultimo decennio, che non è un granché se devo essere onesta. Food Tank sta cercando di riunire i diversi attori. Stiamo riunendo le varie società, stiamo cercando di mettere i repubblicani ed i democratici negli stessi comitati. Riunire le varie fazioni e capire che non tutte le società sono malvagie, non tutti i repubblicani sono cattivi, e che si può trovare un obiettivo comune per formulare delle idee e fare dei passi avanti.
Cosa possono fare i cittadini per avere un impatto positivo sul sistema alimentare globale?
Si parla spesso di votare con la propria forchetta, ma dobbiamo essere forti votando nelle urne. Le persone non votano abbastanza, in nessun paese. La speranza che vedo nel partito di Trump ed i partiti di destra di tutto il mondo è che ora la gente è davvero in ascolto. Abbiamo bisogno di più donne in politica, più giovani, ma questo deve cominciare dal basso. Non si tratta solo di protestare, bisogna partecipare alle assemblee cittadine e capire veramente cosa si può fare.
Quindi quali cibi dovremmo comprare?
Bisogna comprare cibi che ci fanno stare e sentire bene, che hanno una storia, prodotti ai quali ci sentiamo vicini. Mangiare più cibi naturali, avere una dieta più rispettosa. Dobbiamo davvero riflettere sulla provenienza di ciò che mangiamo. Questo peso ricade sui consumatori e, in particolare, sui genitori e sulle donne. È difficile assicurarsi che i consumatori abbiano sempre delle buone risorse da cui scegliere. Per i consumatori è difficile sapere cosa è giusto, quindi c’è bisogno di maggiore istruzione e consapevolezza.
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