Pezzi unici che conservano la patina del tempo e la memoria della loro storia con legni e metalli di recupero: è il progetto di design sostenibile di Algranti Lab.
Quando il futuro del design è riparabile, per durare a lungo
R-Riparabile è un progetto che indaga sulle possibili alternative alla discarica per molti prodotti. L’obiettivo? Saper riparare nel tempo.
Dalla volontà di conoscere e far conoscere tutto ciò che si sta facendo di innovativo intorno al tema della riparabilità, nasce il progetto R-Riparabile?, ideato e curato da Frida Doveil. Anche se non tutto può durare a lungo, moltissimi oggetti di qualità possono e dovrebbero avere una vita più lunga, attraverso l’accesso a pezzi di ricambio e a una crescente attenzione del produttore, in particolare quando si tratta di oggetti molto costosi.
Come nasce R-Riparabile?
R-Riparabile? parte da un’idea basilare: introdurre il concetto di “riparabile” nel ciclo di vita di un oggetto. Nel 2013, in occasione della Design Week, insieme a Adi, l’Associazione per il disegno industriale viene lanciata una “call for entry” internazionale per censire lo stato dell’arte sui nuovi modi di produrre, utilizzare e riutilizzare i prodotti industriali, ma anche per registrare le nuove frontiere dell’innovazione consapevole sui temi della durata, della circolarità, della condivisione e dei servizi. Il fine è appunto quello di indagare cosa è stato fatto e si sta ancora facendo attorno a questo tema: quali sono i prodotti semplici e quindi più accessibili, in che direzione stanno procedendo le tecnologie della riparabilità, in che modo vengono studiate le strategie sui pezzi di ricambio, i materiali, i progetti di nuove estetiche. Senza tralasciare i programmi che coinvolgono temi sociali e il territorio, in vista della ricostruzione di un’economia che preveda logiche nuove di durata e di riparabilità.
Oggetti riparabili, quale sfida li attende
“La sfida è quella di parlare alle imprese di riparabilità per fare innovazione su strade nuove” afferma Frida, “è proprio questo il motivo per cui ho creato il sito R-Riparabile: per parlare alle imprese”. Se infatti i designer e le aziende inseriranno nel dna dei loro prodotti la possibilità di poterli riparare, si andrà a re-instaurare un dialogo che i prodotti elettronici avevano chiuso inesorabilmente. “Pensare riparabile” apre una strada di sperimentazione verso nuove estetiche e una nuova poetica del fare, che non si ferma al pragmatismo della riparabilità.
Per le aziende oggi può davvero rappresentare un valore aggiunto e un approccio innovativo e sostenibile. In alcuni paesi, dove i movimenti che nascono dal basso e si propagano via web sono molto attivi, le scelte di alcune aziende stanno forzatamente cambiando: la sezione Beyond repairing (oltre la riparazione) del sito R-Riparabile, racconta attraverso notizie e aggiornamenti, quanto sta accadendo nel mondo in materia di design circolare ed economie responsabili; la sezione Repair projects, invece, costituisce una raccolta di progetti per far conoscere cosa sta nascendo nelle punte più avanzate della produzione, della ricerca e del design, per una sempre maggiore riparabilità dei prodotti.
L’arte del kintsugi
Un esempio molto interessante presente nell’archivio della sezione Repair projects è quella dedicata al kintsugi, un’antichissima arte giapponese, nata intorno al Sedicesimo secolo, con cui si riparano stoviglie di ceramica rotte, esaltandone le crepe e le fratture. I cocci, fissati tra loro con un impasto di cera e colla di riso, evidenziano naturalmente le linee di sutura (keshiki), che diventano delle decorazioni spontanee. Qui, lungo le sottili ferite, i maestri di kintsugi distendono la polvere d’oro, così da riempire e impreziosire le “cicatrici”.
L’idea è quella di custodire, proteggere e valorizzare l’anima degli oggetti. Contro ogni mitologia dell’usa e getta, l’arte del kintsugi rappresenta esattamente la volontà di produrre bellezza nuova a partire dal vecchio, dall’unicità degli oggetti e dal loro insistere nel solco di un tempo sacro, circolare, non cronologico. Linee irregolari, ruvide, imperfette, consunte, in cui si disegnano la grazia, l’eleganza e la nobile pienezza del vuoto. Scartando l’idea consumistica della distruzione e della sostituzione, in favore del concetto di rigenerazione, di infinita narrazione, di cura.
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DIY 2.0
Anche gli artigiani, grazie all’utilizzo delle stampanti 3D e delle piattaforme open source, hanno costruito un business su questo ritrovato desiderio di riparabilità. Un esempio ormai molto diffuso e conosciuto è Ifixit, un manuale gratuito di riparazione, nato da esperienze di “fai da te” condivise online da Luke e Kyle, i due ideatori, per imparare a conoscere gli oggetti di elettronica e poterli riparare. Le guide online DIY (do it yourself, fai da te) sono seguite da migliaia di persone e hanno reso sempre più autorevoli le valutazioni sulla riparabilità dei diversi oggetti elettronici. Il sito ha aggiunto nel tempo la vendita di parti di ricambi e di utensìli per lo smontaggio di qualità, ed è affiancato da un blog dedicato.
Il tema, oggi, non è più decidere se tornare indietro o proseguire. La questione si è spostata sulla capacità di dare un destino nuovo agli oggetti. È vero che la riparabilità non è tutto e non è neppure sempre necessaria, ma senza dubbio pensare semplificato, accessibile, sistemico, pensare alla gente, rappresenta un tema importante. Come afferma l’amministratore delegato di Patagonia, Rose Marcario, “dovremmo smettere di comportarci come consumatori, ma come proprietari”. Tradotto in linguaggio progettuale, bisogna diventare custodi. In questo modo, non solo ci prenderemmo più cura degli oggetti mantenendone una maggior durabilità ma soprattutto ci riabitueremmo a ristabilire un rapporto emotivo con gli oggetti ormai dimenticato.
In Svezia, meno tasse per chi ricicla e ripara
In Svezia chi comincerà a riparare anziché buttare via pagherà meno tasse. In questo modo, il governo vuole mettere un freno alla cultura dell’usa e getta e incentivare la riparazione degli elettrodomestici. Come? Introducendo sgravi fiscali sulle riparazioni, dalla bicicletta alla lavatrice. Gli sgravi fiscali sull’aliquota iva per chi riparerà scarpe, abiti e molto altro andranno dal 12 al 25 per cento. L’obiettivo finale è ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera, provocate dai consumi eccessivi.
Se verrà accettata, la proposta porterà una grande rivoluzione degli stili di vita in Svezia, in particolare per la riduzione dei rifiuti. Chi deciderà di portare dei beni a riparare potrà richiedere un rimborso per una parte del denaro speso per le riparazioni, con particolare riferimento a grandi elettrodomestici come frigoriferi, forni, lavastoviglie e lavatrici.
Da questa iniziativa potrebbe svilupparsi un nuovo settore economico e lavorativo dedicato alle riparazioni, con benefici per tutti e con la possibilità di favorire l’integrazione dei migranti che sanno svolgere lavori manuali. L’auspicio è che anche l’Italia possa seguire le orme scandinave e che verso l’adozione di azioni sostenibili che migliorino città e cittadini.
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