Vecchi e nuovi ogm sono sottoposti alle stesse regole, ma ora le cose potrebbero cambiare. Una petizione vuole evitare questo rischio.
Mais ogm, Federbio contesta incongruenze e falsità nello studio che lo assolve
Uno studio recente afferma che il mais ogm non comporterebbe rischi per la salute umana, animale e ambientale: FederBio, dopo averlo attentamente analizzato, ne elenca tutte le inesattezze. E le segnala ai comitati etici delle università che lo hanno divulgato.
“Mais transgenico? Nessun rischio per la salute umana, animale e ambientale”: così si intitola un comunicato diffuso negli scorsi giorni dall’Università di Pisa che ha riacceso il dibattito sulla sicurezza degli organismi geneticamente modificati. La nota dell’ateneo annunciava i risultati di uno studio condotto da ricercatori della stessa università e della Scuola Superiore Sant’Anna e pubblicato su Scientific Reports, specificando come l’analisi fosse “un’elaborazione rigorosa dei dati scientifici e non un’interpretazione ‘politica’ dei medesimi” che permettesse di “trarre conclusioni univoche, aiutando ad aumentare la fiducia del pubblico nei confronti del cibo prodotto con piante geneticamente modificate”. Un’esplicitazione che, però, a chi si oppone agli ogm è parsa più come una provocazione.
Il contenuto dello studio sul mais ogm
Gli studiosi hanno indagato gli effetti della coltivazione di mais ogm prendendo in considerazione 21 anni (tra il 1996 e il 2016) di coltivazione mondiale di ogm (in Usa, Europa, Sud America, Asia, Africa e, Australia). La metanalisi si è basata su 11.699 osservazioni che riguardano le produzioni, la qualità dei chicchi, l’effetto sugli insetti target e non-target, i cicli biogeochimici come contenuto di lignina negli stocchi e nelle foglie, le perdite di peso della biomassa, l’emissione di anidride carbonica dal suolo. E i risultati avrebbero dimostrato che, confrontato con le coltivazioni tradizionali, il mais transgenico è più produttivo (5,6-24,5 per cento), non ha effetto sugli organismi tranne che sulla naturale diminuzione del “Braconide parassitoide” e dell’insetto dannoso target “Ostrinia nubilalis” e contiene concentrazioni minori di micotossine (-28,8 per cento) e fumonisine (-30,6 per cento) nei chicchi.
FederBio si è studiata lo studio
Tra chi da sempre si batte per un’agricoltura libera da ogm, FederBio, Federazione italiana agricoltura biologica e biodinamica, ha fatto sentire la sua voce criticando il contenuto del comunicato dell’università: “Nel testo non si riporta alcun dato a supporto dell’affermazione che il mais ogm non comporti nessun rischio per la salute umana, animale e ambientale. Quello che è accaduto è un fatto di una gravità inaudita perché è stato speso il nome e il prestigio di due istituzioni scientifiche e formative di altissimo livello anche internazionale per una propaganda di parte”, ha dichiarato Paolo Carnemolla, presidente di FederBio che si è rivolto con una lettera ai comitati etici delle due scuole. “Leggendo il comunicato appare evidente che lo studio in nessun caso dimostra l’assenza di rischio, in particolare per l’unico fattore citato che potrebbe indirettamente interessare la salute umana, ovvero la presenza di micotossine nel mais transgenico”, si legge nel testo che poi continua: “Stante la scarsità di lavori sull’argomento, lo studio non ha potuto nemmeno occuparsi degli impatti ambientali delle tecniche agricole associate alla coltivazione di mais transgenico. Sembra, infatti, che gli unici due parametri valutati a tale riguardo siano stati l’impatto su una popolazione di insetti e le emissioni di CO2 dal suolo”.
Greenpeace: “La vera sfida è trovare nuove soluzioni”
Anche Greenpeace è intervenuta a seguito del comunicato sottolineando come le colture ogm costituiscano in realtà un freno per l’innovazione ecologica sottoponendo l’agricoltura al controllo e ai brevetti di poche aziende agrochimiche e a rischi imprevedibili, a danno della biodiversità. “La maggioranza delle colture ogm ha come caratteristica principale la resistenza agli erbicidi o a determinati parassiti – ha dichiarato Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura di Greenpeace Italia – ma la vera sfida per l’agricoltura del futuro è la capacità di adattarsi a un clima che cambia, svincolandosi dall’uso di sostanze pericolose”. Per questo ci sarebbe la necesita di investire sui fondi di ricerca per sviluppare soluzioni che proteggano le colture con un approccio a più livelli: aumentando l’eterogeneità e la diversità dei paesaggi agricoli, tutelando gli habitat degli impollinatori e favorendo i naturali meccanismi di lotta biologica agli infestanti. “Mentre mancano colture ogm ‘resilienti’ ai cambiamenti climatici, esistono tecniche di selezione molto più all’avanguardia ed efficaci come la Mas (Marker Assisted Selection – Selezione Assistita da Marcatori) che sfrutta la conoscenza del Dna per identificare le caratteristiche migliori delle diverse varietà, per effettuare gli incroci più convenienti, senza le problematiche degli ogm“.
Italiani diffidenti e sempre meno coltivazioni ogm
Tra favorevoli e contrari agli ogm, come la pensano gli italiani? Secondo un’indagine Coldiretti/Ixe’, quasi 7 cittadini su 10 (69 per cento) considerano gli alimenti con organismi geneticamente modificati meno salutari di quelli tradizionali mentre l’81 per cento non mangerebbe mai carne e latte proveniente da animali clonati o modificati geneticamente. Intanto diminuiscono le coltivazioni ogm in Europa: “La superficie europea coltivata a transgenico nel 2017 – ha sottolineato la Coldiretti – risulta pari a 130.571 ettari rispetto ai 136.338 dell’anno precedente, con le colture biotech che sopravvivono solo in Spagna e Portogallo, dove tuttavia si registra una riduzione delle semine del mais MON810, l’unico coltivato. Le scelte degli agricoltori europei sono la dimostrazione concreta della mancanza di convenienza nella coltivazione ogm nonostante la propaganda dalle multinazionali che ne detengono i diritti. “Per l’Italia gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell’omologazione e il grande nemico del Made in Italy”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.
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