Dopo le alleanze per rispolverare il nucleare, Microsoft e altre big tech tornano a puntare sulle energie rinnovabili.
Stati Uniti, quali sono le fonti di energia e qual è il ruolo delle rinnovabili
Per oltre cent’anni negli Stati Uniti il settore energetico è stato dominato da tre combustibili fossili: petrolio, gas naturale e carbone. Oggi la rivoluzione è rinnovabile.
La storia energetica americana
I principali cambiamenti nella storia dell’energia negli Stati Uniti sono avvenuti grazie allo sviluppo di nuove risorse. Dopo l’uso del legno, all’inizio dell’Ottocento, e dei mulini ad acqua che hanno alimentato i primi anni di crescita industriale, alla fine del Diciannovesimo secolo il carbone è diventato la prima fonte primaria di energia. A metà del secolo scorso il petrolio e il gas naturale hanno assunto un ruolo fondamentale ed è emersa una nuova forma di energia: il nucleare. Fino alla fine del Ventesimo secolo le fonti di energia maggiormente usate, nel complesso, sono rimaste le stesse. L’attuale crescita della produzione nazionale di liquidi derivati dal petrolio e di gas naturale hanno messo il carbone in secondo piano nella produzione di elettricità. In generale, petrolio, gas naturale e carbone hanno fornito più dell’80 per cento dell’energia primaria nell’ultimo decennio.
L’impatto su salute e ambiente delle miniere di carbone negli Usa
Il report annuale del 2014 sul carbone, redatto dalla Energy information administration (Eia) statunitense, mostra che la produzione di carbone è cresciuta dell’1,5 per cento rispetto all’anno precedente ma le persone impiegate nell’industria del carbone sono diminuite per tre anni di fila attestandosi a 74.931 lavoratori. Il carbone ha coperto il 18 per cento del consumo di energia nel 2014, con un lieve calo (0,7 per cento) rispetto all’anno precedente.
Gli Stati Uniti sono un esportatore netto di carbone e il fatturato dell’industria nel 2014 era di circa 46 miliardi di dollari. Ma anche se la domanda nazionale del combustibile fossile è stata di circa 917 milioni di tonnellate e il paese ne aveva prodotte 997 milioni, il governo ha scelto di importarlo perché più conveniente.
L’industria del carbone, però, è in crisi a causa della crescita di fonti energetiche più pulite e meno costose come il gas naturale, il solare e l’eolico. Il 65 per cento del carbone prodotto nel paese proviene dalle miniere di superficie che hanno un impatto molto negativo sull’ambiente circostante. Per esempio, lo spianamento delle montagne e il riempimento delle valli ha interessato vaste aree dei monti Appalachi negli stati del West Virginia e del Kentucky. Le cime delle montagne vengono spianate con esplosivi e l’acqua di scarico proveniente dalle valli spesso contiene sostanze inquinanti.
Tra il 1900 e il 2006 sono morti ben 11.606 minatori in 513 disastri dovuti all’estrazione sotterranea di carbone. Le morti causate da tre incidenti avvenuti nel corso del 2006 sono stati tra i motivi che hanno portato alla formulazione del Miner act (Mine improvement and new emergency response act) volto a migliorare la sicurezza, la salute, l’azione e la reazione in caso di emergenza.
La produzione di petrolio supera il consumo
Gli Stati Uniti sono il paese che consuma più petrolio al mondo: nel 2014 sono arrivati a consumare fino a 19 milioni di barili di prodotti petroliferi al giorno, ossia circa il 20 per cento del consumo mondiale. Il petrolio copre circa il 35 per cento della domanda interna di energia e viene utilizzato soprattutto nel settore dei trasporti (71 per cento) e dell’industria (22 per cento).
Il paese è anche il terzo produttore mondiale di greggio e un grande esportatore di liquidi derivati dal petrolio e di prodotti raffinati, anche se solo l’1 per cento dell’elettricità prodotta nel paese viene dal petrolio. La produzione di greggio è cresciuta dopo il calo generale avvenuto tra il 1985 e il 2008 grazie all’uso, specialmente negli stati del Texas, del North Dakota, dell’Oklahoma e nel Colorado, di tecnologie per la trivellazione più vantaggiose dal punto di vista economico.
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Le importazioni nette (ossia le importazioni meno le esportazioni) di greggio e prodotti petroliferi nel 2014 hanno raggiunto in media i 5,2 milioni di barili di prodotti petroliferi al giorno e costituivano il 27 per cento del consumo totale di petrolio negli Stati Uniti, il livello più basso mai registrato dal 1985.
Lo sviluppo del fracking
Il fattore principale che ha permesso agli Stati Uniti di aumentare la produzione nazionale di petrolio e di dipendere di meno dalle importazioni dai paesi mediorientali è stata la crescita della fratturazione idraulica o fracking. Questa pratica richiede grandi quantità di acqua e l’uso di sostanze chimiche potenzialmente dannose che permettono di estrarre il petrolio dagli strati rocciosi più profondi. La costruzione o la cattiva gestione di pozzi difettosi può causare perdite dei fluidi di fratturazione. La fratturazione idraulica produce anche grandi quantità di acque di scarico che possono contenere sostanze contaminanti. Solitamente le acque di scarto vengono iniettate in pozzi profondi, pratica che potrebbe perfino portare al verificarsi di scosse sismiche, anche se su questo gli studi non sono ancora concordi.
Gas naturale: non rinnovabile ma più pulito
Il gas naturale nel 2014 ha soddisfatto il 28 per cento della domanda statunitense di energia primaria. Il paese consuma più gas naturale di quello che produce: anche se la maggior parte del gas naturale viene prodotto a livello nazionale, questa risorsa viene importata in grandi quantità. La dipendenza dalle importazioni ha subìto un calo negli ultimi anni grazie alla crescita della produzione interna dovuta all’uso di tecniche di produzione e di trivellazione più efficienti e redditizie in particolare nelle formazioni geologiche di scisto, arenaria e carbonato. Le importazioni nette di gas naturale rappresentavano il 4 per cento del gas naturale consumato nel 2014, mentre nel 2001, nel 2005 e nel 2007 c’è stato un picco massimo del 16 per cento.
Il gas naturale produce meno polveri sottili del carbone e dei prodotti petroliferi raffinati. Ciò ha contribuito a un suo maggiore utilizzo nella produzione di elettricità e nel settore dei trasporti. Tuttavia, il gas naturale è fatto per lo più di metano, un potente gas a effetto serra. Il gas che in parte si disperde nell’atmosfera è responsabile del 29 per cento delle emissioni totali di metano degli Stati Uniti, ma raggiunge solo il 2 per cento delle emissioni di gas a effetto serra registrate nel 2013. Il gas naturale non lavorato può contenere composti come l’idrogeno solforato, un gas molto tossico, ed è spesso bruciato, un processo che produce composti come la CO2 e il monossido di carbonio.
Inoltre, per la costruzione di riserve di gas naturale e gasdotti usati per trasportare la risorsa è necessario sgombrare ampie distese di terra. Le attività di trivellazione producono inquinamento atmosferico e l’estrazione di gas naturale può contaminare le falde acquifere.
Meno emissioni di CO2 con il nucleare? Il problema sono le scorie radioattive
L’energia nucleare soddisfa circa l’8 per cento della domanda di energia primaria americana e viene utilizzata solo per generare elettricità. Attualmente ci sono 99 reattori nucleari in funzione in 61 centrali nucleari negli Stati Uniti. Dal 1990 l’elettricità prodotta ogni anno tramite il nucleare ha raggiunto in media il 20 per cento. La Eia si aspetta una crescita della produzione nazionale di energia nucleare ma a una velocità di circa un quarto rispetto alla produzione totale di elettricità. Nel 2014 i proventi delle centrali nucleari erano pari a 40-50 miliardi di dollari e gli impiegati nel settore erano più di 100mila.
I reattori nucleari sono alimentati da materiale fissile, nella maggior parte dei casi uranio. Questo viene importato dal 2009 principalmente dal Canada e dall’Australia, ma soprattutto dal Kazakistan. I reattori nucleari non producono inquinamento atmosferico o diossido di carbonio mentre sono in funzione e sono molto efficienti. Ma producono rifiuti radioattivi che possono rimanere tali e costituire un pericolo per la salute dell’uomo per centinaia, se non migliaia di anni.
La crescita delle rinnovabili è inarrestabile
Nel 2014 il consumo di energia rinnovabile negli Stati Uniti rappresentava circa il 10 per cento del consumo totale di energia. Il 13 per cento dell’elettricità nel 2014 è stata generata da fonti di energia rinnovabili. La fonte rinnovabile più usata è l’energia eolica che da sola genera il 5 per cento dell’elettricità. Le biomasse sono invece al secondo posto con il 2 per cento di elettricità generata nel 2015 e vengono usate per produrre calore e vapore per l’industria o per il riscaldamento. Le biomasse tra cui si annoverano biocombustibili come etanolo e biodiesel, sono usate nel settore dei trasporti e sono fortemente promosse da incentivi statali e del governo federale. Si stima che nei prossimi anni il loro uso sarà in crescita.
Il biodiesel e l’etanolo sono sostanze atossiche e biodegradabili e possono essere considerate a emissioni zero perché le piante con cui sono fatti (semi di soia e palme da olio per il primo e mais e canna da zucchero per il secondo) assorbono CO2 compensando le emissioni generate dalla loro produzione e dal loro uso. D’altro canto ampie aree verdi e foreste vengono rase al suolo per far posto a piantagioni di soia e palma da olio impiegate nella produzione di biodiesel, e molti terreni, fertilizzanti ed energia vengono utilizzati per la produzione di etanolo, che contiene denaturanti tossici e altamente infiammabili. Gli Stati Uniti sono importatori netti di biodiesel ed esportatori netti di etanolo.
Secondo il nuovo rapporto Advanced Energy Economy Report, i prodotti e i servizi energetici evoluti finalizzati all’efficientamento energetico valgono 200 miliardi di dollari ogni anno. Il solare e l’eolico, oltre al gas naturale, hanno portato a una crescita del 14 per cento rispetto al 2013, il quintuplo del tasso di crescita dell’economia statunitense.
Il costo di produzione delle rinnovabili continua ad abbassarsi col passare del tempo anche grazie a regolari finanziamenti e incentivi e nel 2011 le rinnovabili hanno superato il nucleare negli Stati Uniti in quanto a produzione di energia. L’Energy outlook del 2015 della Eia mostra la possibilità di eliminare le importazioni nette di energia tra il 2020 e il 2030 e riflette, tra le altre cose, l’uso crescente delle rinnovabili.
La lotta al riscaldamento globale negli Stati Uniti
Gli Stati Uniti emettono il 15 per cento delle emissioni di carbonio di tutto il mondo. Alla Cop 21 il paese si è impegnato a diminuire le proprie emissioni del 26-28 per cento entro il 2025 rispetto ai livelli del 2005. Il progetto di transizione prevede di:
- ridurre l’inquinamento causato dagli impianti che producono energia, la fonte principale delle emissioni;
- ampliare l’uso di energia pulita, aumentare la produzione di energia solare di venti volte e triplicare la produzione di energia eolica;
- costruire infrastrutture e limitare la circolazione di mezzi pesanti, la seconda fonte maggiore di inquinamento da gas a effetto serra;
- ridurre lo spreco di energia nelle case, nelle aziende e nelle fabbriche;
- ridurre le emissioni di gas a effetto serra generate in altro modo come gli idrofluorocarburi (hfc) e il metano.
Al momento l’arma migliore contro i cambiamenti climatici è fare affidamento sulle rinnovabili. I loro costi sono scesi e ci sono metodi sempre nuovi per integrarle di modo che diventino una forma di energia primaria. Ciò significa che maggiori quantità di energia verranno utilizzate negli Stati Uniti invece di essere importate e che le emissioni di CO2 caleranno.
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