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Mentre il Regno Unito pianifica la realizzazione di una centrale nucleare con costi esorbitanti, la Germania pianifica di sostituire l’energia atomica con l’innovazione tecnologica e le rinnovabili.
Hinkley Point sarà il primo impianto nucleare costruito in Europa, per la precisione nel Regno Unito, dopo il disastro di Fukushima del 2011. Mentre il governo britannico vede nell’energia nucleare una fonte sicura e affidabile, la Germania sta andando nella direzione opposta.
Il cancelliere Angela Merkel, dopo Fukushima, ha deciso di abbandonare l’energia atomica entro il 2022 e colmare il gap di produzione elettrica con le rinnovabili. La Germania sta spingendo l’energia verde dagli anni Ottanta, quando iniziarono le proteste anti-nucleari, e oggi la sua produzione elettrica è coperta per il 26 per cento da eolico, solare e altre rinnovabili, sebbene il 44 per cento continui ad essere prodotto con il carbone.
La politica energetica tedesca, secondo quanto riporta il giornale britannico The Guardian, prevede di arrivare al 2025 con una produzione elettrica da rinnovabili del 40-45 per cento sul totale della domanda. Nessun altro paese, con dimensioni paragonabili alla Germania, ha programmato un cambio di paradigma energetico di tale entità, in così poco tempo e con un costo di 1.000 miliardi di dollari nei prossimi 20 anni. Uno sforzo erculeo, come l’ha definito la Merkel, paragonabile alla transizione post caduta del muro di Berlino – nota con il nome die Wende – e per questo è chiamata “energiewende“.
La transizione energetica tedesca non è comunque immune da critiche, tra queste l’aumento dei sussidi alle rinnovabili, pagati in bolletta dai cittadini che si lamentano di dover pagare gli impianti fotovoltaici ai ricchi che decidono di installarli sul tetto di casa loro.
La rotta verso le rinnovabili è appoggiata anche dalla BDI, principale lobby economica del paese, nonostante le persistenti preoccupazioni per gli impatti che la transizione energetica può avere sulla base produttiva del paese, soprattutto in un momento in cui la fiducia nel Made in Germany è stata pesantemente minata dallo scandalo della Volkswagen.
Una delle principali industrie coinvolte nel processo di transizione è la Trimet Aluminium, tra le aziende con il maggior consumo energetico del paese, rappresenta infatti l’1 per cento della domanda elettrica tedesca. La società ha 270 fornaci che lavorano 24 ore su 24, sette giorni la settimana con temperature di picco di 960 gradi e una bolletta elettrica annuale di 120 milioni di euro.
Insieme con altre 2.000 aziende energivore, la Trimet è esonerata dal prelievo in bolletta per la componente che incentiva le rinnovabili; un’esenzione che fa discutere, soprattutto in un momento di crisi come quello attuale dove i consumatori devono affrontare bollette sempre più costose. La compagnia comunque non è immune al cambio di paradigma energetico messo in atto dalla cancelliera, “consideriamo l’energiewende come un’opportunità, ma dobbiamo essere in grado di reinventare i nostri processi produttivi”, ha detto Andreas Lützerath responsabile produzione di Trimet. La compagnia sta già studiando come usare le fornaci del suo impianto di Essen, nel nord-est della Germania, come batterie virtuali. Se il sistema avrà successo, l’azienda potrà immagazzinare 3.360 megawattora di energia ogni due giorni, quantitativo sufficiente per alimentare 300mila abitazioni ogni giorno.
Nonostante i problemi, la sfida energetica della Germania è stata il motore per la creazione di nuove industrie, tanto che oggi, circa 370mila tedeschi lavorano nel settore delle rinnovabili, il doppio del numero di impiegati nel comparto fossile, secondo quanto riportato da Heinrich Böll Foundation, un thinktank ambientalista.
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