Roberta Redaelli, nel suo saggio Italy & Moda, raccoglie le voci del tessile. E invita il consumatore a fare scelte che lo spingano alla sostenibilità.
Il diritto di sapere come vengono realizzati i vestiti, la moda sostenibile secondo Iluut
Materie prime a basso impatto ambientale e trasparenza totale: la sostenibilità secondo il marchio d’abbigliamento Iluut.
L’industria tessile e della moda registra uno dei più alti tassi d’inquinamento a causa di alcune pratiche impattanti di cui si serve e che mettono in grave pericolo l’equilibrio del nostro Pianeta. È partendo da questa realtà sempre più diffusa che Iluut, una linea d’abbigliamento nata grazie a tre giovani ragazze particolarmente sensibili alla tematica, vuole fare la differenza.
Iluut: tutte le caratteristiche di un marchio sostenibile
Alla base di questo nuovo progetto, presente con una campagna di raccolta fondi per avviare la prima produzione all’interno della piattaforma di crowdfunding Indiegogo, troviamo proprio tutti gli elementi necessari che contraddistinguono la moda sostenibile. Ce lo racconta Silvia Osella, una delle tre protagoniste che anima l’iniziativa.
Sostenibilità e tracciabilità. Com’è nata l’idea di creare un marchio che si basi proprio su questi due principi fondamentali per il futuro della moda?
Potremmo dire che Iluut è nato in primis dalle nostre esigenze, volevamo trovare dei capi che fossero davvero sostenibili e belli allo stesso tempo, adatti a tante forme diverse e accessibili. Tutto è partito da Elina (28 anni, di Helsinki): dopo tanti anni in una delle più importanti agenzie di pubblicità finlandesi ha deciso di registrare un video in cui spiegava il suo progetto e diffonderlo attraverso i principali canali social per cercare altre ragazze che, come lei, volessero fare la differenza utilizzando le proprie passioni e competenze. Un giorno ho trovato il video di Elina e, già dopo le prime chiacchierate su Skype, ci siamo trovate in sintonia rispetto a una visione della moda etica e sostenibile. Qualche mese dopo, al team si è aggiunta Vj (25 anni, di Londra), fashion designer. Ogni tanto riusciamo a incontrarci di persona ma giornalmente lavoriamo online utilizzando diverse piattaforme.
Quanto è importante all’interno di Iluut la trasparenza della filiera?
Crediamo fortemente che tutti abbiano diritto a sapere dove e come vengono realizzati i propri vestiti. Per questo ci piace pensare a Iluut non solo come un brand, ma anche come un progetto di sensibilizzazione rispetto alla sostenibilità nell’industria dell’abbigliamento, la seconda più inquinante al mondo. La trasparenza è per noi fondamentale, e vogliamo poter mostrare con orgoglio alle nostre future acquirenti chi ha fatto i loro capi e come nascono, attraverso i nostri canali social, invitando chi ci segue a farci costantemente domande. Siamo le prime a voler imparare ogni giorno da questa esperienza.
Quali sono i materiali utilizzati per realizzare i vostri prodotti?
Al momento Iluut è in fase di start-up per cui la nostra collezione è composta da pochi capi, i cui tessuti sono realizzati a partire da fibre cresciute in modo sostenibile e prodotti in Europa, come ad esempio il lino (fibra che consuma pochissima acqua per la sua produzione) dalla Normandia e il tencel, innovativa fibra di cellulosa dall’Austria. Le stampe vengono realizzate da partner con i più innovativi macchinari digitali a basso impatto ambientale ed inchiostri a base d’acqua. Il raggiungimento dell’obiettivo su Indiegogo, oltre a realizzare la prima produzione, ci permetterà di investire in ricerca per quanto riguarda l’utilizzo di ulteriori materiali innovativi e crescere aggiungendo sempre più capi di altissima qualità.
Per ridurre l’impatto ambientale della moda non basta servirsi di materie prime ecologiche, anche il processo di produzione lungo tutta la filiera deve attuare in maniera responsabile. Per esempio, quali sono i requisiti che richiedete ai vostri fornitori?
Abbiamo dedicato più di un anno e mezzo alla ricerca di potenziali fornitori. Eravamo convinte che ormai fossero in tanti ad aver abbracciato la sostenibilità; purtroppo ci siamo ritrovate a constatare il contrario, in molti hanno ancora paura a investire in questa direzione pensando – a nostro avviso erroneamente –che non ci sarebbero abbastanza consumatori finali interessati. Per altri, invece, la sostenibilità è solo una questione di marketing: affermano di produrre in maniera responsabile perché sanno che per una certa fascia del loro target questo li mette sotto una luce migliore, ma nella pratica, di sostenibile non hanno poi molto. Quello su cui non transigiamo è la ricerca di collaboratori che, come noi, non abbiano paura di mostrare il loro processo di produzione nella sua interezza.
Quali sono i mezzi che vi permettono di verificare l’attività dei vostri fornitori?
Abbiamo deciso di lavorare direttamente con i nostri fornitori, visitando personalmente tutti i nostri possibili partner e instaurando un rapporto sincero con loro: è molto bello vedere con quanto orgoglio, entusiasmo e apertura ci accoglie chi ha deciso di investire realmente nella sostenibilità. Quest’estate abbiamo addirittura fatto un viaggio on the road di più di 7000 chilometri per incontrare tutte le persone che nelle varie fasi lavorano alla realizzazione dei nostri capi.
Molti consumatori sono più orientati alla convenienza del prodotto piuttosto che alla qualità. In che modo vorreste cercare di cambiare questa tendenza?
Purtroppo il mondo del fast fashion ha “educato” molto male le persone su quanto dovrebbe davvero costare un capo fatto in maniera impeccabile e per la produzione del quale non ci rimettano l’ambiente o i lavoratori che lo producono. Le scelte che abbiamo fatto non sono state le più economiche, e l’essere molto esigenti sulle varie fasi della produzione ha un costo. Tuttavia, pensiamo che questo non debba essere troppo alto e inaccessibile, e per farlo abbiamo deciso di vendere solo online e, come dicevamo prima, di lavorare direttamente con i nostri fornitori, eliminando intermediari che influirebbero sul prezzo: rendere il sostenibile accessibile è indispensabile per mettere davvero in moto un cambiamento, smentendo l’associazione con la fascia luxury e rendendolo, man mano, alla portata di tutti.
Anche l’aspetto sociale è parte integrante del vostro progetto, quali sono le iniziative benefiche che state sostenendo?
Iluut sarà un progetto a zero sprechi: i nostri scarti saranno riciclati dalle donne marocchine che operano nell’organizzazione Carpet of life per produrre bellissimi tappeti berberi nel deserto di M’hamid, poi venduti a prezzi equi. Il 5 per cento dei nostri utili verrà invece devoluti a Pencils of Promise, per la costruzione di scuole in Paesi in via di sviluppo. Elina è venuta a conoscenza dell’organizzazione tempo fa, ed è rimasta molto colpita dalla loro metodologia di lavoro, dalla loro trasparenza e dal fatto che il 100 per cento delle donazioni finanzia direttamente i progetti, senza intermediari. Ci piaceva l’idea di poter sostenere un progetto concreto e legato all’educazione perché crediamo che questa sia la base per ogni cambiamento.
Il nome Iluut è ispirato alla parola finlandese “tuuli” che significa vento. Com’è legato questo concetto al vostro marchio?
Il finlandese è la lingua della nostra fondatrice, Elina. Cercavamo una parola dal suo vocabolario che richiamasse l’estetica di impronta scandinava del brand: i nostri capi hanno infatti una linea minimal e delicata, e sono pensati per durare nel tempo e nelle stagioni. Ci piaceva il fatto che fosse un elemento naturale, trasparente– proprio come vuole essere il nostro brand– ma che allo stesso tempo, più o meno velocemente, cambia le cose, spingendole verso una nuova direzione.
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