Le soluzioni di smart home & building automation abilitano la transizione ecologica, come dimostra il Report di sostenibilità “Welcome to the Nice future”.
La visione dell’architettura del futuro secondo Arturo Vittori, ideatore di Warka Water
L’innovazione e la sostenibilità sono i cardini della filosofia dello studio Architecture and vision di Arturo Vittori. Classe 1971, Vittori è architetto, designer e artista, amministratore delegato della non profit Warka Water e fondatore del marchio etico di moda Culture à porter. Viene da esperienze internazionali con architetti come Santiago Calatrava, Jean Nouvel, lo studio Future Systems. Tra i suoi
L’innovazione e la sostenibilità sono i cardini della filosofia dello studio Architecture and vision di Arturo Vittori. Classe 1971, Vittori è architetto, designer e artista, amministratore delegato della non profit Warka Water e fondatore del marchio etico di moda Culture à porter. Viene da esperienze internazionali con architetti come Santiago Calatrava, Jean Nouvel, lo studio Future Systems. Tra i suoi vari progetti, ha collaborato con l’artista Anish Kapoor alla progettazione della stazione della metropolitana Monte Sant’Angelo di Napoli. Il suo studio ha sede a Bomarzo, dove progetta edifici e strutture complesse capaci di produrre risorse, come Warka Water appunto, o le sculture urbane in muschio e acqua che depurano l’aria, lavorando con team multidisciplinari.
Quali sono stati gli sviluppi del suo progetto Warka Water dall’installazione del primo prototipo funzionante in Etiopia nel 2015 ad oggi?
Il programma va avanti dal 2015, quando è stato installato il primo prototipo nel sud dell’Etiopia. Abbiamo monitorato il progetto per circa un anno raccogliendo informazioni molto interessanti. Essendo il primo Warka Water installato all’interno di una comunità rurale, lo abbiamo testato sotto molti punti di vista e i risultati sono serviti poi negli anni successivi per implementare, migliorare e rendere più performante il progetto. Abbiamo costruito altri prototipi qui in Italia, nel nostro laboratorio.
Crede che il progetto possa svilupparsi su vasta scala e grandi numeri o ci sono delle difficoltà tecniche, economiche o politiche che ne limitano la diffusione?
Ci sono certamente degli ostacoli: si tratta di un progetto innovativo ed è quindi normale che incontri difficoltà di tutti i tipi, tecniche, sociali, culturali, politiche, per cui stiamo imparando piano piano a far tesoro dell’esperienza per andare avanti. Il progetto può essere pensato e realizzato su larga scala ed è questo l’obiettivo, perché il problema della scarsità idrica tocca tutti i continenti, non è un problema locale o nazionale. Questo, però, non è un dispositivo, non è un prodotto pensato per essere realizzato in modo industriale e distribuito su larga scala ma, al contrario, è un lavoro che viene fatto all’interno delle comunità e con le comunità. Le comunità rurali sono tutte diverse per cultura, storia, contesto geografico, per cui la forma e le caratteristiche di questo sistema di raccolta d’acqua dall’atmosfera spesso mutano, cambiano, si adattano alle condizioni locali. La visione su larga scala prenderà perciò del tempo, perché il progetto vuole e deve essere integrato con le comunità, utilizzando le loro tecniche e i loro materiali.
Leggi anche: Warka Water, la torre che produce acqua dall’aria in Etiopia, funziona
Chi sono i finanziatori del progetto?
Il progetto è nato con Kickstarter, ora c’è un’altra piattaforma di crowdfunding (raccolta fondi online, ndr) – Caring Crowd – che ci supporta da circa un anno e mezzo, che ci permette di duplicare le donazioni che riceviamo. Allo stesso tempo abbiamo donazioni di privati e aziende, stiamo crescendo e questo supporto finanziario, che è uno degli aspetti più complessi in un progetto non commerciale, sta diventando importante.
La natura è sempre più fonte di ispirazione per l’architettura e il design. Il Warka Water ne è un esempio emblematico, attrattivo anche dal punto di vista formale. Ci sono altri progetti che ritiene significativi di questa visione e approccio per trovare soluzioni innovative a problemi importanti?
Non mi vengono in mente artefatti realizzati dall’uomo in epoca recente. Molti progetti si ispirano alla natura, perché è un tema di tendenza e anche di moda, ma spesso si tratta di operazioni di marketing e cosmetica, le cui premesse, a guardar bene, alla fine decadono. Ma sicuramente ci saranno progetti validi in questo settore, e forse sono io che non li conosco abbastanza.
Ha scritto che oggi, più che mai, l’architettura ha bisogno di una visione forte. Qual è la sua?
Questo è il motto del mio studio che si chiama Architecture and vision e la visione forte è proprio la visione del futuro. Oggi più che mai questa visione è necessaria e questo lo si può vedere in tutto quello che viene realizzato intorno a noi. Sempre più l’aspetto commerciale prevale sul resto e la mia visione è invece quella di creare strutture come il Warka che siano capaci di produrre risorse, elemento, secondo me, fondamentale per l’architettura, cosa che invece i nostri edifici normalmente non fanno. Sono dei grossi consumatori di risorse, ma in quanto a funzione siamo ancora in fase molto embrionale. Penso a edifici capaci di produrre energia, aria, acqua, ossigeno, cibo. E questo è quello che fa la natura. Se prendiamo come riferimento un albero, è un progetto straordinario. Ogni albero produce risorse, cibo, ossigeno, energia, habitat, tutta una serie di risorse ed è una struttura biodegradabile, che ha un certo ciclo di vita e poi viene completamente rigenerata dalla natura. Gli edifici dovrebbero fare la stessa cosa. Ma siamo ancora lontanissimi dall’immaginarlo. Questa è la mia visione, non solo per il progetto del Warka, ma che sta alla base di molti altri progetti. Attualmente ne abbiamo circa 170 che supportano la stessa filosofia. Ad oggi non sono stati ancora realizzati, ma sono delle visioni di come potrebbe essere l’architettura del futuro.
Un esempio: il progetto di una scultura urbana che ha la funzione, oltre che di abbellire il contesto della città dove si colloca, di depurare l’aria. Le particelle sottili, che sono molto pericolose per la nostra salute, vengono depurate da questa struttura che utilizza elementi naturali come il muschio e l’acqua: è un suggerimento e un manifesto per dire come la natura ci insegna a ripulire l’aria dall’inquinamento. Imitare la natura significa anche integrare nelle nostre costruzioni dei materiali naturali in grado di svolgere queste funzioni. I nostri progetti nascono come progetti di ricerca per rispondere a problematiche reali della nostra società che dobbiamo risolvere.
Artista, architetto, designer, lei come si sente?
Tutto e niente! In realtà un po’ com’era l’architetto del Rinascimento. Era anche ingegnere e artista. Pensiamo a Leonardo, Michelangelo, Brunelleschi, personaggi che non solo progettavano, ma realizzavano e innovavano allo stesso tempo e si avvalevano di aiutanti esperti, ma erano un tutt’uno. Oggi stiamo creando degli specialisti in settori sempre più di nicchia, ma abbiamo perso la visione globale e questo è, a mio parere, un grande problema. Io voglio esprimermi in senso più ampio, nell’architettura, nell’arte o nel prodotto industriale che deve essere funzionale: dividere queste discipline è diventato riduttivo e pericoloso.
Quali sono gli obiettivi principali che desidera raggiungere come progettista e come persona?
Sicuramente portare questo messaggio ai giovani delle nuove generazioni. Questo è uno degli obiettivi delle mie attività, che sono anche quelle di collaborare con università e centri di ricerca. Dimostrare che si possono realizzare progetti diversi che riscuotano l’interesse dell’opinione pubblica e vengono sostenuti: è importante dare questa visione positiva a un giovane che l’abbraccia e la sviluppa ulteriormente. Una delle cose che sto facendo e vorrei fare sempre più è coinvolgere le nuove generazioni in questa mia visione del futuro.
Un progetto che vorrebbe realizzare, un suo sogno nel cassetto?
Ho tanti sogni e tanti di questi si sono materializzati in schizzi di progetto. Li vorrei realizzare tutti! Sono nella maggior parte progetti innovativi che richiedono un certo ciclo di tempo per poter essere implementati.
Come nato il suo progetto Culture à porter e quali sono gli obiettivi ?
L’idea del progetto nasce dalla collaborazione con le comunità rurali di Haiti. Ho scoperto che hanno una ricchezza culturale incredibile nel saper realizzare artefatti di estrema qualità, fatti a mano, unici. Nella maggior parte dei casi queste tecniche stanno scomparendo perché non c’è un mercato che supporta questo tipo di attività. Inizialmente ho realizzato degli oggetti per me e per degli amici. Ho visto il successo che avevano e da lì è nata l’idea di creare un marchio. L’obiettivo è di portare la cultura sconosciuta di una comunità isolata al centro del mondo, nelle capitali del mondo, New York, Shanghai, Londra, e questo per far parlare di questa cultura che non deve rimanere nascosta perché rischia di scomparire ma piuttosto di supportarla e di farla evolvere, tramandandola di padre in figlio. Sono manufatti intrecciati con fibre naturali che si possono trovare a Haiti come in Africa o in Sud America.
Da noi queste tecniche sono oramai scomparse o in disuso ed è un gran peccato. A monte c’è la scelta di supportare economicamente questi artigiani che non riescono a vivere della loro arte, così che possano continuare a produrre questi oggetti e a non perdere le tecniche di realizzazione, che è l’aspetto che più mi interessa. Sono proposti come oggetti di lusso, oggetti unici di valore dal prezzo elevato. Penso che il lavoro di questi artigiani debba essere rivalutato anche dal punto di vista economico. C’è una qualità intrinseca, un sapere atavico, ed è giusto secondo me attribuire loro il giusto valore.
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