Pezzi unici che conservano la patina del tempo e la memoria della loro storia con legni e metalli di recupero: è il progetto di design sostenibile di Algranti Lab.
Kengo Kuma. L’architettura sostenibile non è una scultura su un podio ma si integra con la natura e la cultura
I progetti del giapponese Kengo Kuma, uno dei più grandi architetti contemporanei, sono rispettosi della natura e della diversità culturale. Ce li ha raccontati nella cornice di due spettacolari installazioni che ha realizzato a Milano.
Giapponese, classe 1954, Kengo Kuma costruisce in tutto il mondo edifici integrati nella natura e nella cultura del luogo. A Milano ha realizzato due installazioni temporanee di grande impatto visivo ed emozionale durante la Design Week 2018: Enchanted forest nello showroom Valextra e Breath/ng nell’ambito della mostra Design in the age of experience di Dassault Systèmes a Superstudio più. Con quest’ultima grande scultura ha voluto affrontare il problema dell’inquinamento atmosferico allo scopo di ispirare i progettisti di tutto il mondo ad avvicinarsi a un’architettura sostenibile. Per il progetto ha utilizzato un materiale tessile speciale in grado di neutralizzare l’inquinamento e di agire come elemento di purificazione dell’aria.
Kengo Kuma alla Milano Design Week 2018
Camminare immersi nel profumo dei legni di cedro che popolano la “foresta incantata” di Valextra, che resterà aperta per un anno, è un’esperienza sensoriale intensa. Lì abbiamo incontrato l’architetto Kengo Kuma per parlare del suo modo unico di approcciare la progettazione, fortemente radicato nel contatto con la natura e la cultura in occasione della Milano Design Week.
La relazione stretta e l’integrazione tra natura e ambiente caratterizzano i suoi progetti: è una filosofia che deriva dalla sua cultura e formazione giapponese o è un’attitudine personale?
È difficile trovare una sola ragione, è un mix di più condizioni. Forse vanno ricercate nel modo in cui sono cresciuto, in una piccola casa degli anni Trenta, una casa umile costruita da mio nonno che la usava al fine settimana. Aveva l’hobby di fare il contadino e la casa era davvero molto piccola: erano presenti materiali naturali, oggetti di falegnameria artigianali. È molto diverso crescere in una casa così piuttosto che in una moderna. I miei amici vivevano in case contemporanee con i serramenti di alluminio, lo stile della mia era molto diverso, era vicina anche a una piccola foresta. Questi piccoli boschi limitrofi alle aree abitate sono chiamati in giapponese “satoyama”. Giocavo lì, c’erano piccoli animali, potevo raccogliere erbe e piante da mangiare. Questo tipo di esperienza è stata determinante per la mia personalità e anche per il mio modo di progettare. Posso dire che la natura è diventata parte della mia vita nell’infanzia.
Le sue architetture propongono un modello a scala umana, sono edifici gentili che si relazionano e si integrano con il contesto e la cultura del luogo, con quello che chiamiamo “genius loci”: qual è il segreto per realizzare armonia tra paesaggio e architettura costruita?
La mia filosofia è quella di rispettare i luoghi. Gli architetti giapponesi della mia generazione hanno cercato tutti, da Arata Isozaki in poi, di definire un proprio stile e una volta consolidato questo stile lo hanno declinato in luoghi diversi. È una specie di “branding” applicabile dappertutto. Io non voglio fare come loro. Ogni luogo per me ha una cultura, una storia e una natura diversa, e credo che si debba tener conto di questa unicità. È molto più stimolante. Se cercassi di copiare me stesso ripetendomi lo troverei molto noioso. L’armonia nasce da questa relazione unica e differente con ciascun luogo.
È possibile nella nostra società post-industriale approcciare l’architettura con vecchi o nuovi materiali ma senza cemento e acciaio?
Certamente. Nel Ventesimo secolo cemento e acciaio erano disponibili ovunque, è stato possibile creare edifici e città in poco tempo con questi materiali. Ora non abbiamo bisogno di avere fretta, possiamo trovare nuove tecnologie con le quali costruire architetture solide. Per esempio con le fibre di carbonio che sono sette volte più robuste dei cavi di acciaio. Lavoriamo spesso con questo tipo di tecnologia. Ci stiamo confrontando con una situazione nuova, senza utilizzare cemento e acciaio possiamo creare edifici funzionali. Viviamo in un’era fortunata, credo che la combinazione di design e tecnologia possa dare anche un enorme contributo ai problemi ambientali del mondo.
Cos’ha di speciale e innovativo il suo progetto per il Victoria&Albert Museum a Dundee, in Scozia, che è in fase di completamento e si inaugurerà a settembre?
La location di questo progetto è davvero speciale. È su un fiume e la cosa che abbiamo fatto è di integrare il fiume nell’architettura costruendolo non sul ma dentro il fiume. Normalmente un edificio è considerato una specie di scultura messa su un podio rispetto alla natura circostante, noi abbiamo fatto il contrario, abbiamo messo l’edificio nell’acqua. Dal punto di vista tecnico non è stato facile ma con i materiali giusti abbiamo creato una sorta di roccia artificiale che si integra con le rocce vere e tocca l’acqua.
Chi sono i mentori o maestri che hanno influenzato il suo modo di pensare l’architettura?
Frank Lloyd Wright è stato un mentore per me. Amava molto la cultura giapponese e l’architettura che unisce aspetti materiali e spirituali. Per quanto riguarda i dettagli la sua architettura è molto diversa dalla mia, lui appartiene al Diciannovesimo secolo, ma la sua forza e il suo spirito sono stati di grande ispirazione.
Qual è l’architettura che ha realizzato che ama di più?
È molto difficile scegliere ma se devo dirne una direi che è la Bamboo wall house che si trova a Pechino, Cina, realizzata nel 2002. Questo progetto ha rappresentato una grande sfida per il mio studio, è stato il mio primo in Cina e il processo di costruzione si è rivelato difficile e complesso. All’epoca le tecniche di costruzione nel paese non erano molto buone ma ho cercato di creare qualcosa di nuovo e mi pare di esserci riuscito.
Un sogno nel cassetto: qual’è il progetto che le piacerebbe fare in un prossimo futuro?
Mi piacerebbe progettare un edificio spirituale. Anche l’allestimento per Valextra ha qualcosa di spirituale che la gente avverte mentre cammina per la città e si sofferma per un momento all’interno di questa foresta incantata.
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