Pezzi unici che conservano la patina del tempo e la memoria della loro storia con legni e metalli di recupero: è il progetto di design sostenibile di Algranti Lab.
La casa dei professionisti dei social media
Posto, ergo sum. Socializzo via web, dunque esisto. Una simile incontestabile metamorfosi del buon vecchio cogito cartesiano rappresenta uno dei tratti peculiari della nostra epoca, in cui i contenuti mediatici veicolati attraverso Facebook, Twitter, Instagram e i vari altri social network costituiscono ormai la componente preponderante della comunicazione tout court, a livello sia individuale sia
Posto, ergo sum. Socializzo via web, dunque esisto. Una simile incontestabile metamorfosi del buon vecchio cogito cartesiano rappresenta uno dei tratti peculiari della nostra epoca, in cui i contenuti mediatici veicolati attraverso Facebook, Twitter, Instagram e i vari altri social network costituiscono ormai la componente preponderante della comunicazione tout court, a livello sia individuale sia aziendale.
Al di là di ogni valutazione di merito riguardo al complesso fenomeno (i cui esiti più estremi possono apparire talvolta quasi perversi) resta evidente il dato di fatto, ovvero quella sorta di permeabilità bizzarra e surreale tra il “dentro” e il “fuori” delle nostre vite, tra la dimensione privata delle mura domestiche e la loro pubblica accessibilità, tra il nostro mondo intimo e la sua raffigurazione esteriore.
Curiosare nell’habitat privato degli addetti ai lavori, ovvero di coloro che operano quotidianamente come professionisti dei social media, ci consente di percepire con inedita chiarezza i termini concreti di questa trasformazione pervasiva che, in misura più o meno accentuata, incide inevitabilmente sullo stile di vita di tutti noi.
Ambienti domestici a prova di conference call
Il famoso video divenuto virale alcuni mesi fa, che ritraeva un professore la cui videoconferenza casalinga in diretta con la BBC veniva comicamente sabotata dalle urla dei bimbi sfuggiti alla tata, suona immediatamente familiare ad Alessandro Mininno, la cui azienda, la Gummy Industries, opera a tutto campo nel mondo della creazione digitale.
“Abito in una casa nuova appena ristrutturata ed ho una figlia piccola la cui presenza può manifestarsi anche mentre sono impegnato in una conference call di lavoro”, racconta Mininno. “Pertanto la mia prima preoccupazione, oltre a quella di litigare con l’elettricista per riuscire a creare un ragguardevole numero di prese della corrente ben distribuite, è stata quella di assicurarmi che ogni ambiente casalingo, a partire dal salotto multifunzionale, dalle lampade e dai punti-luce diffusi, potesse essere trasformato in ufficio.
Per quanto mi riguarda la distinzione tra vita domestica e attività professionale si è totalmente dissolta, perché nel mio ambito posso lavorare anche a distanza utilizzando il portatile. E in fondo anche la lentezza di invecchiamento che caratterizza la nostra generazione trova riscontro in uno stile di arredamento decisamente giovanilistico e giocoso, con stipiti colorati ed una spiccata sensibilità alle varie invenzioni del design”.
La sostenibile leggerezza dell’open space
Versatilità ed ampiezza degli spazi sono principi ispiratori pienamente condivisi anche da Stefano Mirti, la cui società Id-Lab si accosta ai nuovi media internettiani attraverso le prospettive visuali del design, della comunicazione e della consulenza.
“Ho ricavato sia la casa sia l’ufficio da un’ex fabbrica milanese appositamente riconvertita”, spiega Mirti. “Si tratta di un open space che, grazie alla sua esposizione a sud-ovest, è illuminato da una luce bellissima e regala alla vista un orizzonte panoramico vastissimo.
L’area lavorativa, dotata di giardinetto e adatta ad accogliere una decina di persone, è situata in un ambiente a sé, ricavato però all’interno del medesimo edificio, e con caratteristiche analoghe a quelle della zona abitativa, ovvero legno naturale non trattato, prevalenza del bianco e di materiali lasciati al vivo“.
Rivisitare o dissolvere il classico binomio “casa e bottega”
Particolarmente attento ad evidenziare le insidie della contaminazione tra vita privata e professionale appare invece Simone Tornabene, esperto di strategia digitale per le due agenzie iMille ed Epico. “Oggi la casa è divenuta il luogo in cui si realizzano i molteplici ruoli e identità della persona”, dichiara Tornabene.
“E il sempre più cospicuo numero di freelance e telelavoratori, ovvero i cosiddetti ‘remote working’, ha contribuito a dissolvere i confini tra spazi personali e ambiente di lavoro, con tutti i serissimi rischi di alienazione che incombono su chi opera con il digitale e in orari flessibili.
È in riferimento a tali situazioni che è stata codificata la sindrome del Fomo (Fear of missing out) ovvero quella tipica ansia da connessione costante in merito alla quale si è poi anche parlato di demenza digitale e ‘digital detox’.
Nel mio caso, ultimamente tendo a privilegiare l’ufficio e, se proprio devo lavorare da casa, cerco di mantenere una distinzione netta tra i luoghi deputati a tale attività e il resto degli ambienti.
Oltre alla necessità di una connessione ottimale, e di una scrivania rialzata o ‘standing desk‘, tramite la quale evito di trascorrere troppe ore seduto, mi preoccupo di assicurare un’illuminazione adeguata, grazie all’utilizzo serale di un particolare impianto che mi permette di selezionare la luce meno stancante per gli occhi“.
Professionisti dei social media: iperconnessi, domotici e assetati di elettricità
Senza voler scomodare per l’ennesima volta la solita ricorrente definizione di “società liquida”, alla Bauman, non possiamo tuttavia fare a meno di rilevare quanto profondamente le nostre interazioni digitali abbiano inciso sulla quotidianità domestica rendendo fluido e penetrabile perfino lo spessore delle mura casalinghe.
Se il mio account è diventato una vera e propria propaggine del mio essere, un’estensione del mio stare al mondo, è allora inevitabile che la presa di corrente sempre disponibile, la connessione internet a prova di black-out, le luci regolabili via app, la postazione confortevole o lo schermo performante, diventino dei veri e propri generi di prima necessità.
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