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I cambiamenti climatici ci impongono di puntare dritto su un’economia a emissioni zero e investire in tecnologie pulite e rinnovabili, ma la Commissione Europea (e non solo) continua a spendere in nuove infrastrutture per il gas allontanando l’obiettivo emissioni zero.
La Commissione Europea e molti Stati membri dell’Unione Europea, Italia compresa, stanno investendo ingenti risorse per sovvenzionare nuovi gasdotti e altre infrastrutture legate al gas. Perché puntare sul gas quando la necessità è arrivare a un’economia a emissioni zero? La risposta potrebbe essere nelle pressioni esercitate su Bruxelles dalla lobby del gas. Parliamo di 100 milioni di euro investiti in questo tipo di attività e oltre mille gruppi di interesse al lavoro per influenzare le politiche energetiche europee. È quanto emerge da uno studio di Corporate Europe Observatory (CEO), una Ong con sede a Bruxelles, secondo cui gli investimenti sul gas renderanno impossibile centrare gli obiettivi di lotta ai cambiamenti climatici approvati due anni fa alla Cop21 di Parigi.
Le scelte della Commissione Europea dimostrano quanto ancora conti l’industria del gas, una forza in grado di bloccare il continente su altri 40 o 50 anni di dipendenza dal gas, un combustibile fossile che nonostante sia considerato di transizione verso un’economia a zero emissioni resta sempre una minaccia per il clima. Solo nel 2016, l’industria del gas e i circa mille gruppi di pressione ad essa legati hanno destinato circa 100 milioni di euro per cercare di influenzare la politica europea. Solo ExxonMobil e Shell – due dei più grandi inquinatori del pianeta – nel 2016 hanno speso 4,75 milioni di euro per fare lobbying. Cifre iperboliche se messe a confronto con le risorse a disposizione dei gruppi che lottano per abbandonare gli investimenti nel settore, quantificate in appena il 3 per cento della spesa del settore. Solo lo scorso anno i lobbisti hanno avuto ben 460 incontri con il commissario europeo per il Clima e l’ambiente Cañete e il vice presidente per Energy Union, Maroš Šefčovič.
Oltre all’attività di lobbying a livello europeo, un settore su cui l’industria del gas ha investito molto è quello della comunicazione e del marketing. Attraverso questi canali l’industria del gas è riuscita a rappresentare il suo prodotto come un combustibile fossile “pulito”. Ma il gas naturale che viene finanziato è costituito da metano, un gas a effetto serra 100 volte peggiore della CO2. Senza tener conto che l’estrazione e il trasporto di questo combustibile si accompagnano a grandi perdite nell’atmosfera, incidendo ulteriormente sui fattori negativi per il clima.
Le nuove infrastrutture che la Commissione Europea si appresta a finanziare non sono solo un danno per il clima ma stanno creando forti criticità anche in molte comunità che vedono la creazione di nuove ferite nei loro territori. Storie che hanno coinvolto anche l’Italia, quando in Puglia i cittadini si sono opposti con forza alla costruzione del Pipeline Trans-Adriatic (Tap), il gasdotto che dovrebbe portare il gas dall’Azerbaigian all’Italia attraverso Grecia e Albania. Ognuno dei Paesi coinvolti ha visto una forte opposizione al progetto: in Azerbaigian, molti di coloro che hanno tentano di denunciare il progetto sono finiti in prigione.
I progetti dell’UE non tengono conto del contesto che si sta prospettando nei prossimi anni, dove la domanda di gas in Europa è data in contenimento. Anziché creare un gruppo di esperti indipendenti, per avere una misura di quella che sarà l’evoluzione futura della domanda, la Commissione ha preferito rivolgersi a chi il gas lo estrae e lo commercializza. È il gruppo Entso-g, creato dalla legislazione comunitaria e costituito da società che costruiscono e gestiscono gasdotti e infrastrutture simili. Il gruppo ha consigliato e proposto progetti infrastrutturali per il gas che vengono poi deliberati dalla Commissione come “Progetti di interesse comune” (Pci), destinatari di miliardi di euro nell’ambito del programma di investimenti dell’UE. Con progetti di questo tipo raggiungere gli obiettivi concordati due anni fa ai negoziati sul clima delle Nazioni Unite a Parigi sembra davvero un’ardua impresa.
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