Le aziende che coltivano pesce in laboratorio ricevono ingenti finanziamenti per sviluppare il prodotto, ma sull’acquacoltura in cellule il dibattito è aperto.
C’è più mare pescato industrialmente che terra lavorata con l’agricoltura
Una mappa rivela per la prima volta come metà delle acque mondiali sono sfruttate dalla pesca commerciale, una superficie quattro volte più estesa della terra coltivata.
La pesca industriale sfrutta il 55 per cento degli oceani del mondo e opera attualmente su una superficie quattro volte più estesa di quella impiegata in agricoltura in tutto il pianeta. A rivelarlo è stata, per la prima volta, la mappa di Global Fishing Watch, una piattaforma interattiva fondata da Google, Skytruth, Oceana e sostenuta, tra gli altri, dalla Leonardo Di Caprio Foundation, che può essere consultata online gratuitamente da chiunque. Il progetto rivela la posizione e i comportamenti delle flotte di pesca commerciali allo scopo di tutelare le risorse della fauna marina, fonte di proteine per quasi la metà della popolazione mondiale.
L’impatto globale della pesca industriale
La mappa è il risultato di un lavoro, pubblicato su Science lo scorso febbraio, di un team di ricerca internazionale che ha raccolto 22 miliardi di dati relativi agli anni 2012-2016 e provenienti dai sistemi satellitari di bordo di 70mila pescherecci attivi nelle acque mondiali. Le informazioni sono state poi analizzate da algoritmi di “apprendimento automatico” che hanno consentito di delineare l’impatto globale della pesca misurandolo in zone e ore di pesca. Consultando la mappa, a cui gli studiosi stanno cercando di aggiungere sempre più pescherecci monitorati, si possono vedere le rotte delle navi, quando stanno pescando e scoprire, ad esempio, eventuali attività di pesca illegale.
Avanti e indietro in mare come 600 viaggi sulla Luna
Le zone colorate di verde e giallo sono quelle dove la pesca è più intensa, ovvero l’Atlantico nord-orientale, il Mediterraneo, il nord-ovest del Pacifico e alcune regioni al largo dell’America del Sud e dell’Africa occidentale. Meno sfruttate dalla pesca sono invece le acque dell’Oceano meridionale e del Pacifico nord-orientale. Lo studio ha calcolato poi che nel 2016 i pescherecci hanno viaggiato per 460 milioni di chilometri, equivalenti a 600 viaggi sulla Luna andata e ritorno, e che cinque Paesi, Cina, Spagna, Giappone, Corea del Sud e Taiwan, effettuano l’85 per cento della pesca mondiale con navi attive in tutti i mari del pianeta. Sono invece Cina, Taiwan, Spagna, Italia e Francia i Paesi che nel 2016 hanno registrato più ore di pesca. I ricercatori hanno anche osservato come l’intensità delle attività di pesca sia correlata più a fenomeni sociali come le feste (dal Natale al Capodanno cinese) che a fattori ambientali.
Pesce insostenibile
Nel 2016 il rapporto Sofia (State of the world fisheries and aquaculture) della Fao aveva calcolato che in media consumiamo 20 kg di pesce all’anno da cui deriva il 7 per cento delle proteine che assumiamo. Il pesce proviene per la maggior parte da allevamenti e pesca, ma riguardo a quest’ultima, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura stima che un terzo degli stock ittici commerciali viene catturato ancora a livelli insostenibili per gli oceani. Chissà che la realtà portata alla luce ora anche da questo studio non serva a prendere ancora più coscienza del problema e a promuovere interventi e soluzioni per una pesca più sostenibile.
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