La nostra selezione periodica di marchi responsabili nei confronti dell’ambiente e dei lavoratori.
No war factory, le bombe inesplose diventano gioielli etici made in Laos
No war factory è una linea di gioielli etici fatti a mano dagli artigiani laotiani con le bombe inesplose, lanciata nel 2017 per contribuire allo sminamento della zona.
L’idea di creare una linea di gioielli fatti a mano con l’alluminio ricavato dagli ordigni bellici nasce dalla volontà di Massimo e Serena, giovane coppia toscana che ha compiuto numerose spedizioni in Laos collaborando con l’associazione canadese Adopt a village per la realizzazione di progetti umanitari nei villaggi rurali. No war factory è infatti un’impresa che si fonda su principi etici importanti perché impiega gli artigiani locali fornendo loro la possibilità di lavorare; riutilizza l’alluminio delle bombe inesplose finanziando le associazioni impegnate nello sminamento, nonché nella messa in sicurezza della zona; e devolve il 10 per cento dei propri profitti nell’acquisto e nella distribuzione di filtri che servono a portare l’acqua potabile nei villaggi.
No war factory, dalle bombe ai gioielli
Il progetto ha preso il via nel 2017 con il semplice intento di fornire un valido aiuto al Laos che vanta il drammatico primato di paese più bombardato al mondo. Sono stati gli stessi ideatori ad affermare che No war factory è riuscito a “trasformare l’orrore generato dai conflitti in uno strumento per aiutare l’economia della popolazione e contribuire attraverso le nostre donazioni alle attività di bonifica delle terre”.
Leggi anche: La moda ecosolidale di Stella Jean e i gioielli fatti ad Haiti
I gioielli della linea sono frutto del lavoro di artigiani che abitano nella Piana delle giare, una delle zone laotiane più minate dalla presenza di ordigni. In questo territorio si producono manufatti e utensili di uso comune, quali anelli o bracciali, che vengono acquistati e importati in Italia dove vengono sottoposti a un processo di rifinitura prima di essere venduti come gioielli certificati atossici, esenti da nichel e naturalmente non radioattivi. Le creazioni si basano principalmente su forme geometriche semplici affinché il lavoro di questi artigiani ancora legati alle loro tecniche tradizionali non venga ostacolato da lavorazioni più complesse.
Un’impresa etica a tutto tondo
“Il Laos è un Paese semplicemente stupendo!” – raccontano Massimo e Serena – “Noi siamo innamorati in modo particolare delle aree a nord, che rappresentano la nostra seconda casa. I paesaggi naturali sono molto vari, si spazia da scenari montuosi incontaminati a variopinte cittadine storiche e coloniali, come Luang Prabang (Patrimonio dell’Unesco) dove spesso facciamo base prima di andare a visitare i villaggi rurali”. Ma il Laos è anche un Paese fortemente segnato dai bombardamenti della guerra del Vietnam. Durante il conflitto furono sganciate 262 milioni di bombe a grappolo antiuomo, di cui si stima che circa 80 milioni siano rimaste inesplose rappresentando un grande pericolo per la popolazione. Nella fattispecie, la Piana delle giare è talmente cosparsa da ordigni inesplosi che potrebbero volerci 125 anni per rimuoverli completamente. È per questo che, oltre al 10 per cento dei profitti impiegati nell’acquisto di filtri per potabilizzare l’acqua dei villaggi, No war factory dona ogni anno una parte dei propri ricavi all’associazione internazionale che si occupa di rimuovere le bombe inesplose, MAG (Mine Advisory Group).
Leggi anche: Mine inesplose: dai primi campi minati alla loro messa al bando
I gioielli etici di No war factory sono acquistabili dal sito web dell’azienda, ma anche nei prossimi mercatini di Natale organizzati da Emergency in tredici città italiane per devolvere fondi raccolti ai progetti per le vittime di guerra in Afghanistan e in Iraq. Perché basta un semplice oggetto come un anello o un bracciale per ridare la speranza di vivere a molte persone innocenti.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Si parla di vintage se un capo ha più di 20 anni, è definibile second hand invece è qualsiasi oggetto abbia già avuto un precedente proprietario.
Roberta Redaelli, nel suo saggio Italy & Moda, raccoglie le voci del tessile. E invita il consumatore a fare scelte che lo spingano alla sostenibilità.
Nel mezzo di una grave crisi, il distretto tessile e dell’abbigliamento lancia l’allarme sui diritti dei lavoratori nella filiera della moda italiana.
La nostra selezione periodica di marchi responsabili nei confronti dell’ambiente e dei lavoratori.
Il magazine Öko-test ha condotto ricerche su capi di abbigliamento e accessori Shein trovando residui di sostanze pericolose. La nostra intervista ai ricercatori.
L’industria tessile si sta attrezzando per innovare se stessa e trovare soluzioni meno impattanti: la fermentazione rappresenta l’ultima frontiera moda.
Casi di appropriazione creativa e di rapporti sbilanciati nella fornitura di materie prime rendono sempre più urgente parlare di “sostenibilità culturale”.
Il Parlamento europeo ha aggiornato il report sull’impatto della produzione tessile mentre cresce l’attesa nei confronti delle prossime scelte politiche.