Secondo un recente rapporto di Greenpeace, la produzione di farina di pesce per l’acquacoltura minaccia i mari e ruba il sostentamento alle popolazioni dell’Africa occidentale.
8 falsi miti a proposito del pesce che mangiamo
Slow Fish, evento dedicato alla pesca sostenibile, sfata alcuni miti legati al pesce.
Quando si parla di pesce in gioco c’è la sicurezza alimentare. Il rischio è quello di disporre di informazioni non troppo corrette o fuorvianti a proposito di come consumare cibi freschi. Per questo a Slow Fish 2017 si sfatano i principali falsi miti sul pesce a tavola. Vediamo quali sono:
Il sushi più buono con il pesce più fresco
Con il pesce crudo non si scherza per cui sono necessari alcuni piccoli accorgimenti. Il pesce che mangiamo al ristorante deve essere abbattuto come prevede la legge, ovvero surgelato in un abbattitore che lo porta velocemente a una temperatura di -18 gradi. Ma se lo prepariamo a casa? In questo caso dobbiamo conservarlo per almeno 96 ore in un congelatore domestico contrassegnato con tre o più stelle. Se non seguiamo queste prescrizioni, il rischio è quello di ingerire il famigerato anisakis, un parassita particolarmente persistente che affligge in particolare acciughe, sardine, aringhe, branzini e merluzzi, rane pescatrici e calamari. Nell’uomo può essere causa di infiammazioni allo stomaco e all’intestino o di gravi reazioni allergiche.
Il salmone è il re di tutte le diete (anche ipocaloriche)
Il pesce più consigliato nelle diete, anche quelle ipocaloriche, è sicuramente il salmone. Eppure ci sono tanti motivi per non mangiarlo. Quando si parla di salmone ci si riferisce a quello di allevamento perché di esemplari selvaggi ne esistono pochissimi (una specie realmente selvatica è quella dei sockeye del fiume Okanagan, in Canada, divenuta presidio Slow Food). A Slow Fish si affrontano quattro ragioni, il resto si può trovare sul sito: se i salmoni sono rosa come quelli selvaggi è perché nei loro mangimi è presente una sostanza colorante. Inoltre, i pesci di allevamento sono nutriti non solo con altri pesci (per 1 chilo di salmone allevato si uccidono 5 chili di pesci pescati, e quindi i salmoni sono anche non sostenibili), ma anche con farine derivanti dagli scarti di macellazione. Infine, esistono pesci più “leggeri”: 100 gr di salmone fresco contano circa 180 calorie, le alici 96, mentre i calamari 70 e le cozze addirittura meno di 60.
Il pesce bistecca è più caro, quindi è di maggior qualità
Il pesce bistecca si consuma come se fosse una fetta di carne. Comodo è comodo perché non ha spine ma stiamo parlando di pesce spada e tonno solitamente, pesci dal ciclo vitale lungo più di una stagione, che attraversano diversi mari prima di essere catturati e che ci trasmettono tutto il loro carico di contaminanti e metalli pesanti. Senza contare che la pesca intensiva del pesce spada e del tonno, quello rosso in particolare, ha messo a dura prova gli stock ittici, non lasciando ai giovanili la possibilità di crescere e diffondersi al di sopra della soglia di rischio. Quindi meglio consumare pesci dal ciclo vitale breve.
Preferisco il pesce fresco perché sono sicuro sia locale
In realtà è una credenza non suffragata dalla realtà. In Italia ogni giorno viene sbarcato pesce fresco proveniente da 40 paesi diversi, molti dei quali del Pacifico o dell’Atlantico. Per questo è importante avere un’etichetta completa che deve contenere obbligatoriamente le seguenti informazioni:
- Denominazione commerciale della specie: es. “orata”, mentre il nome scientifico nel commercio al dettaglio non è obbligatorio in etichetta ma può essere esposto in un cartello unico;
- Metodo di produzione: “pescato”, “pescato in acque dolci”, “allevato”;
- Zona di cattura: deve essere indicato in maniera comprensibile per il consumatore il mare in cui è stato catturato, le famose zone di cattura Fao (es. “Area 47: Atlantico, Sudest”, o lo Stato di origine se si tratta di pesce allevato;
- Stato fisico: decongelato, scongelato
- Presenza di additivi: ad esempio “contiene solfiti” per i crostacei legalmente additivati con solfiti.
Non esiste una stagionalità dei pesci
In realtà esiste eccome. Se si rispettano i tempi di riproduzione (e quindi in questi periodi fermare la pesca) e se si sceglie di acquistare specie provenienti dai mari a noi più vicini (le zone di cattura Fao dell’Atlantico nord-orientale – Area 27 – e del Mediterraneo/Mar Nero – Area 37) allora abbiamo scelto un pesce “di stagione”. Tra l’altro in etichetta può essere specificata anche la sottozona (es. “Prodotto pescato al largo di Sestri Levante” così da consumare per davvero il pesce pescato “sotto casa”…
Le sogliole sono tutte uguali anche se hanno prezzi diversi
A volte la variazione può essere anche di diversi euro, una forbice spesso eccessiva, non giustificata dal taglio del filetto o dalle dimensioni dell’esemplare. Purtroppo il fenomeno è sempre più diffuso a causa dell’eccessivo sfruttamento dei pesci più pregiati, e si chiama sostituzione di specie. Quando, a dispetto di cosa riporta l’etichetta, acquistiamo una lenguata senegalese (valore 4 euro/kg) al posto della sogliola, il brosme (valore 7 euro/kg) al posto di stoccafisso e baccalà, i moscardini al posto dei polpi (valore 4 euro/kg), siamo vittima di una frode commerciale a tutti gli effetti. Per difenderci dobbiamo studiare l’anatomia del pesce in questione ma se andiamo al ristorante, possiamo solo fidarci dell’onestà del cuoco.
Vongole e cozze sono inquinate
In realtà la mitilicoltura è la forma di allevamento più sostenibile. I mitili sono specie allevate da privilegiate per gusto, facilità di preparazione e proprietà nutrizionali e soprattutto perché scegliendo questi molluschi non andiamo a stressare sempre i soliti cinque pesci pescati che consumiamo. Largo quindi a cozze, vongole e ostriche, che si nutrono dei microrganismi presenti nell’acqua, filtrandola, e non necessitano quindi di mangimi. Certo, è necessario che l’ambiente di allevamento sia sicuro per evitare che sostanze o batteri nocivi alla nostra salute siano filtrati e si accumulino poi nel loro organismo. Gli allevamenti di qualità privilegiano basse densità e favoriscono adeguati ricambi delle acque. Come tutti i molluschi, devono essere vendute in reti sigillate, recanti un’etichetta che ne indichi varietà, scadenza e provenienza.
Mangiare più pesce fa bene alla salute
Il pesce è ricco di valori nutrizionali, ha un alto contenuto di omega-3 e ha carni pregiate. Tutto vero. Però dobbiamo sapere che gli stock della maggior parte dei pesci che consumiamo abitualmente sono ormai al collasso. Forse allora dovremmo ripensare i nostri consumi di pesce per rendere la dieta mediterranea più sostenibile. Possiamo, per esempio, valorizzare le fonti alternative di omega-3 (come i semi ad esempio), i pesci stagionali e a ciclo vitale breve, poco conosciuti e meno costosi ma ugualmente buoni. E poi ci sono i “non pesci”, le alternative che il mare ci offre per esaltare il piacere e mantenerci in salute, senza intaccare gli ecosistemi acquatici: meduse e alghe e- come già detto – molluschi e crostacei.
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