L’anno che sta per concludersi fa ben sperare per il futuro dell’energia solare. I dati globali sul fotovoltaico crescono, gli esempi positivi si moltiplicano. Sebbene resti molto lavoro da fare, seguire il sole ci manterrà sulla strada giusta.
Pippo Ranci. Contro la povertà energetica è necessario investire su cultura e informazione
Pippo Ranci è accademico con una vita dedicata all’energia. Lo abbiamo intervistato per capire come il mondo può uscire dalla povertà energetica. La strada non è facile, soprattutto perché richiede una rivoluzione culturale.
Pippo Ranci ha una lunga esperienza nel settore energetico, è stato presidente dell’Autorità per l’energia, l’attuale Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, oggi è membro di Wame.org e vanta una carriera professionale trascorsa come accademico dell’economia all’Università del Sacro Cuore di Milano e all’European University Institute. Autore del libro “Poveri di energia” pubblicato nel 2016 da Il Mulino. Un’esperienza che gli permette di avere uno sguardo a 360 gradi sul mondo dell’energia e individuarne i trend.
Negli ultimi anni il tema della “povertà energetica”, come l’ha definita nel suo libro, è diventato particolarmente sentito. Secondo i dati dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) 1,1 miliardi di persone non hanno accesso all’energia elettrica e 2,7 miliardi non possono cucinare e scaldarsi in modo pulito. Sarà possibile colmare questo gap entro il 2030? A quali condizioni?
Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, il problema dell’elettricità sarà risolto ad eccezione dell’Africa Sub Sahariana dove ci saranno ancora 600 milioni di persone, contro i 700 attuali, senza accesso all’elettricità.
Diversa la questione legata ai sistemi di cottura e riscaldamento con stufa o braciere aperto, in questo caso il problema non si risolverà. Tutti gli sforzi che verranno messi in atto da qui al 2030 serviranno solo a contenere il problema, controbilanciando l’aumento demografico. I 2,7 miliardi di persone che non possono utilizzare sistemi sostenibili di cottura scenderanno solo a 2,3. La questione non richiede grandi spese o infrastrutture, ma piuttosto un cambiamento radicale di abitudini e cultura. La situazione non ci induce quindi all’ottimismo, l’obiettivo al 2030 non verrà raggiunto. Ma ciò che più preoccupa è il fatto che sembra ci si sia poca consapevolezza e poca reazione in merito.
Quanto la transizione energetica, con un passaggio alle rinnovabili e a un sistema di generazione distribuita, favorirà l’accesso all’energia?
Non in modo significativo. È un processo lodevole in sé, ma nella transizione energetica non c’è un travaso dai paesi ricchi a quelli poveri. La ricaduta maggiore dal mondo industrializzato per un cambio radicale della situazione nel mondo ancora senza accesso all’energia passa attraverso la diffusione delle innovazioni.
Oggi portare l’elettricità in paesi poveri, non raggiungibili dalle reti elettriche, è un processo facilitato dalla realizzazione di sistemi solari isolati. Tale soluzione si può attuare perché sono disponibili in commercio sistemi economicamente convenienti. Il basso costo è stato raggiunto grazie a un’elevata domanda di pannelli fotovoltaici da parte dei paesi ricchi che ha consentito di sviluppare una produzione su larga scala, soprattutto da parte della Cina. Questa condizione oggi avvantaggia anche i paesi più poveri. Il sistema potrebbe avere una consistente ricaduta positiva se parallelamente si sviluppasse un mercato di batterie a basso costo.
Diversa la situazione legata ai sistemi di cottura, dove il problema è organizzativo o culturale. In questo caso la presenza sul mercato di prodotti a basso costo non è decisiva per la soluzione del problema, perché appunto il maggiore ostacolo non è economico.
Quale potrebbe quindi essere la soluzione?
Il maggior successo del “clean cooking” è avvenuto con politiche di diffusione delle stufette alimentate con gas in bombola, che non è una fonte rinnovabile, ma è sicuramente meno inquinante dei processi di cottura a legna o carbone vegetale. Politiche che hanno dato ottimi risultati in Asia e che ora si sta cercando di adottare nei paesi africani. Non è certo la soluzione perfetta, ma con i numeri che abbiamo e i tempi a disposizione non ci sono molte alternative.
Quando si parla di povertà energetica si pensa prevalentemente ai paesi in via di sviluppo, possiamo parlare di povertà energetica anche in Italia?
Se ne parla, ma è un concetto diverso. In Italia non è una questione di infrastrutture, ma è un problema reddituale, le persone non hanno i soldi per poter pagare l’energia di cui necessitano.
Il cambio tariffario potrebbe essere una soluzione?
Per affrontare le situazione di povertà oggi esiste uno strumento di supporto, il bonus energetico per elettricità e gas. La povertà non può essere affrontata solo con trasferimenti monetari. La lotta alla povertà consiste anche nella fornitura agevolata e garantita di alcuni servizi essenziali. Tradizionalmente il fornitore monopolista poteva coprire il costo delle forniture a tariffa “sociale” con i profitti generati dal resto del mercato. Con la liberalizzazione questa compensazione non era più possibile e il bonus energetico è stato lo strumento che ci ha consentito di aprire il mercato alla concorrenza.
Il bonus energia non viene utilizzato pienamente, questo è il problema. In base agli ultimi dati, solo il 35-40 per cento degli aventi diritto lo utilizza, e questo è essenzialmente dovuto al fatto che gli aventi diritto o non ne sono a conoscenza o non riescono a mettere in atto la procedura di utilizzo. È un problema serio, sottovalutato. Penso sia necessario fare uno sforzo per comunicare meglio la disponibilità di tale strumento e per facilitarne l’accesso.
Poi c’è una fascia di clienti che non sono poveri e quindi non hanno diritto al bonus, ma che necessitano di un aiuto perché non riescono a fare la scelta del fornitore di energia. Per questi è necessario attivarsi, aiutandoli a informarsi e a prendersi cura dei loro interessi. Non si deve dimenticare che c’è ancora un’abbondante fascia della popolazione che non è in grado di leggere la bolletta. Sarebbe necessario riuscire a trasferire la scioltezza con cui i giovani sanno scegliere un contratto telefonico agli anziani per metterli in condizioni di scegliere il fornitore di energia.
Dal suo punto di osservazione, quali sono le priorità energetiche in Italia?
La priorità numero uno è l’Europa, cioè il ruolo che l’Italia può giocare nel contesto europeo. Quando si parla di energia non ha senso cercare la sicurezza degli approvvigionamenti a livello nazionale. Il buon senso ci dice che per la sicurezza è importante avere una differenziazione delle forniture, per non essere nelle mani del fornitore principale che è la Russia. Tale differenziazione è molto più facile ottenerla come insieme di paesi che come singoli stati. Dobbiamo quindi dare il nostro contributo a costruire una più forte politica energetica europea che sia nell’interesse di tutti. L’Italia ha una posizione privilegiata per il numero di collegamenti con paesi fornitori di gas diversi dalla Russia e può mettere a frutto questo privilegio.
Come seconda priorità, per gestire la transizione alle rinnovabili e alla generazione distribuita, è necessario rafforzare e gestire in modo adeguato le reti. Generazione distribuita non significa abbandono delle reti, ma al contrario avere reti migliori e adeguate al trasporto bidirezionale. Un buon sistema di reti è complementare alla generazione diffusa che richiede un efficiente sistema di bilanciamento.
La terza priorità è la comunicazione ai consumatori. L’abbiamo curata troppo poco. Bisogna radicalmente ripensare il modo di far arrivare le notizie essenziali a chi ne ha bisogno, e poi pazientemente monitorare il sistema di comunicazione. Un aspetto prioritario se vogliamo ridurre la povertà energetica.
Come risolvere quindi i problemi del settore energetico?
La maggior parte dei problemi del settore energetico non richiede nuove leggi. Sarebbe opportuno ragionare su ciascuna delle questioni prioritarie e vedere in concreto quali possano essere gli specifici ruoli dei soggetti coinvolti, prendendo ad esempio casi di successo.
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