
L’aumento delle temperature combinato all’innalzamento dei livelli di anidride carbonica nell’aria, causerebbe una maggiore concentrazione di arsenico nel riso, con effetti tossicologici in chi lo consuma.
Per ogni dollaro speso per il cibo spazzatura, la società paga due dollari in costi sanitari, ambientali ed economici. La soluzione proposta dalla Ellen MacArthur Foundation.
La popolazione umana è in costante crescita e nel 2050 sarà necessario sfamare oltre nove miliardi di persone. L’attuale sistema di produzione alimentare ha ormai, evidentemente, fallito, causando gravi crisi ambientali e sociali. È pertanto necessario avviare la transizione verso modelli alimentari più sostenibili, in grado di sfamare le persone senza distruggere il pianeta. La Ellen MacArthur Foundation, tra le più importanti istituzioni per la promozione e lo sviluppo dell’economia circolare, ha presentato al recente World Economic Forum di Davos, in Svizzera, il suo ultimo rapporto, evidenziando la minaccia per la nostra salute rappresentata dal cibo industriale e l’urgenza di adottare un nuovo sistema produttivo basato sui principi dell’economia circolare.
Dal rapporto, intitolato Cities and circular economy for food, emergono dati catastrofici: entro il 2050 cinque milioni di persone all’anno potrebbero morire a causa di problemi creati dalla produzione alimentare industriale. Il modello produttivo alimentare dominante ha infatti un enorme impatto sull’ambiente e sulla salute delle persone, per cui per ogni dollaro speso per il cibo spazzatura, la società ne paga due in costi sanitari, ambientali ed economici. I cosiddetti costi esternalizzati, costi che non ci vengono addebitati alla cassa del supermercato ma che paghiamo ogni giorno e che pagheranno le generazioni che verranno dopo di noi.
Gli allevamenti e l’agricoltura intensivi stanno sovrasfruttando da decenni le risorse naturali, immettendo nell’ambiente, nelle falde acquifere e nei prodotti che consumiamo una grande quantità di veleni, come i pesticidi usati in agricoltura e gli antibiotici usati senza criterio negli allevamenti. Sono inoltre tra le principali cause di deforestazione e di emissioni di gas a effetto serra.
Our Cities and Circular Economy for Food research was produced in consultation with a consortium of 100+ organisations and actors along the food value chain. #circulareconomy https://t.co/8Yye6FJvxN pic.twitter.com/Am96nrqxc8
— Ellen MacArthur Fdn. (@circulareconomy) 6 febbraio 2019
Se da un lato questo tipo di produzione alimentare viene tollerato proprio per soddisfare la crescente domanda globale di cibo, dall’altro è sempre più evidente che il modo in cui viene prodotto minaccia la nostra salute e quella degli ecosistemi. Il cambio del paradigma alimentare dovrà avvenire, giocoforza, nelle città poiché, secondo il rapporto, entro il 2050 l’80 per cento del cibo verrà consumato nei centri urbani. Qui dovrà dunque avere luogo la transizione verso un’economia circolare del cibo che prevede una drastica riduzione degli sprechi alimentari, un riuso dei sottoprodotti alimentari e una produzione di cibo in grado di rigenerare i sistemi naturali, anziché distruggerli.
Per ottenere questo obiettivo e rendere possibile il cambiamento, il rapporto della Ellen MacArthur Foundation propone tre iniziative da mettere in pratica:
Considerato l’attuale stato di degrado in cui versano le aree rurali, il primo passo è quello di adottare pratiche agricole rigenerative, che prevedono, ad esempio l’abbandono di fertilizzanti sintetici in favore di quelli organici, la rotazione e l’aumento della variazione delle colture per favorire l’incremento della biodiversità. Esempi di pratiche agricole benefiche per l’ambiente sono l’agroecologia, l’agroforestazione, l’agricoltura conservativa e la permacoltura. I consumatori, suggerisce il rapporto, dovrebbero abbandonare la loro posizione passiva e premiare il lavoro dei produttori che adottano tecniche sostenibili e preferire il cibo prodotto nelle aree periurbane (entro 20 chilometri dalle città) poiché comprendono il 40 per cento delle terre coltivate del mondo.
Gli scarti alimentari possono essere considerati a tutti gli effetti una risorsa. Per questo il rapporto propone di sfruttare al massimo il cibo, garantendo che i suoi sottoprodotti siano utilizzati al meglio. Innanzitutto, anziché smaltire il cibo in eccesso, le città possono ridistribuirlo per aiutare a combattere l’insicurezza alimentare, i sottoprodotti immangiabili possono invece essere trasformati in fertilizzanti organici o trasformati in biomateriali o bioenergie.
L’ultima proposta prevede infine di utilizzare in maniera positiva il marketing alimentare, che dovrebbe promuovere alimenti prodotti in maniera sana, enfatizzando, ad esempio, l’importanza della riduzione del consumo di carne in favore di proteine vegetali, la cui produzione ha un impatto ambientale molto più contenuto.
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