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Robert Capa retrospective a Monza, un secolo di conflitti immortalati dal più grande fotogiornalista di guerra
Il racconto in immagini della vita e della carriera di Robert Capa, dal fotogiornalismo di guerra all’amore con Gerda Taro in mostra all’Arengario di Monza. Gli scatti in bianco e nero che hanno segnato un’epoca.
Una piccola ma ben curata mostra all’Arengario di Monza fino al 27 gennaio ci porta in anni bui della storia internazionale grazie a più di 100 scatti in bianco e nero di Robert Capa. Un ritratto, per alcuni aspetti inedito, del maestro del giornalismo di guerra che mostra anche tratti della sua vita privata, dall’amore per Gerda Taro, alle amicizie illustri. “Robert Capa retrospective“, ossia il mondo attraverso la macchina fotografica.
Robert Capa retrospective: le guerre, gli scatti, gli incontri
Endre Ernő Friedmann – questo il vero nome dell’artista ungherese – è stato uno dei più grandi fotogiornalisti, forse il più importante del Novecento, secolo di grandi innovazioni ma anche di guerre sanguinose su scala mondiale. Sono proprio quest’ultime che Capa documenta grazie alla macchina fotografica, per tutta la sua vita, sino a quando una mina antiuomo, a soli quarant’anni, lo fa saltare in aria uccidendolo. In questa mostra a Monza ci sono tutte: la Guerra civile spagnola (1936-1939), la Seconda guerra sino-giapponese (che seguì nel 1938), la Seconda guerra mondiale (1941-1945), la Guerra arabo-israeliana (1948) e la Prima guerra d’Indocina (1954).
Le sue fotografie raccontano con immediatezza, pathos ed estremo realismo l’attimo giusto, che solo i grandi maestri sanno cogliere. Al di là degli scatti iconici che tutti conoscono, come quella del miliziano lealista caduto in Spagna, qui sono esposte alcune perle che racchiudono in un’immagine un intero racconto, le storie di uomini e donne che hanno vissuto in prima persona la tragedia più grande. Pensiamo ad esempio alla fotografia che ritrae una donna francese che, dopo aver avuto un figlio con un soldato tedesco, viene fatta sfilare con il capo rasato, segno della sua punizione.
Ma nel susseguirsi di scatti troviamo anche la vita altra del fotografo, in particolar modo le sue amicizie che ha immortalato in splendidi ritratti in bianco e nero: tra gli altri, lo scrittore statunitense John Steinbeck, l’attrice Ingrid Bergman – con la quale ebbe una relazione, il pittore Pablo Picasso. Fino ad arrivare alle fotografie esposte alla fine della mostra, quelle che testimoniano la sua relazione con Gerda Taro, giovane sfortunata fotografa con la quale Robert inventò il suo pseudonimo e la sua finta identità – quella di un fantomatico celebre fotografo americano giunto a Parigi per lavorare in Europa – grazie alla quale aumentò il suo successo lavorativo. Gerda, il cui vero nome era Gerta Pohorylle – morì ancora più giovane di lui, a 27 anni, travolta da un carro armato. Una storia così intensa e rara per quegli anni con protagonista una donna, che Helena Janeczek ne ha fatto un libro, “La ragazza con la Leica“, vincitore dell’ultimo Premio Strega.
Capa in Italia, gli scatti durante la guerra
Tra luglio del 1943 e febbraio del 1944 Robert Capa è in Italia per seguire in prima persona lo sbarco degli alleati sulle coste siciliane, di quest’esperienza rimangono scatti dal forte impatto emotivo che fotografano luoghi e popolo come forse mai prima di allora.
Di quegli anni e in generale del lavoro dell’amico fotografo, John Steinbeck disse: «Robert Capa sapeva cosa cercare e cosa farne, dopo averlo trovato. Sapeva, per esempio, che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma lui è riuscito a fotografare quell’emozione, conoscendola da vicino». Forse Robert era proprio come uno di loro, degli italiani sfollati, afflitti, feriti che si aggiravano per città e borghi rasi al suolo. aE per questo li ritraeva in modo così reale.
Così Capa racconta la resa di Palermo, la posta centrale di Napoli distrutta da una bomba a orologeria e il funerale delle giovani vittime delle leggendarie Quattro Giornate di Napoli. E ancora, vicino a Montecassino, la gente che fugge dalle montagne, dove infuriano i combattimenti; e ancora, i soldati alleati accolti a Monreale dalla popolazione e in perlustrazione in campi opachi di fumo: attimi indelebili nella pellicola, oltre che nel ricordo, grazie a lui.
Le immagini scattate in Italia sono tra le più emozionanti perché “fermano” il vero dramma della guerra, quello della gente comune. Oltre alla maestria tecnica, di certo indiscutibile, questo artista e fotogiornalista, ha da sempre mostrato umanità. Caratteristica che forse l’ha reso il più grande. Senza però impedirgli l’atroce morte.
La mostra è aperta da martedì a domenica, dalle 10:00 alle 19:00; ingresso: 11 euro
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