
Il rapporto annuale dell’agenzia Irena indica che il 92,5 per cento dei nuovi impianti installati nel 2024 è legato alle fonti rinnovabili.
Un rapporto redatto da un gruppo di esperti per conto di Greenpeace parla di siti “saturi” e di assenza di piani sostenibili sul lungo periodo.
Il mondo è ormai “saturo” di scorie nucleari. E nessuno dei principali paesi che utilizzano l’energia atomica ha un piano dettagliato, sul lungo periodo, per gestirli. A spiegarlo è un rapporto di Greenpeace Francia, pubblicato il 31 gennaio.
Lo studio – intitolato “La crise mondiale des déchets nucléaires” (La crisi mondiale dei rifiuti nucleari) e redatto da un gruppo di esperti della materia – ha analizzato la situazione di sette paesi: Belgio, Francia, Giappone, Svezia, Finlandia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Prendendo in considerazione i diversi rifiuti che vengono prodotti lungo l’intera “catena” del nucleare.
Sur les 7 pays analysés dans le rapport sur “la crise mondiale des déchets nucléaires”, aucun ne dispose dʼune estimation crédible de la totalité des coûts qui devront être supportés pendant des décennies, voire des siècles #RisqueNucléaire https://t.co/qFmOw8ihvz pic.twitter.com/yznFA8XJAq
— Greenpeace France (@greenpeacefr) 30 gennaio 2019
Si è perciò partiti dalle attività di estrazione dell’uranio e si è terminato con “i materiali più pericolosi”, ovvero le scorie nucleari che vengono prodotte dai reattori. Ebbene, secondo Greenpeace attualmente nel mondo sono già presenti “250mila tonnellate di combustibili esausti altamente radioattivi”. Essi sono ripartiti attualmente in un totale di quindici paesi. E la maggior parte “è stoccata in piscine di raffreddamento” presso le stesse centrali.
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Un quantitativo gigantesco, se si considera che tali rifiuti non possono, ovviamente essere trattati, né custoditi, senza enormi precauzioni. Il che comporta inevitabilmente anche costi molto elevati. Eppure, lo studio spiega che sui sette paesi analizzati, “nessuno dispone di una stima credibile della spesa totale che dovrà essere affrontata in questo senso nei prossimi decenni”.
Il dito di Greenpeace è puntato in particolare contro la Francia. L’Istituto per la radioprotezione e la sicurezza nucleare di Parigi ha già sottolineato come le piscine di La Hague, sulla Manica, siano al limite della saturazione. È qui infatti che vengono depositati a raffreddare i combustibili utilizzati dai reattori transalpini. La compagnia Orano (ex Areva) ha tuttavia gettato acqua sul fuoco, spiegano che “fino al 2030” non ci saranno problemi.
Les installations nucléaires ☢️ sont insuffisamment protégées et les piscines de combustible irradié comme celles de l’usine Orano de La Hague quasi saturées. Nous continuons de sonner l’alerte pour que des mesures soient appliquées au plus vite. Stop au #RisqueNucléaire ? pic.twitter.com/fcZMIOxwLS — Greenpeace France (@greenpeacefr) 25 gennaio 2019
Ciò che è chiaro, però, è che il sito prima o poi si riempirà. Così come quelli presenti in altre nazioni. Nonostante ciò, Pete Roche – uno degli autori del rapporto – spiega che “nessun paese al mondo dispone di una soluzione per i rifiuti ad alta radioattività”.
Il documento di Greenpeace aggiunge che “l’industria nucleare, con il sostegno dei governi a diversi livelli, continua a scegliere la strada dello stoccaggio geologico”, il che consiste semplicemente nel sotterrare in profondità le scorie. “Tuttavia, in alcun luogo al mondo esiste un sistema di conservazione nel sottosuolo che sia sostenibile e sicuro sul lungo termine”, aggiungono gli esperti. Questi ultimi citano anche i casi di Svezia e Finlandia, nei quali sono state introdotte le tecniche più avanzate: “Anche in questi casi l’incertezza resta grande”.
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