Dal mischiglio della Basilicata alla zucca malon del Friuli al cappero di Selargius, in Sardegna: i presìdi Slow Food che valorizzano prodotti dimenticati, ma di fondamentale valore per la biodiversità, il territorio e le comunità.
Semìno, alla scoperta del cibo di altri mondi. Coltivato dai migranti
Semìno è un progetto che racconta le abitudini alimentari degli altri paesi, dà lavoro ai migranti e fa godere delle proprietà benefiche degli ortaggi coltivati.
Come si possono creare opportunità di lavoro dignitoso per i migranti? Per esempio dando loro la possibilità di coltivare ortaggi tipici dei loro paesi di provenienza, in particolare quelli caratterizzati da numerose proprietà e che, proprio in virtù dei loro valori nutritivi, possono interessare anche il mercato italiano, sempre alla ricerca di nuovi “superfood”. È questo l’obiettivo di Semìno – Alimentare Positivo, un nuovo progetto di agricoltura sociale nato a Bologna.
Dai semi all’impresa
L’idea nasce nel 2016 dall’incontro tra la brigata della cucina del Bistrot Vetro e l’orto di comunità delle Serre dei Giardini Margherita, spazio rigenerato e gestito da Kilowatt che si occupa di ricerca e sviluppo delle specie da coltivare e della formazione all’avvio di nuove imprese. Un giorno, Farouk, aiuto cuoco originario del Bangladesh, chiede di poter provare a coltivare degli ortaggi caratteristici della propria terra di origine, difficilmente reperibili in Italia, di cui conserva i semi.
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Dalla sua richiesta, ecco l’intuizione di avviare un vero e proprio progetto di impresa per la coltivazione di alcune specialità provenienti dalle diete dei migranti. Con la prospettiva di creare lavoro e contribuire allo sviluppo di una comunità inclusiva e aperta.
Semìno è locale, etico e sostenibile
Sostenuto in collaborazione con Local To You e Pictor – rispettivamente una piattaforma che distribuisce prodotti biologici del territorio e una cooperativa sociale che si occupa dell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati – Semìno nel 2017 vince il “Bando Unicredit Carta E”, finalizzato alla creazione di imprese a impatto sociale e di lavoro per i giovani. Al progetto si unisce poi anche Rescue-AB, il Centro studi e ricerche sull’agricoltura urbana e la biodiversità del dipartimento di Scienze agrarie dell’università di Bologna, che si occupa della supervisione scientifica e il monitoraggio delle coltivazioni degli ortaggi Semìno. Dopo una prima coltivazione sperimentale (la patata viola e lo spinacio indiano che approdano nel menù di Vetro), nell’inverno del 2018 sono state scelte le specie per il secondo ciclo di coltivazione, secondo una produzione e una filiera locale, etica e sostenibile che rispetta l’ambiente e le persone.
Dal gombo al fagiolo dall’occhio
Gli ortaggi di Semìno si possono acquistare tramite Local To You: c’è ad esempio il gombo, (che a vederlo sembra una sorta di incrocio tra una zucchina e un cetriolo), un ortaggio ipocalorico che contribuisce alla regolazione della glicemia, ricco di vitamine, acido folico, calcio, zinco, potassio e fibre, e perfetto per conferire cremosità a zuppe e minestre grazie al liquido gelatinoso che funziona da addensante. C’è poi il daikon liscio, dal potere digestivo e ad alto contenuto di vitamina c, fibre, sali minerali e betacarotene, che può essere consumato crudo oppure cotto al vapore, al forno o gratinato. Quindi si può trovare il fagiolo dall’occhio, un’antichissima varietà di legume, ricca di proteine e di fibre, con un tempo di cottura leggermente inferiore agli altri fagioli. E infine c’è la curcuma, una spezia che ormai conosciamo, dalle proprietà anti-infiammatorie e antiossidanti.
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