Donald Trump ha approfittato degli ultimi giorni alla Casa Bianca per avviare la vendita delle concessioni petrolifere in Alaska. Ma non tutto è perduto…
Trump apre le porte all’estrazione di petrolio in Alaska
L’amministrazione Trump ha avviato i passi finali per aprire oltre 600mila ettari del parco nazionale dell’Alaska alle perforazioni di petrolio e gas.
Su oltre 600mila ettari di pianure costiere dell’Alaska si potrà procedere con le attività estrattive di petrolio e gas. Lo ha stabilito il Bureau of land management (Blm) statunitense che ha pubblicato la sua valutazione finale di impatto ambientale con il quale dà il via libera alle perforazioni nell’area protetta dell’Alaska e i contratti di locazione delle terre alle società petrolifere andranno avanti fino a fine anno.
“L’annuncio di oggi è un grande passo avanti per portare a termine il chiaro mandato che abbiamo ricevuto dal Congresso per sviluppare e implementare un programma di leasing per la Pianura costiera, un programma che la popolazione dell’Alaska sta cercando da oltre 40 anni”, ha detto in una dichiarazione il Segretario degli interni David Bernhardt.
The Trump administration on Thursday said it would seek to open up the entire coastal plain of the Arctic National Wildlife Refuge to oil and gas exploration.
There’s a giveaway to industry nearly every day in the Trump administration.https://t.co/Nj4IXDyllv— Citizens for Ethics (@CREWcrew) September 15, 2019
Una grave minaccia per l’ecosistema dell’Alaska
La scorsa settimana i democratici hanno approvato un disegno di legge per fermare il mandato, ma le possibilità che passi in senato sono piuttosto basse. “Ci sono alcuni posti troppo selvaggi, troppo importanti e troppo unici per essere rovinati dalle attività di sviluppo dell’industria del petrolio e del gas. La pianura costiera del rifugio artico è uno di quei luoghi speciali “, ha detto Jared Huffman, il democratico californiano che ha scritto il disegno di legge, come ha riferito il Wall Street Journal. “L’amministrazione ha calpestato la scienza, mettendo a tacere il dissenso ed escludendo intere comunità indigene”, ha detto Adam Kolton della Alaska Wilderness League.
The #ArcticRefuge is in danger of being developed for oil and gas drilling, threatening the Porcupine Caribou on which the indigenous Gwich’in people depend. Read about the Native communities on the frontlines of the fight to protect the land. #RANGEmaghttps://t.co/z8S9Wi4k7ypic.twitter.com/DRmh4vteJS
— RANGE (@thisisrange) September 17, 2019
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Una decisione che incrementerà gli effetti dei cambiamenti climatici
Secondo Garett Rose, avvocato del progetto Alaska presso il Natural resources defense council (Nrdc), “Questa finta revisione apre in modo illegale l’intera pianura costiera dell’Alaska alle concessioni con un enorme impatto sul sistema naturale. Viola ciò che è terreno sacro e fonte di sussistenza per la gente di Gwich’in, uno dei popoli indigeni dell’Alaska”. L’Nrdc ha fatto sapere che intende contestare in tribunale la valutazione di impatto ambientale. La valutazione di impatto ambientale sembra non fare i conti con la realtà, nel testo si legge infatti che il riscaldamento globale è ciclico piuttosto che una conseguenza dell’attività umana; una teoria in completo disaccordo con quanto sostiene la comunità scientifica.
Il Blm ha stimato che l’estrazione di petrolio e gas nelle pianure dell’Alaska emetterebbe l’equivalente di gas serra prodotti da un milione di auto nuove sulla strada. Ma secondo l’U.S. fish and wildlife service che ha esaminato un progetto, il Blm ha drasticamente sottovalutato l’impatto ambientale, come ha riferito Scientific American.
“La maggior parte degli americani vuole che quest’area sacra sia protetta, e a poche ore dall’intervento del Congresso, l’amministrazione Trump si sta muovendo con fretta e furia per distruggerla”, ha detto Rose.
Le reazioni degli ambientalisti
Gli ambientalisti si sono subito ribellati, l’area in questione ospita le tane degli orsi polari ed è il luogo dove i caribù giungono per partorire. Come se non bastasse le operazioni di perforazione quasi certamente costringeranno le popolazioni indigene, che dipendono dalla fauna selvatica per il loro sostentamento attraverso la caccia e la pesca, a migrare in altre zone.
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