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In Perù per documentare la crisi climatica. La spedizione di Daniele Cagnazzo
Daniele Cagnazzo, documentarista e founder di una startup, è in partenza per il Perù, dove realizzerà un documentario sui cambiamenti climatici.
Daniele Cagnazzo è giornalista, documentarista e fondatore di Around, una startup dell’ecosistema LifeGate Way. Ed è partito per una missione in Perù, con l’obiettivo di raccontare l’impatto dei cambiamenti climatici nel paese. La filosofia che sta dietro alla società è infatti quella del brand activism. Cosa significa? Il suo core business è quello di sviluppare contenitori per gli alimenti, riutilizzabili fino a 200 volte, per eliminare l’usa e getta derivante dalle attività di take away e di delivery. Oltre a questo, Around vuole essere parte attiva di un cambiamento nella società attraverso attività collaterali che possono in qualche modo ispirare la community. Come, appunto, questa missione-documentario.
“Vogliamo certamente incentivare l’utilizzo dei contenitori riutilizzabili, ma vogliamo dare la possibilità alla nostra community di toccare con mano gli effetti dei cambiamenti climatici in termini di conseguenze sulle popolazioni locali, sulla biodiversità e sull’ecosistema in varie parti del mondo” spiega Cagnazzo. “Chi guarderà il documentario magari in futuro sceglierà di ridurre il proprio impatto anche in conseguenza di quello che ha visto grazie a noi. Potrà essere passando a un sistema di riutilizzo come qualunque altra azione virtuosa, dallo spostarsi in bicicletta al ridurre la permanenza sotto la doccia”.
La missione di Daniele Cagnazzo in Perù
Come si articola la tua missione in Perù e cosa significa per te?
Nel mio percorso ho già realizzato un lavoro del genere: lo scorso anno in Nepal, in collaborazione con InsideOver. Lo scopo allora era quello di raccontare l’Himalaya e la crisi climatica a 5000 metri d’altitudine: quindi la fusione dei ghiacciai, l’abbandono dei piccoli villaggi dove manca l’acqua, fino ad arrivare alle conseguenze della siccità al livello del mare. Il mio intento è quello di documentare la crisi climatica in diverse parti del mondo, e quest’anno si concentrerà sul Perù, parlando in particolare di deforestazione e dell’impatto che la crisi climatica sta avendo sui piccoli allevatori di alpaca delle Ande e, anche qui, gli aspetti legati alla siccità che investono la costa. Deforestazione, miniere illegali e narcotraffico sono alcune delle principali cause della perdita di biodiversità in Amazzonia, che comportano delle conseguenze tangibili per le economie e comunità locali, come quelle degli allevatori di alpaca andini. Raccontando l’evoluzione della crisi climatica in Perù raccontiamo indirettamente la mission del brand Around, ovvero lavorare tutti insieme per poter ridurre la mole dei cicli di produzione, e conseguentemente dei rifiuti, per avere un impatto concreto sulle emissioni di CO2.
Entriamo nel vivo della missione: come hai intenzione di muoverti in Perù?
Sono in contatto con delle ong locali, in questo caso Terra Nuova che opera nella parte nord del paese, in Amazzonia. E poi con la nazione dei wampis, uno stato non riconosciuto all’interno del Perù costituito da comunità indigene che lottano per difendere la propria terra dai narcotrafficanti, dal business delle miniere d’oro illegali e dalle estrazioni di petrolio autorizzate dal governo centrale. La comunità wampis è una delle più antiche del Perù, ma è staccata (e non riconosciuta) dal governo centrale di Lima che, al contrario, permette quelle attività estrattive che inquinano gli affluenti del rio delle Amazzoni. Io incontrerò i principali esponenti di questa comunità che mi racconteranno quali sono le loro priorità e le loro azioni a tutela del territorio.
E per quanto riguarda gli alpaqueros?
L’alpaca è l’animale simbolo del Perù, ma è anche una fonte importante di reddito per alcune popolazioni che ne commerciano la lana. Questi animali crescono e prosperano solo a determinate altitudini. Il fatto che piova sempre meno è un problema, perché la carenza di acqua a una certa quota è così significativa da portare a una riduzione degli allevamenti anno dopo anno. Le piccole comunità di alpaqueros sono quindi costrette ad abbandonare i loro terreni, o a reinventarsi in qualcosa d’altro. Se mancano le condizioni per continuare a portare avanti un certo tipo di economia legata alla pastorizia o all’agricoltura, c’è il forte rischio che le persone si rivolgano ad attività illegali, come il narcotraffico. Tutto questo racconto sarà quindi funzionale a ispirare chi ci segue. Vogliamo far passare il messaggio che quello che facciamo noi non è solamente produrre un contenitore riutilizzabile, ma c’è una missione molto più grande dietro.
Around, una startup che punta a un cambiamento culturale
In che modo Around si lega alla tua attività di documentarista?
Da qualche tempo a questa parte ho iniziato a concentrarmi sempre di più su aspetti legati all’ambiente, ai cambiamenti climatici e a tutto ciò che ne deriva, con una particolare attenzione per i diritti umani. Da qui l’idea di portare avanti, con Around, una rivoluzione culturale. Cerchiamo di incentivare le persone a passare da un modello di acquisto lineare (acquisto, consumo e inquino) a uno circolare in cui, con il packaging riutilizzato e riciclato a fine vita, si può dar vita a nuovi oggetti.
Come funziona, in concreto, il riutilizzo dei contenitori?
Around è una startup phygital: cioè comprende una parte di supporto fisico ma anche una digitale. Quando un cliente va in un ristorante che fa parte del nostro network, può richiedere un contenitore Around per il cibo da asporto, al posto del tradizionale usa e getta. Il ristorante seleziona il numero di contenitori che sta dando al cliente e scansiona il QR code univoco posto sull’applicazione dell’utente. Quest’ultimo ha a disposizione sette giorni per restituirlo a uno dei locali che fanno parte del network. Il nostro obiettivo è quello di ridurre al minimo il consumo di contenitori usa e getta e, di conseguenza, le emissioni di CO2 derivanti da nuovi cicli di produzioni: è un sistema di riutilizzo virtuoso.
In ultima sintesi, quale vuole essere il vostro messaggio?
Che con un comportamento individuale, come l’utilizzo di un contenitore riutilizzabile, si va a eliminare lo spreco di risorse che avverrebbe per produrne uno da zero e, successivamente, per smaltirlo.
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