Due organizzazioni non governative e sei militanti hanno deciso di trascinare di nuovo in tribunale la Norvegia. Obiettivo: chiedere alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) di annullare alcuni nuovi permessi concessi per lo sfruttamento di giacimenti di petrolio presenti nell’oceano Artico.
Nel mirino delle Ong le licenze petrolifere nel mare di Barents
Ad annunciare l’azione legale è stata l’associazione Greenpeace Nordic, che dal 2017 si oppone, assieme a Friends of the Earth, al progetto. Le dieci licenze si concentrano nel mare di Barents e sono già state oggetto di un pronunciamento della Corte suprema della Norvegia. Quest’ultima ha rigettato, nello scorso mese di dicembre, i ricorsi presentati dalle Ong, dando ragione al governo del più grande paese esportatore di idrocarburi dell’Europa occidentale.
Climate activists that failed in their attempt to stop oil and gas drilling in Norway’s Arctic are taking the case to the European Court of Human Rights https://t.co/BgORhjseOM via @LarsTaraldsen#OOTT
Ora la speranza degli ecologisti è che la Cedu possa ribaltare la sentenza, alla luce della necessità di proteggere i diritti umani. Gli avvocati che perorano la causa delle organizzazioni non governative sottolineeranno la necessità di rispettare l’Accordo di Parigi, e in particolare l’obiettivo di limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di due gradi centigradi, di qui alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali. Il che non sarà possibile se il mondo continuerà ad estrarre e bruciare combustibili fossili.
Le sconfitte degli ecologisti nei primi processi
Inoltre, le Ong ritengono che la concessione delle licenze petrolifere violi l’articolo 112 della Costituzione norvegese, che garantisce il diritto a vivere in un ambiente sano. La Corte suprema aveva tuttavia eccepito che l’articolo in questione potrebbe essere invocato soltanto nel caso in cui lo stato avesse dimostrato di non volersi assumere le proprie responsabilità in materia ambientale e climatica. Al contrario, sempre secondo i giudici di Oslo, il governo scandinavo avrebbe invece agito in modo corretto.
Il tribunale più alto in grado della Norvegia ha inoltre ritenuto che le licenze non violino neppure la Convenzione europea per i diritti dell’uomo, poiché esse non impongono “un rischio reale e immediato” né per la vita delle persone, né per la loro integrità fisica. Un punto di vista non condiviso dalle Ong, secondo le quali esso “non tiene conto di una valutazione precisa delle conseguenze dei cambiamenti climatici sulle generazioni future”.
La Norvegia continua a puntare sul petrolio
La Norvegia, in ogni caso, non sembra intenzionata a rinunciare al petrolio. Il governo di Oslo ha infatti pubblicato di recente un “Libro bianco sul futuro energetico del paese”. Nel quale gli idrocarburi sono ancora ben presenti.
Il gigante petrolifero Equinor ha ritirato il progetto per trivellare la Grande baia australiana, una delle aree marine più selvagge dell’Australia. Vittoria per le comunità di attivisti e surfisti che però chiedono che venga protetta per sempre.
Le acque artiche e gli ecosistemi unici delle isole Lofoten, in Norvegia, sono salvi dal petrolio. Potrebbe essere vietato in modo permanente grazie al voto del partito laburista che si è opposto alle esplorazioni nella zona.
Il fondo sovrano norvegese mantiene le promesse e smette di investire in petrolio e gas. Ma con diverse eccezioni, che lasciano dubbiosi gli ambientalisti.
L’Irlanda sta preparando il terreno per quella che potrebbe essere una svolta epocale: fare in modo che nemmeno un euro del fondo sovrano del Paese finisca per finanziare carbone, petrolio e gas naturale. È quanto prevede il Fossil Fuel Divestment Bill 2016, che è stato approvato dal parlamento di Dublino. Cosa prevede la legge e