In Europa la transizione energetica è vicina, grazie a un mix di eolico e solare, ma infrastrutture e burocrazia rischiano di rallentarla
Quanto petrolio c’è ancora in Basilicata e (purtroppo) in Italia
Nel sottosuolo italiano anche noi abbiamo, proprio così, riserve di petrolio onshore, cioè su terraferma. Le più grandi dopo il mare del Nord (Norvegia e Regno Unito) e, incredibile a dirsi, siamo il quarto produttore dopo la Danimarca. Secondo alcune stime della British Petroleum, solo la Basilicata dispone di riserve pari a 1,4 miliardi di
Nel sottosuolo italiano anche noi abbiamo, proprio così, riserve di petrolio onshore, cioè su terraferma. Le più grandi dopo il mare del Nord (Norvegia e Regno Unito) e, incredibile a dirsi, siamo il quarto produttore dopo la Danimarca. Secondo alcune stime della British Petroleum, solo la Basilicata dispone di riserve pari a 1,4 miliardi di barili.
In quella regione di boschi e monti e colli fin giù nella valle spicca, nota stonata tra tanto verde, il grigio del Centro oli più grande d’Italia. Ovunque tu vada, in val d’Agri, non riesci a liberartene: la fiamma perennemente accesa su una torre ne segnala la presenza, insieme a un rumore di lavori in corso incessante corso e le mefitiche esalazioni di gas e zolfo.
Petrolio e anche due oleodotti, forse
La produzione nazionale complessiva è stata – nel 2013 – di circa 112mila barili al giorno, pari solo al 7,4 per cento della relativa domanda interna.
Nonostante la presenza di riserve recuperabili di 151 milioni di Tep, l’attività di perforazione è per fortuna crollata dagli anni Ottanta, con settemila metri perforati nel 1946, all’epoca del “grande sogno” di Enrico Mattei, 269mila nel 1982, 715 m nel 2011.
Probabilmente, in forza dell’idea del “corridoio energetico meridionale”, potremmo presto avere due begli oleodotti sul nostro territorio (Tap e South Stream).
Le sacrosante opposizioni ambientaliste e degli enti locali hanno impedito negli anni il massiccio sfruttamento delle riserve di petrolio nazionali, e proprio contro questa impasse si era sgolata, in sede di governo, la ministra Federica Guidi.
C’è qualche stortura in Basilicata. Incassa molto ma sono tutti disoccupati
Per il momento, la maggioranza delle risorse petrolifere nazionali si trova in Basilicata e proviene essenzialmente dal giacimento della Val d’Agri, il più grande campo on-shore in Europa.
L’Eni è operatore della concessione val d’Agri (60,77 per cento) – in partnership con Shell (39,23 per cento) – che ha rappresentato nel 2012 il 30 per cento della produzione petrolifera Eni in Italia. La produzione attuale è pari a 85.000 barili di petrolio al giorno, con una produzione massima autorizzata di 104.000 barili al giorno di petrolio, in base a un accordo del 1998 tra Basilicata e Eni. Gli investimenti complessivi dei petrolieri in Val d’Agri dall’inizio dell’attività negli anni ’80 fino ad oggi ammontano a circa 3 miliardi di euro per 340 milioni di barili. L’oro nero del Belpaese ha attirato qualche compagnia estera, sia minerarie che di servizio (come Schlumberger, o la celeberrima Halliburton, la stessa che ricostruì l’Iraq). In Basilicata, Shell è in joint-venture con l’Eni in Val d’Agri e con la francese Total a Tempa Rossa insieme a una compagnia giapponese, la Mitsui.
La produzione da questo giacimento, che doveva essere avviata proprio nel 2016 e lo è stata con il provvidenziale emendamento Tempa Rossa, era previsa a un ritmo di 50.000 barili di petrolio al giorno. Gli investimenti erano destinati ad aumentare: 1,6 miliardi di euro per Tempa Rossa che si aggiungono ai 2,5 miliardi stanziati da Eni e Shell per la Val d’Agri. L’uscita di Shell dal mercato italiano, il recente affaire Federica Guidi e le inchieste su clientelismo, smaltimenti illeciti e corruzione potrebbero minare questo progetto.
L’attuale sistema delle royalties petrolifere
Nel 2012, la Basilicata ha incassato oltre 63 milioni di euro ma è una delle regioni d’Italia con il più alto tasso di disoccupazione.
Da quando il giacimento della Val d’Agri è in produzione, l’Eni ha versato a vari comuni, alla Regione Basilicata – soprattutto – e allo Stato circa 1,4 miliardi di euro di royalties. Parliamo del periodo 1998 – 2014. A questi soldi vanno aggiunti i fondi europei che solo per il periodo 2007 – 2013 hanno ammontato a 2,2 miliardi. Risorse da vent’anni gestite… male. E così la Basilicata è tornata, nonostante il petrolio, ad essere obiettivo 1 tra le aree più depresse d’Europa.
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