L’annuncio è arrivato il 4 gennaio dal governo di Washington: saranno concesse 47 nuove autorizzazioni per trivellazioni offshore alla ricerca di gas e petrolio.
Petrolio di Bakken, cos’è e dove si trova
Il petrolio di Bakken ha reso gli Stati Uniti meno dipendenti dal Venezuela e dal Medio Oriente. Ma il costo sociale e ambientale è davvero troppo altro.
Con Bakken oil si intende il petrolio racchiuso in una roccia di età paleozoica chiamata – appunto – bakken. Si tratta di uno strato roccioso compreso tra gli stati americani del Montana, del Dakota del Nord e del Sud e la regione canadese di Saskatchewanche. Un’area che si estende su una superficie di 520mila chilometri quadrati che è ricca di oro nero e prende anche il nome di bacino di Williston.
Il primo a scoprire questa zona fu il geologo J.W. Nordquist nel 1953 ma non fu lui a battezzare questa terra bensì il suo proprietario, un agricoltore di Tioga, nel Nord Dakota, di nome Henry Bakken. Sul suo terreno infatti sono iniziate le prime estrazioni di petrolio.
Una zona ricca di petrolio
Nell’aprile del 2013 il United States geological survey (Usgs), l’ente geologico statunitense, ha stimato che possono essere estratti fino a 7,4 miliardi di barili dai giacimenti petroliferi della formazione geologica di Bakken, raddoppiando la stime prodotte l’anno prima che parlavano di un massimo di 3,65 miliardi di barili.
Sette miliardi di barili sono tanti, troppi. E così negli ultimi anni questo bacino è diventato la più importante fonte di produzione di petrolio degli Stati Uniti. Nel 2013 il petrolio di Bakken è arrivato a rappresentare il 10 per cento di tutta la produzione statunitense; nel 2014 si è superata quota un milione di barili al giorno (nel 2010 erano appena 500mila). Oggi il Nord Dakota è il secondo stato americano produttore di petrolio, dietro solo al Texas. La Continental resources, una delle più grandi compagnie estrattive degli Stati Uniti, ha dichiarato che il bacino di Williston rappresenta la più grande scoperta del mondo nel corso degli ultimi 30-40 anni.
Produzione sovrastimata
La domanda è la solita: quali sono i costi ambientali ed economici per estrarre questo tipo di petrolio? Rispetto all’estrazione di petrolio tradizionale, nel caso del bakken si adottano le tecniche più evolute di estrazione, dalla perforazione orizzontale alla fratturazione idraulica (fracking) e questo ha portato all’apertura di migliaia di pozzi (1.800 ogni anno). Secondo le stime delle compagnie estrattive si può arrivare a estrarre 24 miliardi di barili. Le stesse stime però ci dicono che là sotto il potenziale è molto più grande: un numero compreso tra i 271 e i 503 miliardi di barili. Significa che ciò che si intende estrarre rappresenta appena l’8-15 per cento.
Invece la Eia (Energy information administration), il servizio di statistica del dipartimento dell’Energia statunitense, ha parlato di una riserva “accertata” di 5,9 miliardi di barili: un numero ben al di sotto dei 24 previsti dalle compagnie. Per fare un paragone, le recenti scoperte al largo delle coste del Brasile assicurerebbero 30 miliardi di barili su di un potenziale di 50-80 miliardi. Inoltre, nel Drilling productivity report pubblicato ad agosto 2016 la Eia mostra come la produzione di petrolio dalla roccia di Bakken sia scesa del 60 per cento rispetto al 2015.
Sicurezza dei lavoratori contro produzione
Si stima che ogni sei settimane muoia un addetto all’estrazione del petrolio di Bakken. Dal 2006 si contano 74 vittime. Le compagnie offrono bonus fino a 150 dollari al giorno per chi estrae più rapidamente: una sorta di cottimo a scapito delle norme cautelative. La responsabilità della compagnia proprietaria è scaricata tutta sul subappaltatore: non esistono infatti leggi per impedire questo comportamento illecito. O meglio, solo 4 su 52 stati federali hanno cambiato il proprio statuto per prevenire tutto ciò ma nessuno di questi riguarda la zona di Bakken.
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Il boom del petrolio ha portato grandi redditi solo a chi detiene i diritti minerari. Le compagnie progettano nuovi oleodotti per trasportare il petrolio direttamente alle proprie raffinerie, in barba ai diritti dei nativi americani. E senza parlare degli incidenti: nel luglio 2013, in Québec, un treno merci contenenti Bakken oil è deragliato: l’esplosione ha causato 42 morti e raso al suolo 30 edifici circostanti.
Chi appoggia l’estrazione di Bakken sostiene che il boom petrolifero abbia ridotto la disoccupazione e, sempre grazie al Bakken, lo stato del Nord Dakota abbia chiuso l’anno con un avanzo di bilancio di un miliardo di dollari e un pil del 29 per cento superiore alla media nazionale. Però l’industrializzazione ha un prezzo: le forniture di acqua sono messe a dura prova come lo sono le reti fognarie, gli alloggi disponibili e i servizi pubblici delle piccole città che sorgono intorno all’area estrattiva. C’è stata un’impennata della criminalità e lo stato sociale non offre soluzioni al disagio crescente tra i cittadini. Senza contare l’impatto sull’ambiente: secondo l’Università del Michigan la produzione di combustibili fossili legati alla formazione di Bakken in Nord Dakota e Montana è responsabile di circa il 2 per cento dell’etano rilevato nell’atmosfera terrestre. Decisamente meglio puntare sulle energie rinnovabili.
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