Dopo i rilievi nell’acqua potabile del Veneto e della Lombardia, sono state trovate tracce di Pfas nei delfini, tartarughe e squali spiaggiati sulle coste della Toscana.
Delfini, tartarughe e squali spiaggiati sulle coste della Toscana evidenziano alte concentrazioni di Pfas nel fegato e nel cervello, soprattutto degli esemplari più giovani.
Uno studio pilota realizzato tra Arpa Toscana, Università di Pisa e Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) analizza i forever chemicals negli organi di animali nati e cresciuti liberi nel Mediterraneo. I ricercatori hanno raccolto animali morti per cause naturali lungo 160 chilometri di spiagge, consentendo di cercare queste sostanze nel sangue, muscolo, fegato e cervello. I Pfas sono prossimi alla messa a bando europea per la loro tossicità e, dopo aver contaminato Veneto e Piemonte, sono stati ritrovati da Greenpeace nei maggiori fiumi toscani.
Dove finiscono i Pfas
Una raccolta di diversi animali marini, in massima parte delfini comuni, ha consentito ad Arpa Toscana, Università di Pisa e Cnr di capire meglio come si comportino le sostanze eterne Pfas negli organismi. Tra il 2020 e il 2022 sono stati analizzati fegato, muscolo, cervello di 26 stenelle (delfino comune), due tartarughe e nove squali. I Pfas a catena lunga, ormai vietati da oltre un decennio ma ancora presenti nel nostro ambiente perchè impossibili da degradare naturalmente, hanno i valori maggiori.
Una ricerca ARPAT ha evidenziato concentrazioni anche molto alte di #PFAS in animali marini e indebolimento del sistema immunitario. Colpiti soprattutto giovani #delfini. In collaborazione con @unisiena saranno monitorati anche cozze, telline e naselli https://t.co/APRID877TEpic.twitter.com/aR1v7heZLq
Nel cervello dei delfini sono stati individuati i Pfas carbossilici, Pfca, come il PFTrDA, fino a 87 nanogrammi per grammo. Nello studio si legge “I Pfas a catena lunga possono attraversare le barriere cerebrali in modo più efficace rispetto ai Pfas a catena corta e hanno un’associazione più forte con i fosfolipidi che possono aumentare il bioaccumulo nei tessuti ricchi di fosfolipidi come il cervello”. Il solfonato Pfos invece, primo Pfas considerato pericoloso nel 2009 e ora possibile cancerogeno, arriva a 501 nanogrammi per grammo di peso nel fegato.
La motivazione data dallo studio è perchè “Parte dei Pfas rilevati nei muscoli possono essere dovuti al sangue incorporato nelle fibre muscolari”.
Chi sono le vittime principali, i giovani mammiferi
Tra i 26 delfini spiaggiati analizzati, di un’età tra i sei mesi e i 22 anni, i più contaminati sono gli esemplari al di sotto dei due anni di età. Il motivo è legato alla loro alimentazione perchè, come tutti i mammiferi inclusi noi esseri umani, il delfino nasce da gestazione materna e per i primi 16 mesi si alimenta del latte della madre. Per il delfino quindi, come tutti i neonati mammiferi, lo studio spiega come “Questo comportamento potrebbe essere attribuito al trasferimento materno dei Pfas durante il periodo della gravidanza e il successivo allattamento, dimostrando che gli individui più giovani e vulnerabili sono soggetti ad una maggiore pressione da parte di questi composti molto persistenti”. Nei giovani esemplari di delfini gli organi maggiormente esposti ai Pfas sono principalmente il cervello, ma anche il fegato che è organo bersaglio quasi di tutti i 18 Pfas ricercati nello studio. Non sono evidenziate invece differenze tra i due sessi per il bioaccumulo, la capacità cioè di trattenere i Pfas nel sangue e negli organi.
Nessuna causa certa, ma nuove analisi indicano la presenza di Pfas nei fiumi
Il lavoro di ricerca dei tre enti pubblici nella conclusione indica come possibile causa delle presenza di Pfas nel Mediterraneo l’azione antropica dell’uomo, essendo queste sostanze prodotte dall’uomo e non dalla natura. Ma non è stata evidenziata una causa precisa, una fonte di emissione chiara come per le contaminazione da Pfas per il Veneto o il Piemonte.
Un lavoro di ricerca su possibili fonti di emissione da Pfas invece è stato condotto di recente da Greenpeace Italia, che ha campionato diversi depuratori industriali che trattano i rifiuti liquidi dei distretti del tessile, conciario, cuoio, cartario e florovivaistico. Diversi fiumi come l’Ombrone arrivano a superare i cento nanogrammi per litro di somma di Pfas. Fiumi che poi sfociano nel mare Mediterraneo dove vivono i delfini, le tartarughe e gli squali.
L’albero potrebbe avere fino a mille anni, ma è stato scoperto solo dal 2009, dopo la segnalazione di una band della zona, che ora gli dedicherà un brano.
Il 29 ottobre 2018, le raffiche di vento della tempesta Vaia hanno raso al suolo 40 milioni di alberi in Triveneto. Una distruzione a cui si sono aggiunti gli effetti del bostrico, che però hanno trovato una comunità resiliente.