Dopo un mese di razionamenti, sono stati completati i lavori per la condotta provvisoria che porterà l’acqua dal fiume alla diga di Camastra, ma c’è preoccupazione per i livelli di inquinamento.
Pfas in Veneto, riprende il processo più importante sull’avvelenamento delle acque italiane
Dopo lo stop per coronavirus si torna in aula per continuare la fase preliminare del processo sul più grande inquinamento idrico d’Europa, l’avvelenamento da Pfas di un terzo del Veneto.
Il punto sul processo, un lento ricominciare
Nuova udienza del processo contro l’azienda Miteni accusata a Vicenza di aver inquinato la seconda falda più grande d’Europa con sostanze sostanze perfluoroalchiliche (Pfas). Dopo una sospensione di oltre cinque mesi dovuta alla pandemia, e dopo che nelle udienze precedenti sono stati formalizzati i reati di disastro innominato e avvelenamento delle acque e accolte 226 parti civili, il giudice per l’udienza preliminare Roberto Venditti ha confermato la ricezione delle notifiche redatte ai tre accusati Mitsubishi, la multinazionale lussemburghese International chemical investors S.E. (Ici3) e i curatori del fallimento della Miteni. Un piccolo passo avanti che consente di iniziare il dibattimento.
Tornare in questo tribunale ci aiuta a respirare di nuovo, crederci. Per noi questo processo rappresenta lo sforzo fatto in tutti questi anni, trovare la giustizia e ricominciare ad avere fiducia per la nostra salute.
Mamme NoPfas
L’8 giugno la giapponese Mitsubishi è stata la sola a costituirsi responsabile civile per potersi difendere al momento del dibattimento. “La società giapponese ha deciso di utilizzare il processo per rispondere alle accuse di reato innominato, in modo da preservare il suo nome. Probabilmente le altre due aziende (Ici3 e la società per il fallimento Miteni) stanno ancora cercando una strategia”, commenta l’avvocato Ceruti dopo i pochi minuti di udienza. L’avvocato, che rappresenta le MammeNoPfas come parte civile, ha una lunga esperienza di processi ambientali, uno fra tutti quello sul petrolchimico di Marghera. Ha fatto tradurre in oltre quaranta pagine le notifiche alla Mitsubishi. “Un lavoro lungo, siamo contenti che il giudice abbia confermato le ricezioni e che la società abbia deciso per il dibattimento in aula. Ora abbiamo qualcuno a cui rivolgere le nostre domande”.
Per Ceruti la possibilità di arrivare ad una mediazione con Mitsubishi e chiedere un risarcimento per i residenti contagiati è possibile, ma è un’ipotesi ancora lontana.
Un’ipotesi che l’avvocato Angelo Merlin delle due società idriche Acquevenete e Viacqua invece sostiene. “È possibile che i giapponesi vogliano chiudere in fretta per ripulire il nome da questa tragica vicenda. Del resto è una multinazionale quotata in diverse borse mondiali, è comprensibile che vogliano transare con un’offerta economica per evitare una eventuale condanna”. Il legale conferma come le società idriche, parti civili al processo, abbiano necessità di sostegno economico perché si stanno spendendo nella costruzione di nuove fonti idriche a zero Pfas. “I miei clienti hanno risposto subito alle richieste politiche e della popolazione per avere acqua pulita ma i soldi sono tanti. Questo processo deve evidenziare il danno ambientale sistemico, un effetto domino che ha prodotto una catena di buchi economici a diversi soggetti, tra cui le società idriche”. Per le quattro aziende il prossimo passo sarà quello di chiedere una consulenza per capire il danno economico subìto in questi cinquant’anni di inquinamento.
Cantieri nei campi, la vita degli agricoltori sopra la falda inquinata
Una delle quattro aziende idriche, Acque Veronesi, ha diversi cantieri aperti per la stesura di tubazioni adatte a collegare la zona rossa a fonti di acqua pulita.
A Madonna di Lonigo, in provincia di Vicenza, lo scavo per i tubi attraversa campi coltivati a mais che in giugno sono di un verde intenso. Ruspe e gru gialle hanno ripreso i lavori da pochi giorni dopo lo stop di diverse settimane causa pandemia. “Il cantiere era stato aperto a febbraio, hanno portato tutto e poi di colpo si sono dovuti fermare. I tubi, gli scavi e le montagne di terra in questi mesi si sono trasformati in parchi gioco per i nostri bambini”, racconta una contadina che ha ceduto parte della sua produzione di polenta per il passaggio del nuovo acquedotto. La donna indica il suo campo coltivato e con la stessa mano nega che la sua acqua sia stata analizzata. “Abbiamo un pozzo, finora non lo abbiamo ancora utilizzato e speriamo che il terreno beva più pioggia possibile. Sono prossima alle pensione e sapere che la mia terra è inquinata dall’acqua mi toglie il sorriso”.
Sapere che la mia terra è inquinata dall’acqua mi toglie il sorriso.
In località Belfiore, zona di San Bonifacio, la ruspa scava tra vigneti che si allungano fino all’orizzonte. Una condotta è stata già chiusa, alcuni tubi blu sono rimasti a testimoniare il lavoro dei mesi passati e i residenti sono ancora in attesa degli esami ematologici per conoscere la presenza di Pfas nel loro sangue. “Abito qui da sempre, al mio vicino nato dopo di me li hanno fatti ma io non ho ancora saputo nulla” racconta un viticoltore che guarda i lavori del cantiere dall’alto del suo trattore.
Gli esami mancati, la paura dei veneti
Durante la pandemia, e fino a tutto giugno, i test sierologici per tracciare la quantità di Pfas non sono stati effettuati. Dal 2017 l’azienda territoriale sanitaria del Veneto ha un piano sanitario per controllare i residenti nelle zone rosse A e B, i nati tra il 1951 e il 2002 e in età pediatrica tra il 2003 e il 2014. “Io sono ancora in attesa di questi esami, parte della mia famiglia li ha fatti e i valori sono chiaramente alti. Io ho un grave problema di tiroide e avere dei risultati sul Pfas mi aiuterebbe a capire meglio”, spiega una Mamma No Pfas presente all’udienza. E una sua collega insiste: “La Ussl Berica 8 chiama solo in zona rossa, ma chi abita in zona arancione cosa fa? Non è possibile richiedere gli esami del sangue per Pfas, e farli a pagamento è ugualmente impossibile per costi e pochi laboratori”.
Sono circa 90mila le persone residenti nelle due zone che devono sottoporsi ai test ma per il momento solo 25mila persone sono state analizzate. “Non si capisce il criterio con cui vengano effettuate le chiamate, alcuni residenti sono avvisati con mesi di anticipo altri da un giorno all’altro. Ho ricevuto decine di segnalazioni per la mancata chiamata, le persone vogliono sapere come stanno”, racconta la consigliera regionale Cristina Guarda, agricoltrice e schierata fin da subito a fianco dei cittadini colpiti.
7 anni senza la bonifica e la terra continua ad inquinarsi
La società International Chemical Investors S.E. (Ici3), una delle tre accusate al processo, ha consegnato il 31 dicembre 2019 un piano per bonificare il sito dell’azienda, per un totale di 10 milioni di euro. Una proposta accolta quasi per disperazione da Regione Veneto, Comune di Trissino – dov’è presente lo stabilimento Miteni – e Provincia di Vicenza. Da quando le indagini del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Vicenza hanno evidenziato il reato di danno ambientale la società era stata chiamata a rispondere dei costi della bonifica, altrimenti a carico dello Stato. Regione e Comune di Trissino, parti civili al processo, a fine febbraio 2020 hanno quindi dato il via libera a Ici3 per procedere alla prima messa in sicurezza del sito, dando 30 giorni di tempo alla società per aprire i cantieri.
Ma poi è arrivata la pandemia mondiale che ha bloccato tutto e solo da qualche settimana si sono iniziati a vedere i primi lavori di messa in sicurezza. “La situazione è molto grave, avrebbero dovuto muoversi già nel 2013 quando è stato dimostrato l’inquinamento dell’acqua. Sono passati 7 anni e stiamo ancora aspettando che partano i lavori per la messa in sicurezza” denuncia Guarda.
La barriera idraulica, una struttura filtrante posta già nel 2005 sotto lo stabilimento per raccogliere parte delle sostanze inquinanti, ha dimostrato di non essere efficace secondo uno studio di Arpav. “Bisogna bonificare la stessa falda, che continua a inquinarsi e camminare per chilometri verso Rovigo e oltre Verona. Ci sono studi che dimostrano come si possa ripulire, in decenni, questa falda ma nessuno sta ragionando su questo e nessuno risponde alle mie interrogazioni in Regione” conclude la consigliera regionale.
La prossima udienza è fissata per il 12 ottobre, data troppo lontana per chi vive tra questi splendidi terreni dell’alto vicentino “Ormai le persone sono tornate alla normalità, pensano che l’uso dei filtri posti dalla Regione anni fa bastino per pulire l’acqua dei nostri rubinetti. Quei filtri a carbone attivo che tanto ci hanno pubblicizzato e che però fanno passare comunque il Pfas perché la soglia non è zero ma 0.5 nanogrammi per litro. La gente dimentica, la paura annebbia la coscienza e aspettare anni per sapere come si sta e cosa si deve bere è usurante” confessano fuori dal tribunale le Mamme NoPfas.
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