Sono sempre di più le aziende che predispongono i loro piani di transizione climatica. Secondo una ricerca di Cdp, però, quelli credibili sono pochissimi.
Sono sempre di più le aziende che predispongono i loro piani di transizione climatica. Si tratta di tabelle di marcia nelle quali indicano come vogliono trasformare il proprio modello di business per renderlo compatibile con la principale raccomandazione degli scienziati: dimezzare le emissioni nette di gas serra entro il 2030 e azzerarle entro il 2050, per contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. Il fatto che sia stata presa questa iniziativa è di sicuro una buona notizia. L’organizzazione no profitCdp si è però posta una domanda in più: questi piani di transizione climatica sono credibili? Dopo averne passati in rassegna migliaia arriva a dire che, nel 98 per cento dei casi, la risposta è no.
Cosa dice lo studio di Cdp sui piani di transizione climatica
Cdp ha sottoposto un questionario sul clima a migliaia di aziende. Sulle oltre 18.600 che hanno risposto, 4.100 hanno dichiarato di avere già messo a punto i loro piani di transizione climatica. Particolarmente proattive sono quelle che operano nel campo dell’energia e della finanza: rispettivamente il 28 e il 26 per cento delle intervistate ha predisposto una strategia e l’ha sottoposta ai propri portatori di interesse (stakeholder). Tutta un’altra cosa rispetto a settori come l’alimentare, l’alberghiero e il manifatturiero che non raggiungono il 9 per cento. Poi ci sono 6.520 imprese che promettono di avere una strategia definita entro due anni. Altre 3.341 sostengono di tenere conto del clima, ma di non voler tradurre questo interesse in una vera e propria tabella di marcia. Un’attitudine che Cdp considera “allarmante”.
CDP’s latest report assesses climate transition plan disclosure from organizations across 135 countries. To find out how they performed read the full report here: https://t.co/JV9ghAydgmpic.twitter.com/R7F9gGBA0z
Per approfondire la loro indagine, i ricercatori hanno valutato queste 4.100 organizzazioni sulla base di quante informazioni abbiano fornito in merito a 21 indicatori, ritenuti essenziali affinché i loro piani di transizione climatica risultino credibili. Questi includono, per esempio, il taglio delle emissioni, l’esposizione ai rischi finanziari legati al clima, il coinvolgimento dei fornitori e altro. Ebbene, soltanto 81 su 4.100 hanno dato risposte abbastanza esaustive su tutti e 21. Cioè l’1,98 per cento. Se si considerano tutte le 18.600 intervistate, la percentuale è a malapena dello 0,4 per cento. Nella precedente edizione erano di più, 135, ma da allora i parametri sono stati resi più severi. Poi ce ne sono altre 2.300 che sono sulla buona strada, perché hanno divulgato informazioni su almeno 14 indicatori, senza però arrivare a soddisfarli tutti.
Per le aziende, occuparsi del clima è una questione di sopravvivenza
“Per le aziende, la necessità di sviluppare un piano di transizione climatica credibile non è un elemento aggiuntivo, ma una componente essenziale di qualsiasi pianificazione futura. Le imprese devono dimostrare di essersi organizzate in anticipo per consentire a tutti noi di evitare i peggiori impatti dei cambiamenti climatici. E per inviare ai mercati finanziari i corretti segnali sul fatto che continueranno a essere redditizie”, sottolinea Amir Sokolowski, direttore globale per il clima di Cdp.
Monitorare quante e quali informazioni le imprese divulghino in merito agli indicatori sulla transizione, spiega Sokolowski, “è essenziale per garantire che siano ritenute responsabili degli obiettivi e dei piani che hanno predisposto”. Ed è vero che ad oggi le percentuali sono basse, ma è incoraggiante che migliaia di imprese abbiano almeno messo in cantiere i loro piani di transizione climatica.
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