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Federico Albanese. Ho pescato queste note nel mare profondo, di Berlino
By the deep sea è il nuovo disco del pianista milanese che da anni vive a Berlino. Federico Albanese compone musica contemporanea che tocca corde profonde e parla al cuore con un linguaggio universale, senza bisogno di parole.
Lord Byron sulle spiagge della Liguria. Così come il poeta inglese, anche Federico Albanese si è lasciato fortemente ispirare dal mare per scrivere le composizioni musicali del suo ultimo album. E proprio dai versi di un poema di Byron ha tratto il titolo del disco appena uscito: By the deep sea.
Il mare è l’elemento che meglio rappresenta la profondità della ricerca artistica di Federico Albanese, che grazie alle note del suo pianoforte scende fino agli abissi del proprio io e poi risale in superficie con una nuova consapevolezza, artistica e umana. Esorcizzando con queste composizioni strumentali le tante emozioni vissute nell’ultimo periodo della sua vita. La musica è sempre molto ispirata, classica e liquida al tempo stesso, grazie all’uso misurato dell’elettronica e degli archi. By the deep sea è un disco bellissimo e molto intenso, cinematografico ed evocativo. Mai banale o stucchevole. Dall’inizio alla fine si galleggia su onde che prima crescono e si avviluppano vorticose e poi via via si calmano frangendosi verso riva, limpide e sincere, proprio come la personalità del suo autore.
Iniziamo dal titolo del disco. Ci racconti quanto la musica può aiutare a scendere nel profondo del proprio vissuto e dove hai “pescato” queste nuove note?
Il titolo è metaforico, ovviamente. Ho tratto ispirazione da un poema di Byron: mi piace il mistero che evoca, si tratta di un elemento che possiamo vedere da vicino ma che può essere anche molto lontano. La chiave è arrivare molto prossimi ad osservare le proprie emozioni, tenendo la giusta distanza perché possano essere esorcizzate e trasformate in arte, in musica. Bisogna evitare però di toccare il fondo, per non perdere lucidità. In generale, nella vita, dovremmo sempre osservare tutto con il giusto distacco.
Il mare ha un ruolo importante nella tua vita o lo hai solo usato come pretesto narrativo?
Dovevo trovare un legame visivo con il concept evocato dal titolo, ma ci sono ovviamente molti motivi di contatto con le mie esperienze di vita. Il primo brano del disco si intitola 682 steps, come il numero di scalini che partono da una casa di famiglia in Liguria e arrivano fino a una roccia sul mare. Il mare è la porta per entrare nel mio mondo e andare in profondità.
Ci sono altri elementi della natura che ispirano la tua arte?
Ho un legame molto forte con la natura, dove trascorro molto tempo appena posso. Non sono uomo di città, anche se ci vivo, e sono consapevole che a livello inconscio entrino nella mia musica tante influenze provenienti da vari elementi naturali.
Berlino però ha disegnato molte trame narrative all’interno del tuo nuovo disco. Cosa ti piace di questa metropoli?
Amo il suo tessuto cittadino: in questo senso Berlino è meravigliosa, perché ricca di mille contraddizioni e contrasti, di quelle differenze che generano in continuazione prodotti artisticamente sempre rilevanti. Ho cercato qui la mia voce per anni e, paradossalmente, è più difficile che altrove, perché c’è tanta concorrenza. In questo disco c’è la mia evoluzione come espatriato, si respira tanto della mia vita qui, anche se con un occhio sempre aperto verso l’esterno. Berlino continua ad avere quel sapore bohémien vero, qui si vive di tanta arte sempre, nonostante i numerosi cambiamenti della città.
Quanto è difficile trovare la propria voce e la propria strada artistica, quando non si può usare la forza espressiva delle parole?
La musica è per me una necessità, il veicolo che ho scelto per esprimere cose che altrimenti non saprei come comunicare, la vivo come una sorta di meditazione e analisi interiore.
Lo stesso si può dire della vita, che ci chiede continuamente di trovare una propria identità e collocazione. La musica in questo senso può essere d’aiuto?
Dal punto di vista artistico ti poni obbiettivi personali e cerchi di fare la tua strada. Che poi tu abbia una carriera e un successo non è così importante, se non per motivi di sussistenza. Ho fissato alcuni traguardi personali e mi considero felice se riesco a raggiungerli.
In questo momento storico, c’è grande interesse per la musica contemporanea e i compositori italiani sono sempre molto apprezzati. Ne hai giovato anche tu?
È sempre difficile capire come funziona tutto il meccanismo discografico, però stiamo vivendo un periodo di fermento intorno alla musica strumentale e contemporanea e c’è molta attenzione verso i miei dischi. Questo mi gratifica e così realizzo di aver messo un ulteriore tassello nel mio percorso di crescita.
Il disco è frutto di registrazioni fatte in tour, in giro per il mondo. Hai avuto bisogno di questo distacco per ricevere gli stimoli giusti?
È stata una scelta voluta: questo album racconta storie personali e particolari, non potevo condensare tutto in poche settimane, fermo a registrare solo in studio. Volevo essere libero di comporre e registrare ovunque, così mi sono dotato di un piccolo kit che ho portato sempre con me.
Durante questa fase di composizione e registrazione, quali stimoli musicali ti hanno colpito e pensi siano entrati nel disco?
Non ho molte ispirazioni musicali, anche se ascolto davvero tantissima musica. Le ispirazioni vengono da dentro me stesso, mi colpiscono soprattutto gli stimoli visivi. A posteriori ho percepito in questo disco alcune vecchie influenze, come il jazz o certa musica contemporanea che ascoltavo anni fa, in particolare alcuni album di Brian Eno. Tutto è entrato dentro l’album a livello inconscio, come tante piccole rivelazioni postume.
All’interno di By the deep sea c’è grande varietà strumentale: è frutto di un percorso o una scelta forzata per dare più dinamica ai brani?
Io non sono producer, il mio uso dell’elettronica è mirato ad aiutare il brano a svilupparsi in un certo modo. Amo lavorare sul pianoforte, che diventa la vera guida strumentale, e poi circondo il suono del piano con altri colori per dare più spazio alla melodia. L’elettronica e gli altri strumenti sono funzionali a questo, ne faccio un uso molto preciso.
Hai mai avuto voglia di aggiungere parole cantate ai tuoi brani o pensi che farai in futuro un disco con dei testi?
In verità nasco come songwriter, le prime mie produzioni sono canzoni. Per esempio, ho appena realizzato un brano per il nuovo ep di Missincat, bravissima musicista italiana anche lei a Berlino. Quello è decisamente un altro tipo di approccio, che ti impone di restare più indietro perché sono le parole o la voce di un cantante a parlare per te. Con la sola musica strumentale sono quasi nudo, posso dire più cose ed espormi maggiormente.
Prima parlavi di obiettivi: questo disco a che punto si posiziona sulla tua scala ideale?
“È un piccolo passo in avanti, mi rappresenta meglio, per questo in copertina sono più visibile. Ora sento di essere pronto a mettermi davvero in gioco con la mia musica, anche se ho già visualizzato altri lidi da raggiungere e sicuramente devo ancora lavorare molto. La strada è lunga e sono felice sia così.
Sei partito con il tuo tour, che toccherà anche l’Italia: sul palco sei solo o ci sono altri musicisti?
In alcuni casi mi segue un quartetto d’archi, ma sono eventi speciali. Altrimenti suono da solo: ho molte macchine e varia strumentazione elettronica suonate interamente dal vivo: è un live molto eterogeneo e vario.
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